[Traduzione a cura di Silvia Godano dall’articolo originale di Neil Faulkner pubblicato su The Ecologist]
“I patogeni, enorme e terribile minaccia globale per la specie umana e non solo, sono una spada di Damocle che pende sulla nostra civiltà alla stregua del cambiamento climatico.”
Questa frase è stata scritta dall’epidemiologo evoluzionista Robert Wallace nel 2015. Ma già dagli anni Novanta, Wallace e molti suoi colleghi avevano inziato a esprimere pubblicamente le possibili minacce derivate dall’industria agroalimentare, che sarebbe all’origine della diffusione di nuovi virus letali e a rapida trasmissione.
L’urgenza sulla questione pandemie ha iniziato a farsi largo nello stesso periodo in cui i discorsi sul cambiamento climatico diventavano popolari. Molti di noi si sono concentrati sull’emergenza climatica – e con questo non intendiamo dire che fosse sbagliato – ma l’anno appena trascorso ci ha impartito un’amara lezione: i patogeni letali rappresentano una minaccia altrettanto grave per l’umanità.
Catastrofe
Fin dalla prima Conferenza delle Parti (COP) sul cambiamento climatico indetta dalle Nazioni Unite nel 1995, l’emergenza climatica è decisamente peggiorata. Le emissioni di anidride carbonica hanno registrato una netta accelerazione: da 26 miliardi di tonnellate nel 1995 a 37 miliardi di tonnellate nel 2018. Le concentrazioni atmosferiche sono dunque aumentate da 350 ppm nel 1990 ai 410 ppm attuali. L’aumento delle temperature medie a livello globale dopo la Rivoluzione Industriale si è verificato per metà solo dal 1995 a oggi. Il volume medio della banchisa dell’Artico si è sostanzialmente dimezzato negli ultimi 40 anni. Quale che sia l’unità di misura, la storia non cambia.
Gli effetti sono evidenti tutt’intorno a noi. Ondate di calore più frequenti e intense causano un incremento degli incendi, della siccità e l’avanzare dei deserti. L’innalzamento del livello dei mari e il riscaldamento delle acque provocano precipitazioni più copiose, inondazioni sempre più gravi, terribili tempeste sempre più frequenti e l’inondazione delle aree costiere. Questi cambiamenti sono i fattori scatenanti della sesta estinzione di massa: le specie si estinguono a un ritmo 1000 volte superiore rispetto allo standard. Il cambiamento climatico sta distruggendo le risorse, incrementando le malattie e costringendo alla fuga molte popolazioni.
Ci troviamo sull’orlo di punti di svolta molto critici: i cambiamenti descritti stanno causando improvvisi e irreversibili sbandamenti nell’ecosistema terrestre. Tra i potenziali eventi che potrebbero verificarsi a breve vi sono il collasso della calotta polare antartica occidentale e orientale, dei ghiacci della Groenlandia, il disgelo del permafrost dell’Artico e il rilascio di gas metano, la rapida deforestazione dell’Amazzonia, e l’indebolimento della corrente del Golfo. Alcuni scienziati temono un “effetto domino” di rivolgimenti ambientali interconnessi.
Il fallimento dell’élite politica globale è sistemico. Non è questione di non saper come agire. Non è questione di aver adottato le misure sbagliate. Il problema è più cruciale: il sistema economico e geopolitico, che rappresenta l’attuale ordine del mondo, non può essere – per la sua stessa configurazione – il motore delle azioni radicali che sono necessarie.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), che rappresenta le maggiori economie industriali del pianeta, considerava il tasso globale di crescita pre-pandemia del 3% troppo basso. Eppure tale tasso di crescita annuale implica un raddoppio dell’economia mondiale ogni quarto di secolo.
Le compagnie petrolifere pianificano di raddoppiare le quantità di carbone, petrolio e gas estratte da oggi al 2030 se ridurremo il riscaldamento globale di 1.5°C, l’obiettivo imposto dagli accordi di Parigi.
Si tratta di un obiettivo non abbastanza ambizioso: molti scienziati prevedono danni ingenti all’ecosistema terrestre qualora venisse mantenuto questo livello di riscaldamento. Questo obiettivo è parecchio al di sotto dei propositi dei partecipanti alle conferenze sul clima, che, anche se venissero implementati, permetterebbero comunque un disastroso ricaldamento globale di 3°C. Molti scienziati di primo piano ritengono che ci stiamo dirigendo verso un incremento di almeno 4°C della temperatura globale.
Metabolismo
L’espressione “frattura metabolica” è stata utilizzata da alcuni commentatori radicali, come John Bellamy Foster, per descrivere ciò che sta accadendo. Io preferisco il termine “rottura” perché rappresenta meglio la violenza di un sistema capitalistico fuori controllo che distrugge le società umane e gli ecosistemi naturali.
“Metabolismo” è un termine scientifico che riguarda il modo in cui i processi chimici trasformano l’energia per sostenere la vita. Tutti noi dobbiamo adottare un approccio scientifico per capire quello che sta succedendo al nostro pianeta e comprendere ciò che io chiamo “rottura metabolica duale”.
Gli esseri umani sono parte della natura. Se da un lato siamo animali con bisogni materiali e una forma organica, dall’altro le nostre azioni hanno un impatto sul resto della natura: a volte la trasformano, a volte ne causano il degrado, ad ogni modo c’è sempre un impatto.
Per questo tutti i prodotti del lavoro umano sono anche parte integrante della natura. Tutte le azioni che intraprendiamo, volte a garantirci mezzi di sostentamento, implicano un utilizzo delle risorse naturali e una loro trasformazione.
Si tratta di processi non reversibili, ma ripetibili. Se un ghiacciaio si scioglie a causa dell’aumento della temperatura, l’acqua di cui è fatto defluisce. Se, nello stesso punto, si forma un nuovo ghiacciaio per via di un nuovo calo delle temperature, questo deve essere composto da altra acqua. In natura, così come nella società, tutto è in movimento. Tutto è processo.
L’energia impiegata nei processi naturali è una costante: la si può riciclare infinitamente, ma non la si può distruggere. Dunque qualunque cosa si faccia, quell’energia sarà sempre lì, in una forma o in un’altra. Questa è una delle leggi fondamentali della fisica (conosciuta come la prima legge della termodinamica).
Di conseguenza, l’interazione degli esseri umani con la natura può avvenire in modo “rinnovabile” o “sostenibile”, se l’energia viene riciclata secondo processi ripetitivi, oppure può causare una rottura (o frattura) metabolica, se l’energia viene ricostituita come forza distruttiva.
Prendiamo due esempi contrastanti. Un contadino che fa un raccolto di manioca dal suo orto, alimenta i suoi maiali con i tuberi e le foglie, e li lascia vagare perchè concimino il terreno: in questo modo innesca un riciclaggio dell’energia che è ecologicamente sostenibile.
Le compagnie petrolifere che estraggono il greggio, lo raffinano e lo rivendono ad altre aziende che lo faranno bruciare nei motori dei jet, fanno qualcosa di molto diverso: non innescano processi rinnovabili, ma contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e a un rimodellamento permanente del metabolismo terrestre.
I ritmi che regolavano le società pre-capitalistiche erano determinati dai cicli delle stagioni. Il capitalismo, invece, è un sistema di accumulazione competitiva di capitale governato dai motivi del profitto volto alla crescita esponenziale.
Se nelle società pre-capitalistiche i processi erano essenzialmente locali o regionali con un impatto limitato all’esterno di quelle realtà, le società capitalistiche sono sistemi globalizzati che tengono in pugno l’intera umanità e l’ecostistema terrestre.
Il concetto è semplice: la macchina del profitto è responsabile dell’inquinamento atmosferico, del riscaldamento globale e della distruzione dei nostri ecosistemi.
Ma questo non è tutto.
Antropocene
Il sistema, che possiamo definire “capitalismo monopolistico globalizzato e finanziarizzato”, è cieco a tutto se non alle voci del bilancio, al dato economico, al profitto annuale.
I signori del capitale hanno trasformato il nostro pianeta – i suoi territori, le sue acque, i suoi minerali – in proprietà privata. Hanno mercificato il suo ecosistema e si sono appropriati dei suoi doni. E là dove sono passati, hanno lasciato rifiuti e inquinamento: “effetti collaterali” per i quali qualcun altro dovrà pagare.
Da dove iniziare? L’elenco delle devastazioni è lunghissimo. Deforestazione, prosciugamento delle zone umide, erosione del suolo. L’estrazione dell’acqua trasforma i terreni agricoli in deserti. I residui chimici vengono riversati negli oceani, nei laghi e nei fiumi. Le tossine penetrano nelle falde acquifere. Fertilizzanti, erbicidi e pesticidi contaminano le riserve di cibo.
Le discariche strabordano di rifiuti sintetici. La fusione del nocciolo dei reattori nucleari provoca il rilascio di particelle cancerogene nell’atmosfera, nel mare e nei terreni. L’inquinamento chimico riempie le strade dei centri urbani e avvelena i bambini mentre vanno a scuola. I rifiuti di plastica si scompongono in trilioni di particelle microscopiche capaci di infettare qualsiasi organismo vivente.
E ora, dalle profondità di questo caos, è emerso un secondo titano della distruzione che si affianca alla minaccia climatica: l’emergenza pandemica.
Entrambi i titani sono formati da trilioni di minuscole particelle. Il cambiamento climatico è causato da atomi di diossido di carbonio: piccolissime particelle di materia organica morta sparate nell’atmosfera quando i combustibili fossili vengono bruciati. La pandemia è provocata da microscopici parassiti: piccolissime particelle di materia organica viva che si nutrono, evolvono e si diffondono infettando i corpi degli animali.
Questo non significa che il Covid-19 sia un disastro naturale, non più dell’inquinamento da carbon fossile. E non si tratta neppure di una punizione di Dio o di una cospirazione “cinese”. Il Covid è una catastrofe causata dall’uomo, un prodotto dell’Antropocene tanto quanto il riscaldamento globale.
Concordo con i colleghi che ritengono che l’Olocene si sia concluso. Questo è il termine che abbiamo utilizzato per descrivere gli ultimi 11.700 anni della storia terrestre, dalla fine dell’era glaciale a oggi. A partire dal 1950 circa, e a un ritmo costantemente accelerato, il sistema Terra ha subito un cambiamento radicale a causa dell’azione umana. Siamo entrati in una nuova era geologica nella quale l’Anthropos (uomo, in greco) è il principale agente del cambiamento. E la principale forma del cambiamento è la rottura metabolica.
Il Covid-19 è una pandemia causata dalla rottura metabolica avvenuta nell’Antropocene.
Pandemia
I commenti dominanti sulla pandemia passano attraverso il prisma neoliberale. L’attenzione si concentra sui problemi immediati e le cause dirette. Non sto parlando di bugiardi seriali come Johnson e del suo gabinetto di terza classe fatto da ricconi della scuola pubblica e di supervip del mondo aziendale. Sto parlando dei commentatori più onesti che vogliono effettivamente vederci chiaro e penetrare quella nuvola di fumo che avvolge una classe politica incompetente e corrotta.
Eppure non è sufficiente portare allo scoperto la negligenza, il capitalismo clientelare e gli esperimenti eugenetici dei Tories. Non è sufficiente denunciare il fallimento del sistema di test e tracciamento, la carenza di dispositivi di protezione, il lockdown indetto troppo tardi e la relativa abolizione con troppo anticipo, il trasferimento dei malati nelle case di cura, la diffusione del virus nelle scuole e università, e molto altro.
È necessario, ma non è sufficiente. Il ciarlatano narcisista che guida il Governo inglese (Boris Johnson, NdT) potrebbe essere buttato fuori. E dunque? La questione è molto più radicale: parlo della frattura metabolica tra l’agroindustria e l’ecologia naturale che ha creato incubatori globali di malattie nuove e letali.
Nel 1950, larga parte della popolazione del pianeta era rappresentata da contadini, soprattutto nel sud del mondo. Fino al 1980, soltanto il 20% della popolazione cinese abitava aree urbane. Oggi parliamo del 60%. Inoltre, un numero sempre maggiore di coloro che sono rimasti nelle aree rurali, sono diventati lavoratori salariati.
L’avanzare dell’agroindustria è implacabile. Mentre scrivo, il regime induista-sciovinista di Narendra Modi sta affrontando una rivolta di piccoli contadini minacciati dalla distruzione provocata dalla “riforma” neoliberale. La loro battaglia è così disperata che un numero record di agricoltori indiani ha già commesso suicidio.
Non solo l’agroindustria distrugge le comunità tradizionali, ma colonizza le aree selvagge, eradicando foreste, distruggendo la biodiversità e l’equilibrio degli ecosistemi naturali per installare vaste monocolture. Attualmente la metà della superficie abitabile del pianeta è destinata all’agricoltura: un’estensione che aumenta di anno in anno di milioni di acri.
La maggior parte delle coltivazioni è destinata all’alimentazione degli animali: ai milioni di bovini, pecore, maiali e pollame che vengono ingrassati per riempire le filiere alimentari di tutto il mondo. I mega complessi degli allevamenti intensivi per la produzione industriale di carne sono il contraltare degli enormi slum del sud del mondo, che rappresentano un proletariato urbano sempre crescente.
Questa è la connessione tra una remota caverna abitata dai pipistrelli nella Cina rurale e un obitorio a Londra o New York. L’agroindustria abbatte gli ecosistemi naturali distruggendo la biodiversità e le barriere tagliafuoco. I virus, che si sarebbero estinti nelle foreste per carenza di vettori, si adattano alla nuova ecologia della monocoltura, degli allevamenti e delle baraccopoli. Mutano, evolvono e raggiungono un ritmo di trasmissione elevato grazie alle concentrazioni di massa della stessa specie di viventi.
I giganti delle filiere globali, con attività in una mezza dozzina di Paesi e mercati in migliaia di città, fanno il resto.
Una volta che una nuova variante si è stabilizzata, essa si replica a una velocità incontrollabile, creando le condizioni per altre mutazioni e testando nuove vie di diffusione. Cosí la malattia diventa endemica e cronica – parte integrante della società umana – e continua ad evolversi, conducendo una lotta incessante, sul filo tra la vita e la morte, contro lockdown e vaccini in un processo di continuo adattamento nel tentativo di aprisi una breccia.
Avvertimento
Tutto ciò – la pandemia causata e diffusa dall’agroindustria – si stende come un velo su società impantanate nella povertà e spogliate dell’assistenza sanitaria pubblica dai programmi neoliberali di riadattamento strutturale, dalle privatizzazioni e dai regimi di austerità.
Gli epidemiologi ci stanno mettendo in guardia sui rischi da almeno un quarto di secolo. Ci sono state dozzine di focolai di diversi virus e varianti, tutti accomunati da uno stesso meccanismo di base: l’introduzione di un virus presente in un animale selvatico, la sua trasmissione ed evoluzione negli allevamenti intensivi, il salto di specie – dall’animale all’uomo – spesso in una forma mutata, e la diffusione rapida e su scala globale attraverso le filiere multinazionali.
L’ammonimento – infinitamente ripetuto – ci metteva in guardia sulla possibilità che presto o tardi una nuova epidemia creata dal capitalismo neoliberale ci avrebbe sopraffatti. Ma la prevenzione delle pandemie non è redditizia.
I cimiteri improvvisati, i sacchi contenenti i corpi dei defunti negli obitori, i pazienti attaccati ai respiratori, il personale sanitario traumatizzato ed esausto, le persone comuni lasciate sole nel lutto, la disoccupazione crescente, gli investimenti andati in malora, le case pignorate, l’incremento dei crolli psicologici, la solitudine, le vite ridotte all’osso, il senso di desolazione e la disperazione: si tratta di semplici “effetti collaterali” agli occhi della macchina del profitto.
La macchina non si ferma. È stata semplicemente ricalibrata. Alcune piccole attività potranno chiudere, ma il Capitale (con la C maiuscola) è altamente mobile. Il denaro si muove alla velocità di un click. Fluisce da un luogo dove i profitti sono bassi verso un luogo dove sono alti.
I 660 miliardari americani, per esempio, se la passano bene. Dal marzo dello scorso anno, il loro patrimonio ha registrato un incremento del 39%, da poco meno di 3 trilioni di dollari a più di 4 trilioni allo stato attuale. Siamo noialtri – il resto della popolazione – a pagare per gli “effetti collaterali” del sistema.
Questi effetti collaterali prendono la forma della duplice rottura metabolica tra l’umanità e il pianeta: l’inquinamento industriale distrugge il nostro ecosistema e l’agroindustria genera ondate di patogeni killer. Siamo gli abitanti di una nuova era geologica, l’Antropocene, nella quale il capitalismo monopolista globalizzato e finanziarizzato è diventato una grave minaccia alla vita sul pianeta.
Cosa accadrà a breve dipende da cosa faremo. L’imperativo “diventiamo attivi” non è mai stato più urgente.