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Azerbaijan, come silenziare gli attivisti “usando” il Covid-19

[Agenda 16-29 aprile 2020]. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]

Foto dell’utente Flickr Steve Mays – rilasciata in Licenza CC

Diritti umani – Azerbaijan, giro di vite contro attivisti e dissidenti

Le autorità azere, secondo quanto riportato il 16 aprile da Human Rights Watch, hanno condannato nelle ultime settimane 6 attivisti e 1 giornalista di opposizione a un periodo di detenzione variabile tra i 10 e i 30 giorni. In via ufficiale i sette carcerati avrebbero violato le misure restrittive adottate dal Governo per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Questi arresti, sostiene Giorgi Gogia – Direttore di HRW Europa e Asia centrale – “rientrano nel solito, vecchio modello di ritorsione politica, che l’ex Repubblica sovietica mette in atto ormai da tempo.  “Le autorità – prosegue – farebbero bene a smettere di usare un’emergenza sanitaria come pretesto per silenziare il dissenso. Peraltro, il contagio dell’infezione è di gran lunga più probabile in contesti di sovraffollamento. Le carceri dell’Azerbaijan sono state più volte descritte dal Consiglio d’Europa come luoghi inadeguati per scontare una pena. “Imprigionare qualcuno per aver espresso un’opinione legittima – conclude Gogia – è già di per sé sbagliato”. Ma “in questo momento, diventa anche controproducente perché mette in pericolo” la salute delle persone.

Africa/Diritti Umani – Benin e Costa d’Avorio rinnegano la Corte Africana dei Diritti dell’Uomo

L’African Governance Architecture (AGA), il 23 aprile, ha annunciato la decisione del Benin di ritirare il proprio consenso al Protocollo istitutivo della Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (CADHP). La notizia ha poi trovato conferma nelle parole di Alain Orounla, portavoce del ministro delle Comunicazioni. Di recente la Corte, con un’ordinanza cautelare, aveva sospeso le votazioni amministrative previste per il 17 maggio prossimo, accogliendo la richiesta presentata da Sébastien Ajavon, uomo d’affari e politico già candidato alle presidenziali del 2016. Il Governo smentisce che le ragioni vadano ricercate in tale episodio. Sta di fatto che ha prima criticato la CADHP per indebita “interferenza nel processo elettorale di uno Stato sovrano” e, subito dopo ha disconosciuto la sua competenza giurisdizionale. Nella stessa direzione e per motivi analoghi, il 30 aprile, si è mossa la Costa d’Avorio. La richiesta della Corte di sospendere il mandato d’arresto dell’oppositore politico Guillaume Soro, è stato giudicato un attacco contro la sovranità grave e intollerabile“. Singoli individui e ONG dei due Paesi non potranno più rivolgersi alla CADHP per lamentare la violazione di un loro diritto fondamentale. Disapprovazione è stata espressa dalla società civile e dai partiti di minoranza.

Giustizia sociale – USA, uniti nel silenzio per difendere i diritti LGBTQ

Il 24 aprile si è celebrato il 25esimo anniversario del “Day of Silence“. Un’iniziativa nata nel 1995 ad opera dell’associazione educativa GLSEN per denunciare gli atti di bullismo perpetrati nelle scuole statunitensi ai danni delle persone LGBTQ. Migliaia di studenti negli USA, per un giorno fanno voto di silenzio organizzando eventi all’interno delle strutture scolastiche. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti dannosi che bullismo e molestie producono su migliaia di studenti gay, lesbiche, transgender. Quest’anno, per ovvi motivi, il “giorno del silenzio” si è svolto nello spazio digitale, coinvolgendo studenti da ogni parte del mondo. Il programma è stato alquanto ricco: campagne online, video, foto, post sulle piattaforme social.  Il messaggio condiviso è stato forte e chiaro. La scuola è un luogo di inclusione e supporto. Come tale, deve rispettare, senza alcuna discriminazione, ogni orientamento sessuale e identità di genere. “È stato commovente, potente vedere l’impegno ‘silenzioso’ di così tanti giovani contro il bullismo verso le persone LGBTQ“,  ha twittato uno dei tanti partecipanti.

Ambiente – Italia, la finanza inquina più delle centrali a carbone

Greenpeace Italia e Re:Common, il 27 aprile, hanno pubblicato un nuovo studio dove viene esaminato il ruolo del settore finanziario italiano sull’inquinamento ambientale. Il Report, dal titolo “Finanza Fossile”, evidenzia come istituti di credito, compagnie assicurative e fondi di investimento contribuiscano a peggiorare la crisi climatica globale. “Nel 2019 – si legge – attraverso i finanziamenti all’industria fossile, le principali banche e gli investitori italiani hanno causato l’emissione di 90 milioni di tonnellate di CO2“, pari ai gas serra prodotti dall’intera Austria in un anno. Guidano la classifica Unicredit e Intesa Sanpaolo. Prestando miliardi di euro a società come ENI, Gazprom, Shell, sono infatti responsabili dell’80% delle emissioni nazionali. Inquinano quindi più di “tutte le centrali a carbone del Paese“. Le seguono i fondi Anima e Azimut nonché le Assicurazioni Generali. Le due associazioni sono allarmate perchè i finanzieri italiani sovvenzionano chi “continua a realizzare nuove centrali “ ovvero “a ostacolare la transizione energetica nel continente europeo. “È ora di finirlatwitta Greenpeacei risparmiatori devono sapere dove vanno a finire i loro soldi”.

Politica internazionale – Libano, è caos per l’aggravarsi della crisi economica

Il Governatore della Banca Centrale libanese, Riad Salameh, smentisce le accuse nei suoi confronti in merito alla  crisi economica che sta travolgendo il Paese. In un discorso televisivo, del 29 aprile, Salameh ha chiarito che è in atto una campagna diffamatoria contro la sua persona, rassicurando i libanesi sui loro depositi bancari. Ha inoltre precisato che l’aumento dei prezzi di carburante, grano e medicine, non deriva dalle politiche della Banca. Venerdì scorso la lira libanese ha toccato un nuovo minimo storico, perdendo oltre il 50% del suo valore. La rabbia dei cittadini è riesplosa. Migliaia di dimostranti sono di nuovo scesi in piazza. Sfidando il Covid-19, hanno bloccato le strade in varie città in un crescendo di violenza che ha portato a scontri con l’esercito e alla morte di un manifestante. Il Primo ministro, Hassan Diab, ha da subito accusato Salameh di aver orchestrato il crollo della valuta per coprire le perdite del settore bancario e la fuga di capitali. Già agli inizi di aprile, Beirut aveva avviato controlli sui conti della Banca, studiando strategie per la ristrutturazione del debito. Per gli economisti libanesi, sono necessarie serie riforme strutturali.

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