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Nigeria, il gigante africano con le identità radicate nelle viscere

Un Paese enorme e poco conosciuto. Patria di religioni giunte sino al Centro e Sud America, culla della musica afrobeat, grande fucina – per alcuni patria – della letteratura dell’Africa Occidentale. Un Paese ricco e povero allo stesso tempo, dove capitalismo e società contadina sono sistemi contemporanei: tutto questo è la Nigeria.

Una Repubblica presidenziale di 36 stati federati, quasi 200 milioni di abitanti. Abuja è la nuova capitale dal 1991 nonché la sede della Comunità Economica degli Stati Africani Occidentali (Ecowas). 527 lingue, più di mille dialetti, tra i 250 e i 400 gruppi etnici. La popolazione può essere “classificata” negli otto più rappresentativi: gli Hausa, i Fulani, gli Igbo, gli Yoruba, i Tiv, gli Efik-Ibibio, gli Edo e i Ijaw.

Alcune tra le migliori università del continente si trovano qui, tra le altre: l’Università di Ibadan, quella di Port Harcourt, l’Università del Benin e quella di Lagos.

In alcune aree geografiche e settori della società la violenza è endemica. La corruzione – anche all’interno della polizia – è un fenomeno preoccupante come lamentano spesso i giovani nigeriani in cerca di un futuro migliore. E nonostante il Pil più alto di ogni altro Paese africano la povertà dilaga.

La Nigeria, abitata sin dal 9000 a.C., vede al suo interno un’equa rappresentanza dei due grandi monoteismi: islam e cristianesimo. Nelle aree del Nord è ormai di cronaca (e cronica) la presenza del gruppo terrorista Boko Haram alleatosi dal 2015 al cosiddetto Stato islamico. Le azioni del gruppo si concentrano soprattutto negli Stati del Nord-Est, per il resto non nel Sud né nell’area dell’ex Biafra, dove invece vive una popolazione cristiana dall’identità indipendentista e a tradizione contadina: il popolo Igbo o Ibo.

È tra le fila degli Igbo che campeggia l’immensa figura di Chinua Achebe, padre della letteratura africana post-coloniale sebbene i britannici non avessero ancora abbandonato definitivamente la Nigeria quando, nel 1958, uscì il suo primo capolavoro Things fall apart.

Achebe volle raccontare il rapido crollare di tutte le cose: una tradizione culturale e le antiche religioni spazzate via dai missionari cristiani di lingua e cultura inglese, dalla violenza e dal potere economico. I giovani avevano iniziato ad accettare il nuovo sistema, forse guadagnando più libertà ma al costo di interi sistemi di senso, significato e lettura della realtà che svanivano per sempre. Il ciclo della vita, delle stagioni, le giornate scandite dai tempi dell’agricoltura, dalla coltivazione dello yam (tubero simile alla manioca), dai rituali compiuti spezzando noci di cola, un pantheon di divinità immerse nella natura, ormai offese per sempre. Tutto era crollato.

Il sogno della “Repubblica del Biafra” sorto con la guerra civile del 1967 si spense già nel 1970 con una repressione brutale. In seguito al disastro umanitario che si era lasciato dietro la guerra civile nigeriana nacquero i “Medici senza frontiere“.

L’indipendenza della Nigeria dall’occupante inglese invece arrivò, ma solo il primo ottobre 1960 e l’inglese rimase lingua ufficiale. Le lingue native più diffuse sono invece l’Igbo, l’Hausa e lo Yoruba. Di etnia Yoruba è il gigante della musica nigeriana, per alcuni addirittura dell’Africa intera: Fela (Anikulapo) Kuti.

Attivista per i diritti umani, rivoluzionario panafricanista e socialista, inventore del genere “afrobeat“: un vero e proprio battito a ripetizione, che con lunghe introduzioni e parentesi strumentali riesce a immergere l’ascoltatore in un rituale suggestivo. La madre di Kuti è ricordata come la prima donna ad avere la patente e a guidare un’automobile in Nigeria, fu attivista femminista, suo figlio morì di AIDS nel 1997.

Famiglia nigeriana, bimbi che guardano in camera, madre con cellulare e foresta sullo sfondo. Foto tratta da Pixabay – Licenza CC

Se non sapete da dove provengono le religioni afrocubane del Sud America come il Candomblé o qual è la religione degli afrocubani neri, allora quando si ha a che fare con la Nigeria è il momento giusto per domandarselo e trovare la risposta. La tratta atlantica degli schiavi verso le Americhe – la cosiddetta prima diaspora africana – ha coinvolto soprattutto le popolazioni dei Paesi affacciati sul Golfo del Benin e in quello di Guinea: gli attuali Senegal, Gambia, Guinea, Benin, Ghana, Nigeria,  fino al Congo e all’Angola.

Gli schiavi neri e i loro discendenti, nel tempo, hanno ricreato i propri oggetti religiosi, gli idoli di legno e pietra delle loro divinità, ponendo così le basi di questo miracolo sincretistico per il quale ancora oggi a Santiago di Cuba – e in tutta l’isola – sopravvivono le divinità Yoruba con i loro nomi originali, le loro caratteristiche e le fattezze degli idoli che li rappresentano: Olorun, Olofi, Olodumare, Obatalà, Yemayà, Chango, sono gli spiriti, gli “orishas” ancora ricordati e venerati a distanza di 500 anni dall’inizio della vergognosa tratta schiavista.

Il complesso delle divinità Yoruba che ancora oggi vive nella comunità nera di Cuba, è detto Santeria allo scopo di camuffare la religione politeista e di nasconderla agli occhi delle autorità durante la dominazione spagnola, spacciandola come un “culto dei santi”, che invece veniva ammesso. Sarà poi la Rivoluzione Castrista del 1959 a legalizzare la Santeria liberando la comunità nera dalla segregazione religiosa.

Per andare più a fondo su religioni, tradizioni popolari e ritualità nigeriane abbiamo parlato con Luisa Casagrande, imprenditrice e ricercatrice in studi antropologici e africani, italo-nigeriana e fondatrice del blog bi-culturale “Métissage sangue misto“. Difficile cristallizzare la Nigeria in pillole, in singole narrazioni o immagini, ma la Casagrande ci spiega: “Forse un elemento comune a tutti i gruppi sociali risiede proprio nell’importanza riservata alle cerimonie in sé, dalla commemorazione dei defunti, alla benedizione del nuovo raccolto, all’iniziazione dei giovani alla vita adulta, a tante altre occasioni  in cui celebrare, lodare ed esternare una forma di immensa gratitudine“.

Una credenza comune a tutte le etnie – ci spiega ancora – è invece l’idea che la vita non si esaurisca con la dipartita della persona, anzi sarà importantissimo onorare il defunto con costose cerimonie al fine di potersi ricongiungere con il proprio antenato e non rimanere in questa dimensione a perseguitare chi non gli ha portato rispetto. Va da sé che i costi di queste cerimonie sono molto elevati e il più delle volte riducono le famiglie sul lastrico, ma poco importa se hanno saputo accompagnare l’anima a ricongiungersi con i propri avi”.

Rituali tradizionali. Foto tratta da Pixabay – Licenza CC

Preservare le tradizioni culturali è compito di molte figure della società, ci spiega la ricercatrice: “Il ruolo dei clan, dei capi villaggio, dei re, dei sacerdoti divinità e degli anziani è quello di depositari e custodi delle usanze che vengono trasmesse attraverso proverbi tradizionali, racconti o balli al chiaro di luna (questo è noto, per esempio tra gli Igbo, come akukoifo/egwuonwa), adagi, ninne nanne, poesie, indovinelli, incantesimi, canti di lode, come gli oriki, o recital di religioni tradizionali come i versi Ifa tra gli Yoruba“.

Abbiamo poi chiesto alla dottoressa Casagrande se esistano elementi culturali o tradizioni nigeriane ancora sconosciute al mondo occidentale: “Sì, ve ne sono parecchie, a dir la verità. Ed è giusto che rimangano sconosciute, visto i risultati di quelle che sono state studiate, vivisezionate, deturpate della loro preziosità e sacralità […] questo si è capito benissimo, l’aggressività di un certo tipo di pseudo studiosi pronti a far propria una cultura millenaria della quale non hanno alcun diritto né accessibilità“.

Infine la Casagrande ci racconta come tutte le etnie abbiano un grande e incommensurabile rispetto per la propria cultura e per i propri costumi nonostante la migrazione: “possiamo considerare cultura tutta una serie di attività che non sono necessariamente tipiche solo del mondo rurale; la musica, per esempio, la danza, l’arte, il modo di rapportarsi tra individui” […] Per fare un esempio: “vi è una particolarità in questo popolo che risiede nell’importanza del saluto, per qualsiasi cosa. Stai con le mani in mano, contemplando il cielo? “Well done Sir/Ma!” Ti sei appena svegliato? “How was your night Sir/Ma?”.

Madre nigeriana con i suoi bambini. Foto tratta da Pixabay – Licenza CC

Una grande produzione culturale e religiosa dunque, ma anche una delle mafie più pericolose e diffuse al mondo. La mafia nigeriana ha molti nomi e la sua genesi è ben differente da quella nostrana sebbene le accomunino alcune caratteristiche metodologiche e di contorno. La moderna mafia nigeriana nasce attorno agli anni ’80 con la crisi del prezzo del petrolio, ma ogni differente gruppo criminale ha una storia tutta sua.

Famoso è il gruppo dei “Black Axe” nato all’interno dell’Università di Benin City sul finire degli anni ’70. Non era l’unico, in quegli anni nelle università nigeriane stavano nascendo diverse “confraternite”, gruppi identitari caratterizzati da una specifica simbologia, da precisi colori e ritualità. Inizialmente furono gruppi studenteschi, ma poi vennero strumentalizzati in forma anti-sindacato (quello degli studenti) dal regime militare che iniziò a finanziarli. Si era aperta la strada delle armi e della violenza; oggi i membri di “Ascia nera” si dedicano allo spaccio di droga e alla spietata tratta della prostituzione, sono ormai noti i molti legami con Cosa Nostra e la loro roccaforte, in Italia, è Castel Volturno.

Altri gruppi “degni di nota” sono quello degli Eyie e dei Viking ognuno in guerra con l’altro (e non solo). L’ambito di azione di queste mafie non è certo quello definito dai confini nazionali ma va ben oltre. Si tratta di organizzazioni gerarchicamente strutturate per controllare – dalla Nigeria e nei minimi dettagli – le azioni dei propri affiliati nei Paesi esteri. Violenza, potere, sfruttamento, magia e superstizione.

Le giovani donne di Benin City vengono avviate alla prostituzione dai loro aguzzini attraverso terribili riti magico-esoterici come il Juju compiuto il quale si è condannati a una vita su strada, di continui ricatti e minacce di morte. Un recente lavoro sull’identità e le azioni dei Black Axe – camuffati con il nome “Neo black movement” – si trova nel documentato libro di Leonardo PalmisanoAscia nera. La brutale intelligenza della mafia nigeriana“. Le donne sfruttate sulla strada sono una piccolissima parte di quei migranti che sbarcano sulle coste europee, ma gli aguzzini no, i pezzi grossi della mafia nigeriana viaggiano comodi: aerei, treni e smartphone.

Nigeria madre di materie prime appetibili e risorse come petrolio, gas e minerali. Un’ottima preda per l’Occidente come dimostrano alcuni dati pubblicati da Amnesty International che smentiscono quelli forniti dalle multinazionali del petrolio e dell’energia Eni e Shell. Dati che dimostrano lo scempio compiuto nel Delta del fiume Niger in termini di inquinamento dell’area e sfruttamento. Anche questo faceva parte di quello che Ken Saro-Wiwa denunciava scrivendo, finché ha potuto farlo; lui che fu scrittore, poeta, drammaturgo,  fondatore del Movimento non violento per la sopravvivenza del popolo Ogoni e attivista per la difesa dell’ambiente. Lui che non fu perdonato dai potentati occidentali, dalla corruzione locale e dagli interessi del capitale onnivoro. Fu invece impiccato a seguito di un processo farsa sulla base di una finta accusa.

Per evitare un imbarazzante processo l’azienda anglo-olandese Shell decise poi di patteggiare pagando 15 milioni e mezzo di dollari. Per quanto riguarda Eni, invece, siamo ben lontani dai buoni propositi del suo fondatore, l’imprenditore partigiano Enrico Mattei. Lo si legge anche dagli atti di un processo in corso a Milano, dove il pubblico ministero ha chiesto 8 anni di carcere per l’ad Claudio Descalzi e per il suo predecessore Paolo Scaroni, l’accusa è corruzione internazionale.

Se c’è un’industria nigeriana in crescita oggi è sicuramente quella artistico-musicale, incassi milionari dal 2015 al 2019 grazie alle proposte musicali di numerose etichette discografiche. Anche all’estero la buona musica nigeriana non si risparmia, Jackson Alade vive in Italia da quando è minorenne; ha raggiunto qui la madre con la procedura del ricongiungimento familiare. Dice di aver scoperto dall’Italia molte cose sul suo Paese – come è normale che sia – e ora è un artista affermato che propone il suo bagaglio afrobeat fondendolo con i generi più diversi.

Il settore cinematografico è tra i più importanti del continente grazie alle case di produzione di Nollywood la cui fama si è affermata in mezzo mondo e da poco è sbarcata anche in Italia. Nel mondo aumenta la popolarità della scrittrice Igbo e attivista Chimamanda Ngozi Adichie: al suo omonimo capolavoro è ispirato il filmMetà di un sole giallo (il simbolo della bandiera del Biafra indipendentista).

La grande madre Nigeria che oggi piange i suoi ragazzi e le sue ragazze dispersi nel mondo. I giovani nigeriani (e africani) che oggi sbarcano a Lampedusa portano alla mente quei giovani e giovanissimi italiani che a bordo di navi raggiungevano New York sbarcando sulla piccola isola di Ellis Island.

Wiwa scriveva che la vera prigione non è quella dove si sente il rumore delle chiavi del secondino girare nella porta metallica, ma quella che sorge dallo sposare l’ingiustizia, dal mascherare la vigliaccheria con l’obbedienza: “Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione” – da “La vera prigione”.

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