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Grecia, gelo e incertezza per migliaia di rifugiati senza speranza

Sabato scorso a Lesbo, nel mar Egeo, è morto un ragazzo, un giovane richiedente asilo bloccato sull’isola stroncato da un infarto. È il terzo in una sola settimana, la stessa in cui altre quattro persone hanno tentato di suicidarsi. Lontano dai riflettori, la situazione dei rifugiati in Grecia peggiora di mese in mese. La formale chiusura della Balkan route con l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia dello scorso marzo non ha fatto altro che congelare una situazione insostenibile. L’avevamo scritto anche ad aprile: la speranza dei migranti si è fermata a Lesbo. La differenza è che oggi, mesi dopo, quella stessa speranza si è frantumata.

Osama, una bimba di Aleppo, gioca nella tenda dove vive, insieme alla sua famiglia, nel campo di Karamanlis, Sindos, vicino a Salonicco. // Credits: Dimitris Tosidis

Nonostante il drastico calo degli arrivi, le isole greche ospitano 15.467 persone, mentre 62.907 rifugiati sono accolti nella Grecia continentale. I dati, riportati dalle autorità elleniche, sono così suddivisi perché vi è una sostanziale differenza di tutela e trattamento tra l’una e l’altra location.

Marianna Karakoulaki, giornalista freelance che segue la “crisi dei rifugiati” in Grecia sin dai primi giorni, spiega che “ci sono quelli che sono arrivati in Grecia prima dell’accordo tra UE e Turchia del 20 marzo 2016. Loro non possono essere trasferiti dalle isole e non possono fare domanda per partecipare al processo di relocation. A queste persone rimangono tre possibilità: fare domanda d’asilo in Grecia, tornare nei loro Paesi d’origine, oppure tornare in Turchia. Altrimenti vengono deportati. Ciò vale per tutti tranne per i siriani, che di fatto possono soltanto tornare in Turchia.”

Le opportunità cambiano per le oltre 60 mila persone che vivono nei campi e nei centri di accoglienza delle varie province continentali. Questi ultimi possono chiedere di essere trasferiti in un altro Paese europeo, possono fare domanda per il ricongiungimento familiare oppure scegliere di presentare la richiesta d’asilo in Grecia.

La relocation, tuttavia, funziona di fatto solo per siriani e iracheni. “In particolare, spiega ancora Marianna, possono accedere a questa opzione soltanto gli iracheni che si sono registrati alle autorità elleniche prima del giugno 2015. Se per qualche motivo non lo hanno fatto, allora non possono sperare di lasciare il Paese.”

Anmar, 15enne iracheno, vive da alcuni mesi nell’isola di Samo in attesa di scoprire dove lo porterà il destino, o la politica europea. / Credits: Dimitris Tosidis

In questo contesto già al limite del rispetto delle norme che regolano il diritto d’asilo, si è abbattuto violentemente il drastico calo delle temperature dovuto all’inverno. Non è una sorpresa che il gelo ghiacci le tubature, almeno nell’area settentrionale del Paese, tuttavia in alcuni campi è venuta a mancare l’elettricità. Inoltre, nonostante il ministro dell’Immigrazione, Ioannis Mouzalas, abbia assicurato che nessun richiedente asilo vive nelle tende, molti giornalisti e associazioni presenti sul territorio raccontano che il programma di “emergenza freddo” ha previsto semplicemente lo spostamento delle tende in alcuni capannoni industriali dismessi, talvolta senza porte, dove, comunque, non c’è il riscaldamento. Medici senza frontiere, che opera nell’area da circa due anni, denuncia che “le condizioni sono particolarmente dure nel campo Softex dove le tubature sono gelate, non c’è elettricità e il riscaldamento è incostante. Gran parte dell’infrastruttura è danneggiata e dovrà essere sostituita appena terminata l’ondata di gelo.”

Le condizioni non sono migliori nelle isole: la pioggia e la neve hanno distrutto parte delle tende del campo di Moria, a Lesbo, che si trasforma regolarmente in un ammasso di fango. La situazione è simile a Samo. Le autorità greche stanno lavorando per permettere alle persone in uno stato più vulnerabile di accedere alle cure di cui hanno bisogno e ad una soluzione abitativa degna. Tuttavia rimangono alcuni evidenti problemi: il sovraffollamento degli spazi di accoglienza – sempre a Samo, il campo profughi che potrebbe ospitare 850 persone ne accoglie più di 1.800, la compravendita delle case pre-fabbricate, la diffusione di alcuni disturbi psicologici, la dilatazione dei tempi di attesa per la registrazione e l’avvio di una qualche procedura per lasciare le isole.

Una famiglia curda posa all’interno della sua “casa” nel campo di Nea Kavala. // Credits: Dimitris Tosidis

Passerà, infine, il gelo, ma non la rete di accordi e interessi che hanno portato a tutto questo. Soprattutto nelle isole la situazione è preoccupante: lo psicologo Jayne Grimes, che lavora per MSF, spiega che l’ansia è un disturbo sempre più diffuso tra i rifugiati. L’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia ha contribuito ad acuire un senso di frustrazione tra i richiedenti asilo.

La sensazione è che da un giorno all’altro ci sia stato un ribaltamento delle definizioni, e quindi delle tutele legali: chi fino a qualche mese fa era ritenuto un rifugiato, come gli iracheni, ora ha completamente perso le coordinate di ciò che può e non può fare. Centinaia di persone, fuggite dalla guerra, non sanno più cosa accadrà di loro nemmeno domani, e vivono un eterno presente, congelati in alcune isolette dell’Egeo.

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