Deportazioni e storie che nessuno ricorderà. Quei rifugiati sbagliati

Un rifugiato non è mai al sicuro in quest’Occidente malato e sbagliato. O meglio, dipende da quale parte del mondo proviene. Ci sono due foto che in questi giorni hanno fatto il giro dei social (e una è stata rimossa in tutta fretta). Quella del diciannovenne del Darfur che oscilla da una trave di un centro di prigionia di Tripoli e quella della ragazza ucraina, più o meno coetanea di Mohamed Aziz (questo il nome del ragazzo), che indossa il suo abito da cerimonia tra le macerie della sua scuola. Foto che incarnano il modo in cui vediamo e interpretiamo medesime sciagure. E intanto si dà il via a operazioni di deportazione dalla GB al Rwanda.

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Migranti, i ritorni favoriti dall’OIM ma segnati da dolore e speranza

Non sempre ce la fanno. Non sempre riescono a raggiungere l’Europa o a sopportare gli abusi e le violenze dei lager libici. Così, molti migranti fanno la scelta del “viaggio di ritorno”. Sono viaggi che rientrano anche nei programmi e fondi a disposizione dell’UE e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. E sono proprio i ritorni dalla Libia quelli più numerosi, rispetto ai reimpatri dai Paesi europei. È il caso, per esempio, del Ghana, dove solo lo scorso anno sono arrivati tre charter con a bordo, ognuno, 150 persone. Che dovranno rifarsi una vita e affrontare lo stigma del fallimento nella comunità.

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Sabrina Onana, un doc per affrontare stereotipi su afrodiscendenza

Sabrina Onana è una giovane regista italocamerunese di Napoli e trasferita a Parigi. Ha dato vita ad un progetto che indaga sugli afroitaliani, sullo ius soli, e sulle seconde generazioni. Sabrina è anche fotografa, insomma una persona a cui piace raccontare attraverso il mezzo visivo o audiovisivo. Ha studiato sociologia alla Sorbona ed è lo sguardo ad una società che cambia che ha ispirato “Crossing the color line“, documentario in due parti in cui racconta le giovani generazioni di afroitaliani, dà loro voce e mette in luce le incongruenze di una società (e di una politica) che non sa osservare e gestire il cambiamento.

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Karim Metref, dall’Algeria ad un’Italia dalle tante voci migranti

Nato in Algeria è in Italia da oltre vent’anni. Karim Metref è educatore, ha lavorato per molti anni come giornalista e animatore radiofonico nella città dove vive, Torino. Continua a scrivere come indipendente ma si dedica anche a diffondere le voci, la scrittura, dei migranti. Karim dà spazio a questa letteratura attraverso un progetto online che si chiama Letterranza. Molto interessante soprattutto per capire l’Algeria, il suo sito Divagazioni. In questa intervista, tra le altre cose, ci avvicina al suo Paese, che negli anni delle lotte per le indipendenze divenne polo di attrazione per i movimenti di liberazione nel mondo.

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Diritto alla mobilità solo per i ricchi. Per gli altri passaporti inutili

Si fa sempre più ampio il gap tra Paesi occidentali e quelli cosiddetti in via di sviluppo per quello che è un diritto fondamentale di tutti gli esseri umani. Lo conferma il nuovoHenley Passport Index. In sostanza ci sono cittadini/individui che grazie al loro passaporto possono viaggiare in molti Paesi del mondo senza bisogno di un visto o richiedendolo all’arrivo. Ma ce ne sono poi milioni e milioni che sono praticamente prigionieri nel loro Paese. Pochissimi per loro gli Stati Visa-free. E non è un caso che i Paesi in fondo alla lista siano colpiti da problemi sociali, economici e da lunghi conflitti.

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La rivolta di Haiti e il ricordo della tratta che fece milioni di schiavi

Il 23 agosto è la Giornata Internazionale per la Commemorazione della Tratta degli Schiavi e della sua Abolizione. Una data scelta a ricordo della rivoluzione di Haiti che segnò una svolta nel destino degli schiavi e della schiavitù. Una ribellione, durata 13 anni, che non solo si concluse con l’indipendenza del Paese e la fine del colonialismo francese, ma ispirò i movimenti abolizionisti e le lotte di liberazione. Eppure, secoli di disumanizzazione degli schiavi hanno ferite ancora aperte, traumi irrisolti e lunghi strascichi. Il razzismo istituzionale è uno di questi.

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Luisa Wizzy Casagrande, quel ponte culturale tra Veneto e Biafra

Antropologa, imprenditrice, mentoring e fondatrice del blog Métissage, sangue misto. Luisa Wizzy Casagrande ci racconta della cultura mixed, di come viene sentita ed espressa in Italia e della necessità di continuare un confronto diretto, e una riflessione scevra da prese di posizione – compreso l’uso del linguaggio – sui temi della “bi-razzialità” e multiculturalità. Nata in Nigeria, cresciuta tra le culture Igbo e Yoruba ha poi trovato in Veneto altre strade di espressione, mettendo sempre al centro la necessità di allargare lo sguardo per superare la “sindrome dell’impostore razziale”.

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Ghana, i movimenti LGBT+ che sfidano pregiudizi e patriarcato

Religione, patriarcato, leggi punitive e morale di ispirazione coloniale. E quindi pregiudizi, qualche volta violenze. Sembra una corsa ad ostacoli quella affrontata ogni giorno in Ghana da omosessuali, trans e queer. Eppure, in questa società fortemente omofobica i movimenti LGBT+ stanno crescendo e sviluppandosi in modo straordinario. Ad oggi sono circa una ventina i gruppi costituitisi a partire dai primi anni del nuovo secolo. Uno dei principali obiettivi è la cancellazione della legge che criminalizza l’omosessualità. In questo reportage storie e testimonianze di chi non vuole nascondersi.

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Aida Aicha Bodian, quando creatività fa rima con comunità

La sua mission è: Afro Women Empower, ed è quello che fa in tutti i suoi progetti: sostenere, dare visibilità, evidenziare i talenti e le attività delle donne afroitaliane. Aida Aicha Bodian è italo-senegalese, vive a Parigi e ha fondato Nebua World, Roots Evolution, The Diversity Network, MelaninNappy… tutte iniziative che mirano a portare alla luce la consapevolezza e i valori della diversità. L’anno scorso ha pubblicato “Le parole dell’umanità“. Il suo blog (che raccoglie le sue idee e progetti) è Afritalgirl.com.

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Armi nucleari proibite, ma non per l’Italia. Il ruolo dell’Africa

Il 22 gennaio 2021 entrerà in vigore il Trattato di proibizione delle Armi Nucleari. Avrà valore però solo per i 50 Paesi che lo hanno ratificato, restano fuori le principali potenza mondiali, che sono anche quelle meglio armate anche per quanto riguarda gli ordigni nucleari. Chi in questi anni ha combattuto, e sta continuando a farlo, contro questo male assoluto, vedono segni di speranza. Fuori dal trattato c’è l’Italia. Brevemente, inoltre, ripercorriamo il ruolo del continente africano nella lotta all’atomica.

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