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Guerre e clima, un nuovo studio conferma il pericoloso legame

[Agenda 2-15 aprile 2020]. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]

Foto dell’utente Flickr Apionid – Licenza CC

Ambiente – I disastri climatici aumentano il rischio di guerre

Il 2 aprile, l’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico (PIK) ha pubblicato uno studio condotto da un team di ricercatori australiani, tedeschi e svedesi, dove viene ribadito il nesso tra cambiamenti climatici e conflitti armati. Più precisamente, gli scienziati hanno rilevato come le catastrofi ambientali, pur non determinando in modo diretto l’insorgere di un conflitto, accrescano il rischio che ciò accada. “Il pericolo di scontri violenti – riporta il documento – è maggiore dopo che condizioni metereologiche estreme, quali siccità o inondazioni, colpiscono le persone in Paesi vulnerabili“, ovvero in Stati “caratterizzati da: ampia popolazione, esclusione politica di particolari gruppi etnici e scarso sviluppo“. In Mali, ad esempio, Al Qaeda ha sfruttato la fragilità del Governo e la disperazione della popolazione locale, dovute alla grave siccità del 2009, per reclutare combattenti ed espandere la propria area operativa. Altri casi si rintracciano in Cina, Filippine, Nigeria e Turchia. Mentre l’India risulta essere il Paese con il numero più elevato di “coincidenze” tra violenza armata e situazioni post disastro ambientale. La ricerca si basa su analisi statistiche, dati osservativi e valutazioni di “case study” regionali.

Politica Internazionale – Il Pakistan pretende l’estradizione del leader dell’ISIS-K

Il ministro degli Esteri pakistano, Shah Mehmood Qureshi, ha convocato l’ambasciatore afghano in Pakistan per chiedere la consegna di Abdullah Orakzai – noto come Aslam Farooqi. Il capo del ISISKhorasan era stato arrestato dalle forze di sicurezza afghane, il 5 aprile scorso, nella provincia meridionale di Kandahar, in relazione all’attentato contro il tempio sikh di Kabul, in cui avevano perso la vita 25 fedeli. Il nocciolo dell’incontro è riassunto in una dichiarazione pubblicata il 9 aprile sul sito del ministero degli Esteri del Pakistan, dove si legge: il Paese “già da tempo, sta esprimendo forte preoccupazione per le attività di questo gruppo [terroristico]” e “la nostra posizione è stata regolarmente condivisa con le autorità afghane”. Aslam Farooqi, prosegue il documento, “in ragione del suo coinvolgimento in attività anti-pakistane, dovrebbe essere consegnato al Governo di Islamabad affinché “possano essere svolte ulteriori indagini”. Viene sottolineata, infine, l’opportunità di azioni coordinate da parte dei due Stati “per fronteggiare la minaccia terroristica” nell’area. Kabul non intende però “cedere” il terrorista al suo vicino. Il 10 aprile, ha fatto sapere che “Aslam Farooqi sarà perseguito in base alle leggi afghane”, data l’assenza di un trattato di estradizione con il Pakistan.

Giustizia sociale – Europa, il Covid-19 compromette il diritto all’aborto

Con un comunicato congiunto, l’8 aprile, cento ONG hanno invitato le competenti istituzioni europee a vigilare sugli Stati UE, affinché questi garantiscano l’accesso ai servizi abortivi anche durante la pandemia da Covid-19. La maggior parte dei Governi, afferma la nota, “non ha adottato misure volte alla tutela della salute sessuale e riproduttiva, né alla gestione dell’aborto domiciliare” benché “molti ospedali e cliniche abbiano ridotto al minimo le loro prestazioni”. Le restrizioni ai servizi sanitari specializzati colpiscono “in modo sproporzionato, le donne povere, le disabili, le Rom, le migranti senza documenti, le adolescenti, le persone trans e di genere non binario. Preoccupa, in particolare, la situazione in Polonia visto che il Parlamento si accinge a discutere una nuova legge, che renderebbe ancora più rigorosa la già stringente normativa in materia di IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Il coronavirus “sta condizionando ogni aspetto della nostra vita. Ma non dovrebbe essere usato come espediente per pregiudicare il diritto delle donne a decidere della propria salute riproduttiva” ha dichiarato Caroline Hickson, direttore regionale dell’IPPF EN (International Planned Parenthood Federation – European Network).

Diritti umani – Messico, libertà di stampa sotto attacco “mortale”

L’ufficio del procuratore generale di Guerrero – Stato situato nel sud del Messico – l’11 aprile ha confermato l’omicidio del giornalista Víctor Fernando Álvarez Chávez, trovato decapitato nella località balneare di Acapulco. La Commissione per i diritti umani di Guerrero ha  condannato con fermezza l’assassinio del direttore di Punto por Punto, definendolo un “atto di codardia“. E ha esortato la magistratura, di concerto con la FIP (Federación Internacional de Periodistas), a lavorare alacremente per individuare mandanti ed esecutori materiali. Ad avviso della Commissione, le indagini dovrebbero concentrarsi in primis sull’attività giornalistica di Alvarez, tenendo conto che lo stesso – così testimoniano i familiari – avrebbe ricevuto minacce di morte dalla criminalità organizzata poco tempo prima della scomparsa. È il secondo omicidio di giornalisti registrato nel Paese dall’inizio dell’anno. A marzo era toccato a Maria Elena Ferral. Si presume sia stata uccisa per un articolo di denuncia sugli “strani” decessi di diversi candidati a sindaco di Gutiérrez Zamora, comune nello Stato di Veracruz. Il Messico si conferma un posto assai pericoloso per chi fa informazione. Dal 2000, ben 100 reporter sono stati uccisi, di cui 10 solo lo scorso anno.

Africa – Tensione diplomatica tra Marocco e Sudafrica

Il 13 aprile, il ministero degli Esteri sudafricano ha rilasciato un comunicato per rispondere a un articolo offensivo pubblicato dall’Agenzia di stampa marocchina (MAP). Nel pezzo giornalistico, Pretoria viene beffeggiata in relazione all’ultimo video-meeting tenutosi al Consiglio di Sicurezza ONU sulla questione del Sahara Occidentale. Secondo quanto riportato dalla MAP, il Sudafrica sarebbe stato protagonista di un “triste spettacolo” tanto da ritrovarsi isolato nel corso della riunione. Tutto questo a causa della sua posizione ideologica sclerotica” in ordine al territorio occupato dal Fronte Polisario. In realtà – come si ricava dal suddetto comunicato – il CdS semplicemente non avrebbe accolto la proposta del delegato sudafricano di rendere pubblici i contenuti dell’incontro “a porte chiuse” del 9 aprile. Richiesta avanzata nel rispetto del principio di trasparenza, che dovrebbe governare il lavoro dell’organo delle Nazioni Unite. Sotto il profilo politico, “l’approccio del Sudafrica – spiega la nota – corrisponde a quello dell’Unione Africana“, che “da sempre sostiene il diritto all’autodeterminazione della popolazione del Sahara Occidentale“. Sebbene non venga detto espressamente, il dubbio di Pretoria è che dietro l’ennesimo tentativo di ridicolizzare il suo orientamento in tema di decolonizzazione, ci sia il Governo di Rabat.

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