27 Luglio 2024

Sicurezza sociale, aumentano vulnerabilità e divari del benessere

Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale e alla realizzazione, mediante lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale e secondo l’organizzazione e le risorse di ciascuno Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili per la sua dignità e il libero sviluppo della sua personalità.

Così recita l’articolo 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Anche se nel corso degli anni la definizione di questo diritto si è andata rafforzando, parlare oggi di una sua piena attuazione sarebbe un errore. Ancora troppe, infatti, sono le violazioni a livello globale della sicurezza sociale, intesa come imprescindibile opportunità ad avere una vita dignitosa in tutti gli ambiti in cui essa si può esprimere: economico, culturale, sociale, lavorativo.

Chiamati in causa sono innanzitutto i Governi dei singoli Stati, responsabili attraverso le scelte politiche, della costruzione di una società inclusiva ed equa, nella quale con specifiche misure e servizi di assistenza, protezione, stimolo riescano a non lasciare indietro nessuno nel libero sviluppo della propria personalità e del proprio essere cittadino.

Gli stessi Governi, però, spesso si rendono colpevoli di palesi violazioni della sicurezza sociale, favorendo e amplificando disuguaglianze, povertà, discriminazioni. Nonché meccanismi di esclusione all’accesso alla sanità, all’istruzione, alla partecipazione culturale, a un lavoro dignitoso. Che, a loro volta, si trasformano in frustrazione, rabbia, emarginazione da parte di chi viene escluso dal godimento di questo diritto sancito in modo chiaro.

Quello della pretesa al rispetto pieno del diritto alla sicurezza sociale è un tema di stretta attualità. Il mondo sta vivendo eventi epocali e trasformazioni inarrestabili che ormai coinvolgono tutti, anche i Paesi sviluppati, come l’epidemia di Covid e la guerra in Ucraina hanno dimostrato. Le vulnerabilità sociali e i divari di benessere e di godimento dei diritti che ne stanno emergendo non sono più tollerabili.

Non a caso, Amnesty International il 10 maggio scorso ha lanciato un appello affinché il diritto alla sicurezza sociale venga applicato senza più tentennamenti:

la sicurezza sociale sia messa a disposizione di tutti in tutto il mondo dopo che una serie di crisi ha messo in luce enormi lacune nei sistemi di sostegno e protezione dello Stato, lasciando centinaia di milioni di persone di fronte alla fame o intrappolate in un ciclo di povertà e privazione.

Agnès Callamard, segretario generale dell’ONG, è stato ancora più esplicito: “Una combinazione di crisi ha rivelato quanto molti Stati siano mal preparati a fornire un aiuto essenziale alle persone. È scioccante che oltre 4 miliardi di persone, ovvero circa il 55% della popolazione mondiale, non facciano ricorso nemmeno alla protezione sociale più elementare, nonostante il diritto alla sicurezza sociale sia sancito dal 1948 nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.

Per capire di cosa si parla quando viene menzionata la sicurezza sociale, può essere utile fare riferimento alle 9 aree di applicazione di questo diritto indicate dal comitato incaricato di interpretare il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR): disoccupazione, assistenza sanitaria, malattia, assistenza per anziani, infortunio sul lavoro, supporto per famiglie, maternità, disabilità, assistenza per orfani.

Gli Stati, attraverso i loro organi istituzionali e tramite scelte politiche, sono quindi chiamati a garantire una vita dignitosa proprio nei 9 ambiti appena citati. Non con un approccio di sterile assistenzialismo, ma con la convinzione che l’equa distribuzione di ricchezza e risorse sia alla base della giustizia sociale. Oggi, però, siamo in piena emergenza. Basteranno alcuni dati ed esempi per spiegare il perché.

Distribuzione aiuti umanitari e alimentari per gli sfollati interni a causa della siccità in Somalia, 2022. Foto da Unione Europea, Flickr Creative Commons

Nel mondo cresce il numero delle persone che non hanno cibo a sufficienza. A novembre 2022, il Programma alimentare mondiale (WFP) ha avvertito che ben 828 milioni di persone, più di una su dieci della popolazione mondiale, non riesce a sfamarsi durante la giornata e 349 milioni di uomini e donne soffrono di insicurezza alimentare acuta, con un aumento di 200 milioni di persone rispetto a prima della pandemia. Inoltre, sono 45 i Paesi che hanno bisogno di aiuti esterni per assicurarsi cibo a sufficienza. Di questi 33 sono in Africa. 

Le principali cause della fame sono almeno tre: shock economici, conflitti armati e condizioni meteorologiche estreme, espressioni della crisi climatica. L’effetto combinato di tutte queste forze sta mettendo in pericolo la vita di milioni di persone in Afghanistan, per esempio.

A gennaio 2023, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), due terzi delle persone nella nazione tornata sotto il potere dei talebani già avevano urgente bisogno di assistenza umanitaria mentre affrontano il terzo anno consecutivo di siccità, un secondo anno di grave crisi economica e i devastanti impatti di decenni di conflitto. 

Le turbolenze di tipo economico e finanziario sono, molto spesso, tra le più distruttive del diritto alla sicurezza sociale, perché colpiscono soprattutto chi già vive nella precarietà, che vede così diminuire la capacità di rispondere ai bisogni primari. Comprare cibo, ad esempio, pagare le tasse sulla casa, acquistare medicinali. In questi casi è lo Stato che deve farsi garante di una immediata e giusta risposta che ripari tali squilibri.

Secondo l’aggiornamento sulla sicurezza alimentare della Banca mondiale di dicembre 2022, quasi tutti i Paesi a basso e medio reddito hanno registrato tassi elevati dell’inflazione tra luglio e ottobre 2022.

Alcuni degli Stati più colpiti includono Zimbabwe con inflazione al 321%, Libano al 203%, Venezuela 158%, Turchia 99%, Argentina 92%, Iran 84%, Sri Lanka 81%, Ruanda 57%, Suriname 51% e Ghana 44%. Anche in nazioni ricche come il Regno Unito, i prezzi alimentari sono schizzati, in un contesto in cui i salari non hanno tenuto il passo e per questo un numero crescente di persone si è rivolto ai banchi alimentari e organizzazioni di beneficenza che forniscono cibo.

Emblematico il caso dello Sri Lanka, che ha vissuto una grave crisi economica fino a soffrire per enormi carenze di generi di prima necessità, compresi cibo e carburante e un crollo dei redditi. Molteplici fattori tra cui corruzione, alti livelli di indebitamento, tagli fiscali e l’impatto della pandemia di Covid-19 sull’industria del turismo e le rimesse hanno causato il disastro. Quando nel 2022 il debito pubblico del Paese ha raggiunto il 108,6% del Pil, il FMI lo ha definito insostenibile. Così ha annunciato di fatto il fallimento dello Stato e gettato la popolazione nella più profonda insicurezza sociale, senza alcuna protezione e con la beffa di subire anche violente repressioni e violazioni dei diritti umani durante proteste pacifiche.  

Anche gli eventi meteorologici devastanti, soprattutto negli ultimi anni, stanno mettendo in primo piano la necessità di rafforzare la sicurezza sociale, minata fortemente dalle conseguenze dei cambiamenti climatici.

L’Angola meridionale, per esempio, è stata colpita da continui fenomeni di siccità dal 2012, con gravi ripercussioni sulla fame e sull’insicurezza alimentare. L’impatto combinato di carenza di piogge e della obbligata deviazione dei pascoli lontano dalle comunità dei pastori in cerca di aree più fiorenti ha accelerato le migrazioni di chi non ha più sostentamento nel villaggio di origine. 

Allo stesso modo, le inondazioni in Pakistan nell’ottobre 2022 hanno avuto un effetto devastante su 33 milioni di persone. Circa 1,9 milioni di individui hanno bisogno di cibo e assistenza agricola e secondo la FAO quasi 510.000 sono a un passo dal catastrofico livello di insicurezza alimentare. I già alti tassi di malnutrizione infantile sono peggiorati, con 1,6 milioni di bambini a rischio malnutrizione acuta nelle aree colpite dalle inondazioni.

Senza dimenticare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – e la speculazione dei mercati delle materie prime – che ha avuto un impatto sulla sicurezza alimentare a livello globale, visto che i due Paesi sono i principali produttori di alimenti. Insieme, coprono il 53% della produzione di olio di girasole e semi e il 27% di grano del commercio globale. L’Ucraina fornisce il 14% delle esportazioni mondiali di mais.

Prima dell’invasione, Mosca e Kiev erano responsabili per il 90% della fornitura di grano in Armenia, Azerbaigian, Eritrea, Georgia, Mongolia e Somalia. Non solo, l’Ucraina è anche una delle principali fonti di grano per il Programma Alimentare Mondiale, che fornisce assistenza alimentare a 115,5 milioni persone in più di 120 Paesi. Lo scenario della guerra ha cambiato tutto, minando la sicurezza sociale poiché a fronte di minore offerta proveniente dai due Stati in guerra, i prezzi alimentari sono arrivati a livello record

Gli esempi più estremi hanno visto l’inflazione alimentare aumentare di centinaia di punti. Il Libano, un Paese che dipende fortemente dalle importazioni alimentari, compresa la maggior parte del grano dall’Ucraina, ha registrato un aumento dell’indice dei prezzi di oltre 3.000 punti percentuali dal 2020.

Nelle baraccopoli collinari della capitale peruviana, Lima, le mense dei poveri faticano a nutrire alcuni dei residenti più vulnerabili della nazione, innescando uno squilibrio alimentare: le proteine ​​sono scarse e si fa il pieno di carboidrati, mentre i prezzi del cibo salgono.

L’impennata dei costi dei prodotti alimentari di base ha già acceso proteste in Paesi di tutto il mondo, tra cui Argentina, Indonesia e Grecia.

In Iran, i manifestanti sono scesi in piazza dopo che i prezzi dei prodotti a base di farina sono aumentati fino al 300%.

Una delle proteste in Argentina contro l’inflazione alle stelle e la richiesta di salari più alti nel 2022. Il Paese è nel pieno di una grave crisi economica, con prezzi da record e una moneta svalutata. La popolazione chiede più sostegno. Foto da video France 24.

Secondo il Global Crisis Response Group on Food, Energy and Finance delle Nazioni Unite, la sicurezza sociale si trova in un momento davvero critico a livello globale.

Dopo due anni di pandemia, l’economia mondiale è stata lasciata in uno stato di profonda fragilità. Oggi, Il 60% dei lavoratori ha redditi reali più bassi rispetto a prima del Covid; il 60% dei Paesi più poveri è in gravi difficoltà nel ripagare debiti enormi che stanno per esplodere; nei Paesi in via di sviluppo mancano almeno 1.200 miliardi di dollari all’anno per colmare i divari nella protezione sociale e sarebbero necessari 4.300 dollari all’anno – una cifra maggiore delle previsioni – per soddisfare gli Obiettivi di sviluppo (SDG).

In America Latina, secondo l’ultimo rapporto sullo sviluppo economico della banca di sviluppo CAF, dal titolo RED 2022: Inherited inequities, la disuguaglianza sociale è ancora troppo palese. Analizzando la capacità di accumulazione di capitale umano (ad esempio, istruzione e salute), di beni e di accesso alle opportunità di lavoro quello che emerge è che sono favorite fortemente le famiglie benestanti.

Solo un figlio su dieci di genitori senza istruzione universitaria ottiene una laurea entro i 24 o 25 anni di età. La percentuale è quasi del 50% per chi ha un genitore che si è laureato al college. La pandemia ha solo peggiorato le prospettive. La regione ha registrato le chiusure scolastiche più estese e le famiglie povere sono state lasciate indietro, marcando un ampio divario nell’accesso a Internet e alla connessione in genere.

Così, i figli di genitori impiegati in lavori altamente qualificati hanno quasi sei volte più probabilità di ottenere tali impieghi rispetto a chi ha madre o padre con occupazioni poco qualificate. La scarsa mobilità educativa e occupazionale contribuisce a riprodurre le disparità di reddito di generazione in generazione. In America Latina, è probabile che un giovane finisca dove si trovano i suoi genitori sulla scala della distribuzione del reddito. Il rapporto indica infatti che la regione ha la maggiore immobilità di reddito al mondo.

La crisi dei debiti statali, infine, è davvero allarmante. Alti livelli di indebitamento e costi degli interessi sempre maggiori, anche a fronte di un dollaro forte (i debiti dei Paesi in via di sviluppo sono detenuti in dollari), significano che gli Stati molto indebitati spesso non hanno la capacità finanziaria di realizzare le aspirazioni di sicurezza sociale.

Le nazioni a basso reddito spendono 4 volte di più per il rimborso del debito che per la fornitura di servizi sanitari e 12 volte di più per il pagamento del debito che per la protezione sociale, secondo Oxfam. La cancellazione o la rinegoziazione delle condizioni di debito libererebbe sostanziali risorse in molti Paesi per pagare assistenza e misure legate ai diritti sociali. 

A conclusione di questa sintesi non esaustiva dell’attuale stato di violazione della sicurezza sociale nel mondo, è interessante la riflessione di Sanghmitra Sheel Acharya, presidente del Centre of Social medicine and Community Health School of Social Sciences, India:

A differenza della credenza popolare secondo cui la dimensione della popolazione è la causa principale di tutti i problemi, inclusa la povertà, le argomentazioni scientifiche hanno ampiamente dimostrato che è la natura dello sviluppo, inclusivo o meno, a garantire la disponibilità, l’accesso e l’utilizzo di risorse, servizi e opportunità.

Un monito valido più che mai oggi, dinanzi alle enormi sfide su giustizia e sicurezza sociale che i Governi sono chiamati ad affrontare per evitare guerre e violenze senza fine.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

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