19 Marzo 2024

La rivolta di Haiti e il ricordo della tratta che fece milioni di schiavi

Era la notte tra il 22 e il 23 agosto del 1791. Una notte di fuoco, di rabbia, di riscatto. La notte in cui donne e uomini neri gettarono le basi per l’abolizione della tratta atlantica e del commercio di schiavi. Fu un atto di ribellione estrema, esplosa dopo secoli di sopportazione e di abusi su esseri umani rubati dalla loro vita, messi in catene, disumanizzati e fatti oggetti.

Non che prima non ci fossero stati atti di rivolta, di sovversione, i cui protagonisti erano singoli schiavi o piccoli gruppi organizzati, ma quella di Saint-Domingue – oggi Haiti –  fu una vera e propria rivoluzione, che pose fine al colonialismo francese ed ebbe effetti sulla politica schiavistica delle Americhe. Fu la prima ribellione di questo genere ad avere successo e nel tempo ebbe anche un forte impatto sulla cultura e sulla letteratura.

Toussaint L’Ouverture, guidò migliaia di schiavi nella rivolta di Saint-Domingue (Haiti) contro la Francia

Un luogo, Haiti, che è davvero un simbolo. Fu su quest’isola che Cristoforo Colombo nel 1492 fondò la prima colonia europea nel Nuovo Mondo, Hispaniola. E fu su quest’isola che fu dichiarata la prima Repubblica nera al mondo. Quattro secoli di eventi  – ad Haiti i primi schiavi arrivarono già nel 1503  – che concentrano la storia del colonialismo, della schiavitù, dell’attivismo abolizionista, dei moti di indipendenza delle comunità nere e poi delle nazioni africane. Una rivoluzione, quella haitiana, che fu feroce e crudele ma che rappresentò una pietra miliare nella storia dell’abolizionismo e che precedette di gran lunga la guerra civile americana (guerra di secessione) il cui fulcro idealistico era appunto lo schiavismo.

I “giacobini neri” – che nella lotta furono anche sostenuti dai principi contenuti nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino emersa dalla Rivoluzione francese del 1789 – lottarono per 13 lunghi anni. Una lotta che si concluse il 1 gennaio 1804 con la proclamazione dell’indipendenza del Paese e una Dichiarazione che fu anch’essa un atto rivoluzionario, una novità assoluta nel contesto storico in cui avveniva. Haiti diventava così il secondo Stato delle Americhe (dopo gli Stati Uniti) a dichiarare la propria indipendenza da un Paese europeo e il primo a impedire a una forza coloniale di gestirne le sorti.

Dal 1997 l’Unesco ha stabilito che il 23 agosto sia la Giornata Internazionale per la Commemorazione della Tratta degli Schiavi e della sua Abolizione. Già nel 1994, la stessa agenzia dell’ONU aveva inaugurato la Slave Route, non a caso a Ouidah in Benin. Un progetto che mira ad approfondire le cause e le conseguenze della tratta atlantica e della schiavitù ancora esistente al mondo in varie forme, e a contribuire alla riflessione sull’inclusione, il pluralismo culturale, il dialogo interculturale e la costruzione di nuove identità e cittadinanze. Un’eredità dolorosa e pesante, quella lasciata da quei secoli in cui si è fatto commercio di uomini.

I dati ufficiali parlano di 15 milioni di africani costretti a quel terribile e pericoloso viaggio da cui non sarebbero mai più tornati.

Ancora oggi l’impatto della tratta atlantica si manifesta in diversi modi: dal razzismo alla discriminazione istituzionale; dalle conseguenze dello sradicamento forzato, ereditate di generazione in generazione, alle tematiche politiche e sociali portate avanti dalla diaspora. Un trauma collettivo e una profonda ferita della società stessa, quello della tratta, abolita a cominciare dal 1807 in Inghilterra e poi via via in altri Paesi.

Ma il mercato di esseri umani – che oggi sarebbe un crimine contro l’umanità e che allora era lecito – continuò illegalmente per altri 60 anni. È stato calcolato che circa un quarto del numero complessivo di africani resi schiavi tra il 1500 e il 1870 furono trasportati attraverso l’Atlantico dopo il 1807. La maggior parte di loro finì nelle piantagioni di zucchero a Cuba e in Brasile. È a questa azione immorale andata avanti per secoli, a questo “furto” di esseri umani, al loro commercio e sfruttamento che si devono la nascita e lo sviluppo dell’economia moderna e del capitalismo.

Un sistema perfetto quello rodato negli anni: la cosiddetta rotta triangolare o commercio triangolare. I commercianti partivano dai porti europei verso la costa occidentale dell’Africa. Lì compravano persone in cambio di merci e le caricavano sulle navi. Era noto come Middle Passage il viaggio attraverso l’Atlantico e durava generalmente dalle 6 alle 8 settimane. Una volta nelle Americhe gli africani sopravvissuti al viaggio venivano venduti e messi a lavorare. Le navi tornarono poi in Europa con zucchero, caffè, tabacco, riso e cotone, merci prodotte dal lavoro degli schiavi.

Un triangolo, dunque, che coinvolgeva tre continenti. Capitale europeo, lavoro africano, terra e risorse americane: un sistema perfetto che avrebbe sostenuto la crescita del mercato occidentale. Traumi che continuano ad avere strascichi, dicevamo, che si riflettono nei processi sistemici che riguardano il sociale e l’ambito psicologico, e che vanno quindi discussi e affrontati.

Anche a questo servono le Giornate della memoria come quella che si celebra il 23 agosto. Qualche mese fa l’Unesco (Slave Route Project), in collaborazione con la fondazione per la pace Guerrand Hermès, ha pubblicato il report Healing the Wounds of Trans-Atlantic Slave Trade and Slavery” [Curare le ferite della tratta transatlantica e della schiavitù].

Uno dei lasciti più diffusi e più dannosi della tratta degli schiavi – si legge tra le altre cose nel documento – è il razzismo, istituzionalizzato, culturale e strutturale, che ha ripercussioni in tutti i continenti del nostro pianeta, come base della xenofobia, discriminazione, pregiudizio e disumanizzazione.

Ecco a che serve ritornare sulla storia, su una storia così dolorosa per l’umanità: serve a ripescare le radici dei drammi di oggi, a riallacciare i fili di un percorso che oggi intreccia i nostri contrasti e ingiustizie sociali. E serve a capire che il processo di guarigione non ha bisognpo solo di scuse, ma prevede anche l’azione e le decisioni delle comunità, dei Governi, degli Stati. Ma anche del singolo individuo.

[A questa pagina della Brown University Library si può consultare un ricco archivio contenente un database sugli attraversamenti dell’Oceano Atlantico, le navi coinvolte, i “carichi”, ma anche manoscritti, studi e altri documenti.

Sul sito dei National Museums Liverpool un progetto che racconta nel dettaglio la tratta transatlantica, gli effetti storici, politici e sociali, la storia dell’abolizionismo, il trattamento degli schiavi, gli atti di resistenza, le modalità del commercio e i suoi vantaggi in Europa e nelle Americhe.

Slave Voyages è un memoriale digitale – anche con ricostruzioni in 3D – che contiene un database sulle spedizioni lungo l’Atlantico dal 1514 al 1866. Ci sono informazioni, ricavate da carte dell’epoca, sulle navi negriere, sulle rotte e sulle persone coinvolte – sia schiavi che commercianti. Vi sono contenuti anche molti documenti, mappe e timeline.]

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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