[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Paul Rogers pubblicato su The Conversation]
Nell’ottobre 2017, poco dopo la caduta della città siriana di Raqqa, cuore del califfato dello Stato Islamico (IS), il presidente degli USA Donald Trump aveva annunciato che l’IS era stato sconfitto e la guerra vinta. Nove mesi dopo è tutt’altro chiaro in che misura l’IS sia stato davvero sconfitto e, nel frattempo, i gruppi paramilitari islamisti sono sempre più attivi in diverse aree.
Nel 2014 lo Stato Islamico aveva occupato gran parte della Siria settentrionale e dell’Iraq, tra cui la città di Mosul, spingendo il presidente Barack Obama a ordinare attacchi aerei intensivi per limitare la sua diffusione e aiutare gli Iracheni, e gli altri popoli colpiti, a spingerlo sulla difensiva. Per quasi quattro anni è stata combattuta una guerra aerea straordinariamente intensa, principalmente dagli Stati Uniti ma con l’aiuto di Francia, Regno Unito e altre potenze dell’Europa e del Medio Oriente.
Secondo gli ultimi dati del gruppo di monitoraggio Airwars, sono stati registrati oltre 1.424 giorni di attacchi aerei e sono stati utilizzati 107.814 missili e bombe contro 29.741 bersagli in Iraq e Siria da parte delle forze guidate dagli USA. Fonti del Pentagono parlano di almeno 60.000 paramilitari appartenenti all’IS uccisi, ma Airwars ha riportato anche la morte di 6.321 civili.
Le cifre non includono tuttavia l’impatto delle centinaia di attacchi aerei russi e le informazioni provenienti dalle città pesantemente bombardate di Raqqa e Mosul in Iraq suggeriscono che molte migliaia di corpi di civili sono ancora sepolti sotto le macerie.
La guerra ha avuto l’effetto desiderato e le forze armate di terra irachene, statunitensi, francesi e di altri Stati, fortemente assistite da milizie legate all’Iran, hanno recuperato con successo la maggior parte del territorio precedentemente controllato dall’IS. Il califfato è certamente scomparso – almeno per ora – ma molti altri sviluppi suggeriscono che questa sia solo una pausa in una lunghissima, irregolare, guerra.
Missione compiuta?
Ci siamo già passati. L’ex presidente George W. Bush aveva dichiarato in passato che il regime dei Talebani in Afghanistan era finito e al-Qaida si era disperso entro i quattro mesi successivi agli attacchi dell’11 settembre. In seguito, il presidente prontamente allargò la “guerra al terrore” a un’asse del male di Stati “canaglia” con l’Iran al centro come primo obiettivo.
In Afghanistan la guerra contro i Talebani e l’IS continua e si avvicina al suo diciottesimo anno, con il nuovo comandante delle forze americane nel Paese, il generale Austin Scott Miller, che recentemente ha riferito al Comitato delle forze armate del Senato di alcuni progressi ma ha anche detto: “Non posso garantirvi una cronologia o una scadenza“. Miller è il diciassettesimo comandante delle forze USA presenti nel Paese dall’11 settembre 2001.
Nel marzo 2003, Bush guidò gli Stati Uniti e i suoi partner nella guerra in Iraq. Tre settimane dopo, Baghdad cadde in mano alle truppe della coalizione e Bush pronunciò il suo famoso discorso sulla “missione compiuta“. Al contrario, la guerra andò avanti ancora per sette anni.
Osama bin Laden è stato ucciso dalle forze speciali statunitensi nel 2011 ma al-Qaida è sopravvissuto in diversi Paesi. Obama pensava che la guerra in Iraq si fosse sufficientemente placata da poter consentire agli Stati Uniti di ritirare le truppe entro la fine del 2011 ma, nel giro di due anni, dal nulla è arrivato lo Stato Islamico a porre una nuova minaccia, ancora così attuale che il capo del MI5 del Regno Unito ha ribadito all’inizio di quest’anno il rischio, più alto che mai, di attacchi in Gran Bretagna.
Lo Stato Islamico è ancora una minaccia
La situazione attuale è che lo Stato Islamico continua a esistere nonostante le sue enormi perdite. Controlla un territorio talmente vasto nella Siria orientale che contro questa presenza il Governo iracheno ha avviato la costruzione di una barriera di sicurezza al confine tra i due Paesi.
L’IS continua inoltre a diffondere un’intensa propaganda sui social media per incoraggiare gli attacchi contro gli Stati occidentali ed è attivamente collegato con gruppi in Egitto, Somalia, Yemen e nelle Filippine.
In Siria e in Iraq sembra che si sia tornati al regime di guerriglia. Ora il punto di forza per i sostenitori dell’IS è che il “Califfato”, compiuti ormai i suoi 4 anni, ha rappresentato principalmente un simbolo di ciò che si potrebbe ottenere contro le forze travolgenti dei crociati e dei loro sostenitori sionisti – un simbolo per il futuro.
Forse il segnale più indicativo di quel futuro è l’attuale livello delle operazioni militari occidentali in tutta la regione del Sahel, nell’Africa subsahariana. Gran Bretagna e Francia sono i principali Stati europei coinvolti, per esempio in Mali, Niger e Nigeria. E anche le forze speciali statunitensi sono in prima linea in una serie di guerre aspre, ma di cui non si parla, che includono Somalia, Kenya e Tunisia.
Un breve rapporto pubblicato su Politico ha riportato alcuni dettagli secondo cui le forze speciali USA sono state coinvolte in azioni militari dirette.
Il rapporto afferma che, nonostante i portavoce militari sostengano che il ruolo americano in Africa sia limitato a “consigliare e assistere”, la verità è che per almeno cinque anni i Berretti verdi, i Navy Seals e altri commando, “operando sotto un’autorità poco chiara” hanno programmato e controllato missioni che li hanno praticamente messi a capo delle loro forze partner africane. Un ufficiale dei Berretti Verdi ha spiegato a Politico: “Non si tratta tanto di un ‘Vi stiamo aiutando’, quanto piuttosto di un ‘State eseguendo i nostri ordini‘”.
L’IS e altri movimenti estremisti sembrano vedere il loro futuro ovunque ci sia un gran numero di persone ai margini – specialmente giovani uomini pieni di amarezza e risentimento – abbastanza istruiti da sapere che le loro possibilità di vita sono appena migliori di zero, e tutti troppo pronti a convertirsi a una causa attraente, seppur estrema.
Le guerre contro lo Stato Islamico, al-Qaida e gli altri movimenti mostrano che le risposte militari sembrano funzionare a breve termine, ma non cambiano molto la situazione nel lungo termine. Questo cambiamento avverrà solo affrontando i fattori socio-economici e ambientali sottostanti che sono così utili a questi movimenti. Questo è un messaggio che le élite occidentali non vogliono ascoltare, e le guerre continuano.