Nell’Amazzonia brasiliana, a Roraima, si consuma una crisi umanitaria tra le più ignorate e banalizzate al mondo.
Gli Yanomami, uno dei gruppi etnici più numerosi del Sud America, sono l’ultima vittima nella lunga storia del moderno genocidio delle tribù indigene del Brasile. A condannarli sono i fortissimi interessi che si intrecciano intorno al mercato mondiale dell’oro, con il suo impatto devastante sulla foresta pluviale più grande e biodiversa del pianeta e le popolazioni (umane e non) che la abitano.
“Non riusciamo neanche a contare i corpi” titolava qualche settimana fa il più recente reportage del sito d’inchiesta Sumaùma, non certo il primo a denunciare le disperate condizioni di sopravvivenza e il caos sanitario che flagella il popolo Yanomami da quando, complice il Governo di Jair Bolsonaro, i garimpeiros (i cercatoro d’oro clandestini) sono tornati a invadere la sua terra, a migliaia.
Cadono come mosche gli Yanomami, soprattutto i bambini. Nei quattro anni del mandato Bolsonaro, ogni 60 ore un bambino Yanomami è morto che non aveva ancora compiuto cinque anni.
Con la pancia gonfia per la fame e i parassiti che la infestavano. Per una delle malattie portate dai non indigeni che, per razziare l’oro, violentano la foresta e i suoi custodi. O magari avvelenati dal mercurio che contamina le acque e il suolo attorno alle miniere auree illegali, scavate a migliaia nelle terre ancestrali che si estendono sul confine brasiliano con il Venezuela.
Senza alcuna cura, lì dove non ci sono più medici con i presidi sanitari distrutti o usati a deposito dai garimpeiros, e lo scorso anno è mancato il 70% delle scorte di farmaci che avrebbero dovuto curare 10 mila bambini Yanomami dalla diarrea, i vermi intestinali e le polmoniti (probabilmente perse tra le maglie di una larga rete di corruzione nel sistema sanitario brasiliano).
“Stiamo soffrendo, i nostri figli stanno morendo. Noi non abbiamo colpe. Coloro che rubano la terra degli indigeni sono i colpevoli“, è il messaggio del leader Yanomami in lutto Davi Kopenawa.
La salita al Planalto dell’estrema destra, nel 2019, aveva portato con sé scellerate politiche di sostegno all’estrazione mineraria, lo scioglimento del Consiglio nazionale delle politiche indigene che dal 2015 monitorava la situazione delle popolazioni tradizionali, e il progressivo smantellamento del sistema sanitario indigeno.
Risultato: “570 bambini potrebbero giocare in questo momento, se ci fosse stata un’adeguata assistenza sanitaria o azioni preventive. Non c’erano“, si legge sul rapporto di Sumaùma.
Con l’insediamento del nuovo Governo federale brasiliano a guida riformista, lo scorso 20 gennaio è arrivata finalmente una dichiarazione di emergenza sanitaria sul territorio yanomami. Squadre di medici sono state inviate sul campo, e per tanti è stato necessario organizzare il trasporto aereo d’urgenza negli ospedali di Boa Vista.
Epidemie di malaria (con i casi aumentati del 76% nelle aree di estrazione dal 2016 al 2020) e altre malattie infettive, campi improduttivi e moria di pesci, fuga della cacciagione privata anch’essa di territorio e spaventata dal rumore degli escavatori, sono l’eredità lasciata a generazioni di Yanomami dalla criminale occupazione delle più grandi terre indigene del Paese da parte degli oltre 20 mila cacciatori d’oro illegali a cui l’ex presidente Bolsonaro aveva deliberatamente aperto le porte.
“La situazione è estremamente drammatica. Hanno distrutto tutto [..] I bambini Yanomami muoiono di malnutrizione a un ritmo 191 volte superiore alla media brasiliana“, dice a Voci Globali Alice Farano della sezione italiana di Survival International.
I cercatori d’oro si sono spinti fino alle zone della foresta abitate dagli Yanomami incontattati, i Moxihatetema, “e in questo caso la situazione è anche peggiore. [..] Non hanno difese immunitarie per le malattie portate dall’esterno, anche un semplice raffreddore potrebbe spazzarli via. Non sappiamo cosa sia successo lì, né forse lo sapremo mai“, spiega rimandando agli oltre 150 km di strada illegale che negli ultimi mesi hanno aumentato esponenzialmente la capacità distruttiva del garimpo sulla terra yanomami.
E poi c’è la questione del ‘narco-minerario’, la mafia dell’oro d’Amazzonia, che ha riempito l’area di trafficanti e bande armate ormai in controllo di gran parte del mercato dell’oro illegale in Roraima.
Sono una serie di indagini della magistratura e della polizia federale brasiliana a rivelare che l’allentamento delle ispezioni ambientali che ha caratterizzato la presidenza Bolsonaro e la facilità con cui l’oro estratto illegalmente dalle terre indigene entra ripulito nel mercato finanziario internazionale hanno fatto della zona la nuova El Dorado dei cartelli della droga, il Primeiro Comando da Capital (Pcc) in particolare.
“Molte comunità nei pressi dei siti di estrazione illegale vivono in uno stato di assedio permanente, con i minatori che li minacciano e gli sparano contro: molti Yanomami sono stati attaccati e uccisi, le donne e le ragazze molestate e stuprate“, ci racconta la portavoce italiana del movimento globale per i diritti dei popoli indigeni.
Va in scena un disastro su tutti i fronti, insomma. Ora la notizia fa il giro del mondo, ma per anni lo sfregio ambientale che diventa crisi alimentare e sanitaria, come anche la crisi della sicurezza e dell’integrità socio-culturale del popolo Yanomami, è rimasto nell’ombra. Oscurato senz’altro anche dalla situazione di persecuzione e minaccia che ha colpito leader indigeni, indigenisti e giornalisti impegnati a denunciarlo, dice a Voci Globali Padre Corrado Dalmonego, missionario della Consolata a Boa Vista, capitale di Roraima.
“La maggioranza dei media ha raccontato la crisi con ritardo. [..] Ma soprattutto possiamo lamentare omissione da parte di alcuni poteri costituiti, in Brasile ma anche all’estero“, incalza l’antropologo mantovano che da 15 anni vive al fianco degli Yanomami e di una crisi invisibile proprio non vuole sentirne parlare, con tutti gli allarmi arrivati per anni dai leader indigeni e dalle organizzazioni impegnate sul territorio – stampa missionaria cattolica compresa – , e anche dalle corti nazionali e internazionali.
All’alba della terza era Lula, l’ex presidente Bolsonaro incassa dal nuovo establishment al Planalto l’accusa di genocidio. Non una novità per l’ex militare vicino alle lobby dell’agro-business che dalla Florida bolla la cosa come “una farsa di sinistra“.
“Jair Bolsonaro è un genocida. Ha ucciso l’acqua, la foresta, i pesci, i nostri figli. [..] Per anni ho denunciato e messo in guardia il Governo federale, il Ministero pubblico, il Funai e tutti gli altri. Con i garimpeiros ci sono autorità, deputati, senatori che finanziano e sostengono l’attività mineraria. Perciò è finita così male“, tuona Davi Kopenawa Yanomami.
Nei giorni scorsi, il ministero dei Diritti umani e della Cittadinanza del Brasile ha pubblicato un lungo elenco di inadempienze imputabili al leader del partito liberale, che non poteva non sapere e ha scelto di ignorare la catastrofe che colpisce gli Yanomami.
E la Corte suprema del Brasile ha annunciato un’indagine per genocidio, crimini ambientali, e altri reati connessi, per le azioni e omissioni dell’esecutivo Bolsonaro che possono aver minacciato la vita, la salute e la sicurezza di diverse comunità indigene.
“È cruciale che le autorità che hanno partecipato a questo piano genocida, e l’hanno incentivato, ora siano indagate e perseguite, compresi Bolsonaro stesso, Marcelo Xavier (ex presidente Funai), e Antonio Denarium (governatore di Roraima)“, interviene Farano.
Certo, i cercatori d’oro e l’estrattivismo incontrollato e violento sono un nemico antico degli Yanomami. Da decenni per l’oro amazzonico si distruggono ecosistemi, si radono al suolo villaggi, si uccidono uomini e bambini. A migliaia morirono durante la “prima corsa all’oro” degli anni ’80, il 20% della popolazione Yanomami morì in soli sette anni.
Dopo la demarcazione del Parco Yanomami nel ’92, però, l’aggressione socio-ambientale del garimpo aveva subito un’importante battuta d’arresto, ci spiega Padre Dalmonego. Si contavano circa 5 mila minatori illegali sui 9 milioni di ettari della Terra indigena yanomami (TIY) prima che Bolsonaro conquistasse la presidenza del Paese. È nei quattro anni del suo mandato che il numero delle miniere è cresciuto vertiginosamente.
Solo nell’ultimo anno, denuncia l’Associazione Yanomami Hutukara, l’attività di estrazione illegale è più che raddoppiata (+54% rispetto al 2021) e altri 1782 ettari di territorio sono andati distrutti per sempre. La deforestazione nell’area era già aumentata del 309% tra il 2018 e il 2021.
Perché? Sono tanti i fattori in concausa per cui gli Yanomami (sono stati) sotto attacco, tutti o quasi figli delle scelte politiche del Governo anti-indigeno ed ecocida di Bolsonaro. L’indebolimento delle politiche di tutela dei diritti delle popolazioni indigene e delle politiche ambientali (a cominciare dal taglio ai finanziamenti alle agenzie chiave per combattere la deforestazione amazzonica). La disoccupazione dilagante nel Paese, che ha messo a disposizione delle reti criminali grandi masse di manodopera a basso costo. Gli incentivi verbali e non solo all’estrattivismo e a tutte le attività di sfruttamento delle risorse naturali della foresta, che hanno accresciuto le aspettative per la regolarizzazione della pratica anche nelle aree protette.
A tutto questo si aggiunga l’aumento del prezzo dell’oro nel mercato internazionale e la mancanza di trasparenza nella filiera di produzione dell’oro, ed ecco tutti gli ingredienti sul piatto. Il genocidio è servito.
“L’Amazzonia è una frontiera di colonizzazione“, sintetizza Dalmonego. “Sottolineiamo anche che l’attuale garimpo usa tecnologie sofisticate e macchinari pesanti, e dispone di ingenti finanziamenti che provengono dalla rete internazionale dell’oro. A questa rete sono legati imprenditori e politici, locali e internazionali“, denuncia.
Sono Amazon Watch e l’Associazione dei popoli indigeni del Brasile (Apib) a stimare che quasi la metà delle esportazioni d’oro dal Brasile ha origine illegale.
Il rapporto Blood Gold chiama in causa il Big-Tech e i giganti dell’automobile – da Apple a Tesla – che si rifornirebbero da raffinerie sotto inchiesta per il coinvolgimento nel business genocida delle estrazioni minerarie illegali nelle terre indigene. Persino il nostro Bel Paese potrebbe essersi già sporcato del sangue del popolo Yanomami, denuncia Repòrter Brasil.
Il via a una massiccia operazione di espulsione dei garimpeiros è arrivato lo scorso 7 febbraio da Brasilia: è caccia ai cacciatori, una nuova “Selva Livre”.
“Un primo passo urgente e necessario“, commenta la portavoce di Survival Italia, “ma ci vorrà tempo e vera volontà politica per riparare gli enormi danni fatti in questi anni, smantellare le reti criminali e perseguire non solo gli invasori, ma anche i politici e gli uomini d’affari che hanno tratto profitto da questo genocidio“.
L’intervento contro i cercatori d’oro è l’ultima delle azioni che il Governo Lula ha messo in campo in apertura del suo terzo mandato a segnare il cambio di passo rispetto al predecessore sulla questione indigena in Brasile.
L’annullamento del decreto che favoriva lo sfruttamento minerario e le storiche nomine delle indigene Sônia Guajajara e Joenia Wapichana rispettivamente alla guida del neonato ministero dei Popoli indigeni e del rinominato Dipartimento degli affari indigeni (Funai) avevano già acceso grandi speranze nel popolo Yanomami.
Adesso bisognerà stare a vedere quanto le speranze potranno tradursi in risposte efficaci e concrete all’enorme questione della tutela degli Yanomami e di tutte le popolazioni indigene del Brasile, con le divisioni al Congresso Nazionale che rappresentano una grande sfida alle promesse sul tema della presidenza Lula, ci fa notare Padre Corrado.
“Le prime decisioni di Lula e della sua squadra sono incoraggianti, ma non c’è un minuto da perdere. Le forze politiche e i mercati mondiali che alimentano il genocidio dei popoli indigeni del Brasile andranno avanti, aggressivi come sempre. Dobbiamo tenere alta l’attenzione affinché il Governo di Lula protegga i loro territori sul lungo termine“, gli fa eco Alice Farano.
Che sia ristabilita la rete sanitaria indigena e, soprattutto, che sia garantita la protezione permanente e totale della loro terra – come le leggi internazionali e la Costituzione brasiliana vorrebbero – sono le preoccupazioni più urgenti per il popolo Yanomami, perché ciò che è accaduto non debba ripetersi mai più.
“È necessaria la liberazione del territorio, [..] ma anche progetti di riappropriazione del territorio, secondo i canoni di vita yanomami, seguendo le proposte incluse nel Piano di gestione territoriale e ambientale della Terra indigena yanomami“, sottolinea Padre Corrado.
Quale futuro aspetti gli Yanomami è ora difficile a dirsi. “Le realtà di circa 370 comunità Yanomami diffuse sul territorio, che parlano sei lingue diverse con ulteriori varianti regionali, con diverse storie di contatto con la popolazione circostante, con realtà ecologiche, sociali e culturali diverse.. sono estremamente varie. Non è possibile fare un discorso uniformante e semplicista. Probabilmente – è un’ipotesi – nulla sarà come prima di questa ulteriore invasione“, chiosa il missionario.
Il genocidio degli Yanomami è il più terribile esempio di quanto diritti ambientali e diritti umani, benessere del pianeta e sopravvivenza delle persone siano inevitabilmente interconnessi.
Che i popoli indigeni vivano in un territorio di straordinaria biodiversità non è un caso, ripete Farano, hanno contribuito a plasmarla e alimentarla nel corso delle generazioni. “I popoli indigeni sono i migliori custodi del mondo naturale, c‘è un profondo legame tra diversità umana e biodiversità, [..] Perciò riconoscere e garantire i diritti dei popoli indigeni, in particolare quello di vivere nella e della propria terra, non solo è cruciale per permettere loro di sopravvivere e prosperare, ma è di gran lunga il modo più efficace di proteggere il pianeta“, insiste.
Davi Kopenawa ha chiesto ascolto per i popoli indigeni: “Siamo esseri umani. Sappiamo parlare, combattere, prenderci cura del nostro posto, difendere i nostri diritti, la nostra salute, i nostri costumi. E proteggiamo l’Amazzonia. Tutti sanno che la foresta amazzonica è importante, e non solo per noi ma per il mondo intero“.
“Non ci saranno più genocidi. [..] L’umanità ha un debito storico con le popolazioni indigene, che preservano l’ambiente e aiutano a contenere gli effetti del cambiamento climatico. Quel debito sarà ripagato, in nome della sopravvivenza del pianeta“, è la promessa che apre la nuova esperienza di Governo di Luiz Inàcio Lula da Silva, che della tutela ambientale fa la priorità del suo mandato.
Speriamo.