“È ormai ampiamente riconosciuto che l’umanità si trova di fronte ad un bivio. L’evidenza scientifica comprova che le emissioni di gas serra e la distruzione degli ecosistemi ai livelli attuali avranno conseguenze catastrofiche per il nostro ambiente. In collaborazione con iniziative politiche, diplomatiche ed economiche, il diritto internazionale ha un ruolo cruciale nel trasformare il nostro rapporto con il mondo naturale, mutando tale relazione da dannosa ad armoniosa”
Così la fondazione globale Stop Ecocide introduce la proposta redatta da 12 penalisti e avvocati ambientalisti di fama internazionale, nella quale fornisce – dopo sei mesi di deliberazioni – una definizione legale di ecocidio, da considerare come possibile quinto crimine internazionale.
La definizione, consultabile su un apposito sito web, è ora a disposizione degli Stati che potranno usufruirne. Oltre ai 12 esperti, alla redazione ha contribuito The Promise Institute For Human Rights, dell’UCLA – University of California, con un gruppo di lavoro e di studio composto anche da giovani tra i 20 e i 23 anni. Prima e durante il corso della redazione sono state raccolte le conoscenze e i pareri dei leader indigeni e religiosi, dei giovani e del settore della sostenibilità ambientale, insieme a report scientifici da tutto il mondo. Il testo è frutto di cooperazione – al di là delle differenze – per una causa e un bene comune.
Definire legalmente l’ecocidio e considerarlo come crimine internazionale consentirebbe di individuare i responsabili – individui, compagnie e Governi – di azioni a grande impatto ambientale e processarli alla Corte Penale Internazionale, per questo la definizione presentata ha valenza storica.
Voluta inizialmente dai parlamentari del Governo di Svezia, la proposta è sostenuta dal Parlamento Europeo, che a gennaio 2021 ha votato per sollecitare l’Unione Europea ad incentivare il riconoscimento dell’ecocidio come crimine internazionale.
Lo statuto redatto dal team di esperti indipendenti intende l’ecocidio come “azioni illecite commesse con la consapevolezza delle sostanziali probabilità di gravi e ampi danni a lungo termine causati da tali azioni”. Nel termine “grave” è sottintesa l’idea che il danneggiamento irreversibile dell’ambiente – la Terra, la biosfera, la criosfera, la litosfera, l’idrosfera, l’atmosfera e lo spazio – compromette la vita di intere specie animali e di un ampio numero di esseri umani.
Criminalizzare atti che potrebbero mettere in serio pericolo la vita – in generale – non solo contribuirebbe a limitare l’attuale clima di impunità, ma garantirebbe una responsabilizzazione e una presa di coscienza dal piano giuridico al piano sociale, salvaguardando la capacità rigenerativa della Terra e il presente e il futuro delle prossime generazioni. Ponendo dei limiti reali a chi prende le decisioni.
L’ecocidio avviene ed è sostenuto dalle guerre e dall’industria militare– tra le maggiori cause di distruzione di interi ecosistemi – dall’industria agrolimentare e manifatturiera, dall’estrazione mineraria e di combustibili fossili, dall’energia nucleare. Lo stile di vita estremamente consumista inoltre contribuisce e favorisce pratiche a forte impatto ambientale.
Sono ormai entrati a fare parte della memoria collettiva i nomi dei luoghi nel mondo che hanno subito i disastri più clamorosi – Seveso, Phobal, Chernobyl, Fukushima, Love Canal, Brumandinho – ma tuttora concessioni e finanziamenti da parte dei Governi promuovono azioni e accordi commerciali incuranti delle conseguenze sull’equilibrio degli ecosistemi.
Ad oggi, il delta del Niger è tra i luoghi più inquinati del mondo, a causa delle continue fuoriuscite di petrolio dalle fabbriche di produzione del territorio. Anche le acque del Golfo del Messico contengono i residui del massiccio sversamento di petrolio della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuto nel 2010. L’attuale deforestazione di enormi aree della Foresta Amazzonica ha causato la perdita di migliaia di specie di animali e compromette la vita di intere comunità indigene.
I Governi e le compagnie agiscono indisturbate, se non dalle proteste dei popoli nativi e della società civile, da tempo consapevoli di quanto sia importante la criminalizzazione dell’ecocidio. Le istuzioni pubbliche infatti hanno la possibilità di finanziare pratiche dannose per l’ambiente – ma essenziali per la produzione economica globale – perché non sono abbastanza criminalizzate e non ci sono effettive prese di responsabilità di fronte alle catastrofi.
Le recenti notizie dal Brasile dimostrano quanto sia sempre più necessaria una vera e propria presa di coscienza, anche sul piano legislativo. Sono attualmente in corso le proteste dei popoli indigeni brasiliani a Brasilia, contro il progetto di legge 490, redatto nel 2007 e approvato questo 23 giugno 2021 dal Governo. Il progetto rende ancora più difficile la demarcazione dei territori indigeni protetti e rappresenta un grande passo indietro rispetto alla salvaguardia dei diritti costituzionali dei popoli nativi.
Limitare la gestione delle aree da parte dei nativi equivale a concedere un pass-par-tous all’industria agro-alimentare e all’estrazione mineraria, favorendo il disboscamento e lo sfruttamento illimitato della Terra. Inoltre, il Progetto di Legge permette la costruzione di imprese senza consultare le comunità indigene e facilita il contatto con i popoli isolati e ancora incontattati.
Reduce dai due anni (2019 e 2020) peggiori dal 2010 per gli incendi – aumentati dell’82% rispetto al 2018 – l’Amazzonia continua ad essere sotto assedio. Il Governo e la retorica del presidente Bolsonaro sostengono le azioni illecite e l’impunità dei taglialegna e delle organizzazioni criminali che agiscono anche uccidendo gli abitanti indigeni. Le proteste contro il progetto di legge 490 – che hanno riunito più di 800 indigeni di 45 diverse etnie – continuano da circa venti giorni e sono state represse da azioni violente da parte della Polizia, causando diversi feriti.
L’approvazione del progetto di legge si inserisce tra le pratiche ecocide e contribuisce ad aggravare condizioni ambientali già fragili. L’opinione pubblica nazionale e internazionale ha dimostrato solidarietà verso i manifestanti e i parenti dei feriti durante la repressione.
L’ecocidio non è un fenomeno a sé, si inserisce in un contesto globale in cui razzismo, sessismo, colonialismo e sfruttamento estremo collaborano in un unico sistema sostenuto dal mito del progresso e della produzione sfrenata, senza alcuna coscienza del rischio e del limite. Perciò la proposta rappresenta un contributo importante al fianco di chi oggi e da sempre lotta perché tale struttura venga scardinata e si riconosca come irrazionale.