2 Novembre 2024

libertà di espressione

Così muore l’arte, il potere che opprime e fa guerra alla cultura

Dalla Cina alla Turchia, passando per Egitto, Iran, Kenya, scrittori, registi, cantanti continuano a subire repressioni e violazioni anche brutali della libertà di espressione solo perché le loro opere o attività culturali vengono considerate pericolose dal potere. Le carceri cinesi e turche, per esempio, spiccano per il numero di intellettuali detenuti, ma anche negli Usa serpeggia la censura con la messa al bando di libri su razzismo o diritti LGBTQ+ nelle scuole. E le donne, dall’Iran ai territori curdi, sono spesso accusate di indecenza solo per aver esternato la loro vena artistica.

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Manganelli, lacrimogeni, pallottole: muore il diritto alla protesta

Manifestare il proprio dissenso contro ingiustizie, violazione dei diritti, abusi di potere dei governanti è sempre più difficile nel mondo. Non perché non ci siano persone disposte a esprimere pacificamente le proprie idee e a lottare per la democrazia e per i diritti, ma per la repressione forzata di cortei e manifestazioni da parte degli Stati. L’uso sproporzionato di armi, anche quelle meno letali come i lacrimogeni, di arresti, di atti di forza e di violenza fisica sta seriamente indebolendo il diritto a protestare. E, di conseguenza, la possibilità di costruire una società globale davvero evoluta, inclusiva, giusta e libera.

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Lo Sri Lanka dei Rajapaska sull’orlo del collasso, le fasi della crisi

Da diversi mesi la situazione nella Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka ha raggiunto un livello di emergenza critico. La stagnazione economica dovuta alla gestione fallimentare delle finanze del Paese da parte della politica locale ha scatenato le proteste della popolazione, che chiede le dimissioni del presidente e della sua cerchia ristretta. Accusata di aver devastato l’economia dell’isola ormai in ginocchio, l’attuale leadership non accenna a farsi da parte, infiammando la protesta nelle strade. Urgente un’incisiva riforma politica e strutturale per favorire la trasparenza e la responsabilizzazione della classe politica.

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UE-Turchia, il terribile impatto umano di un accordo illegittimo

Espulsioni collettive verso la Turchia previste per chi scappa da Afghanistan, Siria, Somalia, Bangladesh, Pakistan e arriva – via mare – sulle isole greche del Mar Egeo. Questo è quanto è stabilito da una Dichiarazione tra Unione Europea e Turchia del 2016 e una Decisione ministeriale adottata in Grecia a giugno di quest’anno. Una disciplina che non tiene conto della tutela dei diritti umani e delle violazioni perpetrate in Turchia contro i richiedenti asilo, dettagliatamente documentate da un rapporto pubblicato dalla Commissione europea e riportate in questo articolo.

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Libertà di stampa, come informare è diventato un “crimine”

Un tempo, erano i corrispondenti di guerra a correre i maggiori rischi per la propria incolumità. Oggi, per un giornalista è sufficiente occuparsi di “certe” tematiche – quali: politica, corruzione, movimenti di protesta – per ritrovarsi, in qualche modo, silenziato da Governi e attori non-statali. Questi usano una serie di metodi – di cui l’omicidio rappresenta l’extrema ratio – per generare il cosiddetto “chilling effect” sulla libertà di stampa. Viene così inficiato il pluralismo informativo, il diritto di cronaca e quello del cittadino a essere informato.

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Libertà di espressione: il caso Hasél, come l’Europa limita l’arte

La controversa figura di un cantautore arrestato in Spagna per insulti alla monarchia, alle forze dell’ordine e per aver glorificato il terrorismo, fornisce lo spunto per una riflessione sui “crimini ideologici” a livello continentale. Il dibattito sulla libertà di espressione, tra leggi che mandano in galera i rapper, mirano a controllare le discussioni negli Atenei e puniscono le rappresentazioni dissacranti, ha molto più a che fare con l’esercizio del potere che con i limiti da imporre all’estremismo. La sicurezza nazionale è troppo spesso il pretesto per limitare il dissenso politico radicale, la satira ma anche l’attivismo.

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ONU, avviare dibattito per demolire razzismo e discriminazione

Per giorni sono andate avanti le proteste innescate dall’uccisione di George Floyd. Ora, anche le Nazioni Unite si interrogano su come debellare la piaga del razzismo. In un discorso allo staff, il segretario generale Antonio Guterres ha affermato: il primo passo, inderogabile, è avviare un discussione onesta. La questione va affrontata in tutte le sue componenti: ideologica, sociale ed economica. Infine, bisogna acquisire consapevolezza del fatto che la battaglia contro la discriminazione razziale comincia da ciascuno di noi. Con il rifiuto di qualsiasi forma di abuso e di negazione del diritto. Interessante notare che il primo rappresentante dell’ONU dica che il razzismo esiste anche all’interno dell’organismo.

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Hate speech, tra vuoto giuridico e impegno della società civile

Sebbene la comunità internazionale sia consapevole – alla luce di esperienze passate – che il passo dai discorsi ai crimini d’odio può essere assai breve, non esiste ad oggi una definizione giuridica univoca della fattispecie. Il vuoto normativo determina una serie di conseguenze pratiche, soprattutto nell’elaborazione di valide risposte di contrasto in ambito digitale. In detto contesto, la società civile ha assunto un ruolo fondamentale. Amnesty International Italia ha istituito un’apposita Task Force, che opera online. Voci Globali ha intervistato la dottoressa Maria Rosa Sora, membro del coordinamento della TF.

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Covid-19, quando l’Internet-shutdown pregiudica i diritti umani

Le raccomandazioni della comunità internazionale agli Stati, affinché garantiscano l’accesso alla Rete ai propri cittadini durante la pandemia da Covid-19, non hanno sortito alcun effetto in India, Myanmar e Bangladesh. I tre Stati asiatici hanno preferito mantenere il blocco di Internet in alcune zone dei loro territori, mettendo così a rischio la salute e la vita dei propri cittadini nonché dei migranti nei campi profughi. L’inaccessibilità alle informazioni online sta rischiando, peraltro, di tradursi in violazioni di diversi diritti umani: dal diritto all’informazione a quello di espressione, alla libertà di associazione.

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Media e diversità, in Italia redazioni prive di giornalisti stranieri

Interculturalità, mobilità e plurilinguismo sono tratti caratterizzanti delle società odierne, eppure troppo spesso i media non riflettono questa eterogeneità. È necessario introdurre la diversità nella programmazione, nella copertura delle notizie e nelle politiche di assunzione. La nozione di diversità come risorsa fa ancora fatica a entrare nelle redazioni italiane ed europee, tanto che gli aspiranti giornalisti di origine straniera in Italia incontrano notevoli difficoltà a esercitare la professione e spesso si muovono sulla soglia tra giornalismo e attivismo.

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