[Agenda 9-22 luglio 2020. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]
Politica internazionale – Siria, riavviati gli aiuti internazionali ma con un solo “access point”
L’11 luglio, il Consiglio di Sicurezza ONU ha autorizzato – con risoluzione n. 2533, proposta da Germania e Belgio – il trasporto, per un altro anno, delle forniture salvavita in Siria attraverso un unico valico di frontiera turco (Bab al-Hawa). Grazie a questo tipo di autorizzazione, l’ONU distribuisce, dal 2014, gli aiuti senza il consenso di Damasco. La risoluzione è frutto di un aspro dibattitto svoltosi per giorni e che ha visto la netta contrapposizione delle grandi potenze in merito ai “punti di accesso” per gli aiuti umanitari nel Paese mediorientale. Russia e Cina hanno esercitato il proprio diritto di veto sulle proposte volte a mantenere i precedenti “crossing point“. In particolare, Mosca ha chiesto (e ottenuto) la chiusura del passaggio di Bab al-Salam, sostenendo che “l’assistenza umanitaria deve comunque rispettare la sovranità e l’integrità territoriale della Siria”. Dopo l’adozione dell’atto – 12 voti a favore e 3 astensioni: Cina, Russia, Repubblica Domenicana – i diplomatici europei e statunitensi hanno espresso disappunto per il compresso raggiunto. A loro avviso, utilizzare un unico punto di accesso significa ostacolare di fatto la consegna degli aiuti umanitari.
Diritti umani – Amnesty International chiede giustizia per gli omicidi di Fata Borno
“Il popolo del Darfur ha il diritto di far sentire la propria voce e di protestare in modo pacifico. Le autorità del Sudan devono quindi immediatamente rivedere le loro operazioni di sicurezza nella regione al fine di garantire protezione ai civili dagli attacchi deliberati messi in atto dalle milizie armate“. Con queste parole, il 13 luglio, Deprose Muchena – Direttore di AI per l’Africa orientale e meridionale – ha commentato la strage perpetrata da un gruppo armato affiliato alle forze di sicurezza sudanesi a Fata Borno, che ha portato alla morte di nove manifestanti e al ferimento grave di altri diciassette. Nello Stato del Nord Darfur, le proteste erano iniziate il 6 luglio. Le richieste dei dimostranti erano volte a ottenere una maggiore sicurezza, la tutela dei raccolti e le dimissioni dei funzionari legati al regime dell’ex presidente Omar al-Bashir. L’ONG ha chiesto alle autorità sudanesi di avviare immediate indagini imparziali sugli omicidi e sulle altre gravi violazioni dei diritti umani. È necessario “porre fine all’impunità di cui godono i membri dell’esercito e dei gruppi armati, che da 17 anni causano morte e sofferenza a un popolo”, ha concluso Deprose Muchena.
Giustizia sociale – Iraq, i leader religiosi pronti a supportare le vittime dell’ISIS
Con una storica dichiarazione congiunta del 16 luglio, i rappresentanti iracheni di Islam, Chiesa cristiana e altre fedi, hanno manifestato la chiara volontà di contribuire alla concreta riconciliazione del Paese attraverso il pieno sostegno alle vittime dell’ISIS. I firmatari, nel riconoscere le “atroci sofferenze” subite dai sopravvissuti di violenza sessuale e di genere, hanno sottolineato il loro impegno a garantire che tali individui siano “pienamente supportati” all’interno delle proprie comunità, anche per evitare ogni forma di stigmatizzazione nei loro confronti. Hanno inoltre invitato i terroristi a restituire ogni bambino rapito alla propria famiglia di appartenenza. L’incontro tra i leader religiosi – tenutosi online – è stato possibile grazie ai buoni auspici del Consigliere Speciale delle Nazioni Unite che dirige anche l’UNITAD (United Nations Investigative Team to Promote Accountability for Crimes Committed by Da’esh/ISIL), e della coalizione internazionale “Religions for Peace“, comprendente 90 Consigli interreligiosi nazionali e 6 regionali. L’UNITAD ha espresso gratitudine ai leader religiosi per il loro coraggio nel denunciare l’ideologia dell’ISIS come “contraria ai principi di qualsiasi fede e ai valori dell’umanità“.
Ambiente – Malesia, scoperti rifiuti tossici provenienti dalla Romania
La Bernama – agenzia di stampa nazionale malesiana – il 19 luglio, ha reso nota la scoperta di 110 container di metalli pesanti pericolosi provenienti dalla Romania e diretti in Indonesia, entrati illegalmente nel Paese e ivi abbandonati il mese scorso. Il ministro dell’Ambiente e dell’Acqua, Tuan Ibrahim, ha precisato che 1.864 tonnellate di polveri di fornace a arco elettrico (EAFD) – un sottoprodotto della produzione di acciaio contenente metalli pesanti come zinco, cadmio e piombo – sono stati trovati nel porto di Tanjung Pelepas, nello Stato meridionale di Johor. Secondo Tuan Ibrahim, “si tratta del più grande transito di rifiuti tossici nella storia della Malesia“, avvenuto senza alcuna notificazione da parte di Bucarest in contrasto con le norme previste dalla Convenzione di Basilea del 1992. Il Dipartimento dell’Ambiente malesiano ha, pertanto, contattato le competenti autorità rumene per organizzare il rimpatrio dei container e l’Interpol per svolgere ulteriori indagini. La Malesia, negli ultimi anni, è diventata la principale destinazione mondiale dei rifiuti in plastica. I traffici illeciti hanno riguardato anche l’Italia, come denunciato nel 2019 da Greenpeace.
Africa – Uganda, sesta candidatura per il presidente Museveni
Il Movimento per la Resistenza Nazionale (NRM) ha confermato, il 21 luglio, la decisione dell’attuale capo di Stato Yoweri Museveni di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali in Uganda. La tornata elettorale dovrebbe tenersi tra il 10 gennaio e l’8 febbraio 2021. Museveni, con buone probabilità, sfiderà Bobi Wine, cantante, attivista e politico di 38 anni molto seguito dai giovani ugandesi. In caso di vittoria, il leader 75enne rimarrebbe in carica per il sesto mandato consecutivo. Salito al potere nel 1982, Museveni fu inizialmente accolto in modo positivo dall’Occidente, soprattutto per le riforme realizzate in ambito economico ed educativo nonché per il suo impegno nella lotta contro l’AIDS. Nel corso del tempo, è però cresciuta la disapprovazione nei suoi confronti in relazione alle accuse di corruzione e di leadership autocratica. I suoi detrattori, al momento, lo criticano di aver utilizzato le misure anti-Covid per assicurarsi un vantaggio sui rivali. In effetti, l’Uganda – nonostante sia stata poco colpita dal coronavirus – ha attuato uno dei lockdown più severi dell’intero continente africano. E gli attivisti per i diritti umani, già nei mesi scorsi, avevano denunciato violenze e detenzioni arbitrarie messe in atto proprio per silenziare gli oppositori politici.