Tempi duri per gli attivisti per l’ambiente.
Appena qualche giorno fa è arrivata la notizia che in Germania è stata condannata per la prima volta un’ambientalista del gruppo Extinction Rebellion, che negli ultimi mesi molto sta facendo parlare di sé.
Si tratta di Maja Winkelmann, 24 anni, che dovrà scontare quattro mesi di reclusione. Si era incollata, lo scorso agosto, alla cornice del dipinto di Lucas Cranach “Riposo durante la fuga in Egitto“, come diversi suoi compagni avevano fatto con altre opere d’arte. Ma per lei la sentenza ha decretato il carcere, invece delle consuete pene pecuniarie riservate finora agli attivisti.
Negli scorsi giorni, invece, si è svolto il processo per i componenti della compagine italiana del movimento, Ultima Generazione, che lo scorso gennaio hanno imbrattato i muri di Palazzo Madama.
L’ambientalismo e gli attivisti del clima si sono sempre mossi in sordina storicamente, non facendo troppo rumore e non ponendosi mai al centro di clamori o notizie. Ma oggi, l’avanzare dell’emergenza climatica ha acceso un faro sulle proteste.
Così, la società civile, e soprattutto i giovani, hanno cominciato a guardare con ammirazione la loro coetanea Greta Thunberg e hanno fatto del suo coraggio un esempio, per diventare una rete verde, pacifica, che afferma la propria preoccupazione ad alta voce.
Le varie organizzazioni che si sono generate in continuità e in maniera nuova rispetto al passato, hanno conservato la loro matrice pacifica, seppure quelle più recenti e con maggiore risonanza ricorrano a metodi di lotta che abbiano un’eco maggiore e siano più di impatto.
Tra le tante, per esempio, la britannica Tyre Extinguishers, che letteralmente significa “sgonfiatori di pneumatici” (Suv-versivi il nome del gruppo italiano). Quello che li contraddistingue è il prendere di mira i Suv, simbolo della società cieca verso la crisi globale, sgonfiarne le ruote e lasciare un volantino. I componenti sostengono che le proteste educate non hanno funzionato, e agiscono così, di notte, fermando i veicoli su ruote tra i più impattanti.
Oggi, dunque, a un’emergenza estrema, si accompagna un’estrema lotta.
“Fare qualcosa di molto estremo per una richiesta concreta“, ha detto qualche mese fa a Voci Globali un’esponente del gruppo di Ultima Generazione.
E così è stato, in Italia come in Europa.
La stessa forza di ribellione ha suscitato però, dall’altra parte, altrettanto dure reazioni dai Governi, dai partiti e dalle principali istituzioni, in Europa ma non solo.
In Oregon, ad esempio, è stata avanzata una proposta di legge che renderebbe punibile con il carcere l’interruzione dei servizi forniti dalle cosiddette infrastrutture critiche (strade, oleodotti, stazioni elettriche). Di fatto i manifestanti ambientali sarebbero classificati come terroristi.
Nel nostro Continente, la risposta alle istanze non è molto diversa.
Nel Regno Unito, il premier Rishi Sunak ha proposto un emendamento che autorizzerebbe la polizia a fermare o arrestare i manifestanti prima di cortei o marce, violando, di fatto, il diritto di poter esprimere il proprio dissenso e decidendo arbitrariamente quale persona o organizzazione civile possa o meno far sentire la propria voce.
Gli attivisti sono stati definiti “sabotatori egoisti“, una piaga di minoranza da cui difendersi e dai quali proteggere la maggioranza di onesti cittadini rispettosi della legge.
Anche in Francia la situazione segue la falsa riga dell’ambientalista criminale: la legge si oppone con la forza all’impeto dei manifestanti. Lo scorso marzo, infatti, il ministro degli Interni Gèrald Darmanin ha annunciato di aver avviato la procedura per sciogliere il gruppo Soulèvements de la terre, dopo le azioni contro la costruzione di un grande bacino idrico nel Paese.
E anche in Germania, la polizia è accusata di aver intrapreso una repressione violenta delle manifestazioni in difesa del Pianeta. In particolare, la denuncia ha coinvolto la reazione delle forze dell’ordine alle contestazioni per l’ampliamento della più grande miniera di lignite d’Europa, che minaccia la sparizione dell’adiacente villaggio di Lützerath.
Su questa scia di demonizzazione vera e propria della protesta civile al cambiamento climatico, si pone anche l’Italia.
La proposta di legge, recentemente approvata dal Consiglio dei Ministri, introduce il reato di danneggiamento di beni culturali e artistici, unendo ad essi il reato di distruzione, dispersione e deturpamento. Il chiaro riferimento è ai recenti fatti in cui i componenti di Ultima Generazione hanno imbrattato di vernice arancione e lavabile alcuni edifici pubblici.
Il DDL prevede una multa fino a 1.500€ euro e fino a un anno di reclusione. Ed è “scritto” perpetrando un linguaggio che taccia i manifestanti come “vandali”, in nome di un patrimonio unico che tiene alto il valore storico del nostro Paese. Anche se gli eventi climatici avversi dovessero spazzarlo via, l’onore dell’arte (facilmente ripristinabile con dell’acqua) va difeso dalla minaccia dell’opposizione civile.
L’atteggiamento della maggioranza delle istituzioni europee, dunque, agisce su due fronti.
Da un lato, infatti, si mette a rischio la doverosa possibilità di esprimere il proprio dissenso, rendendo punibili quelle azioni che seppur forti, non ledono la vita umana (e, in fondo, neanche le opere d’arte). In questo senso, dunque, la legge diventa deterrente alla fruizione dei propri diritti, più che garante.
In secondo luogo, si costruisce un linguaggio che fa dell’attivismo ambientale una realtà vandalica e criminale, cui tutta la società civile deve opporsi perché illegale, oltre che dannosa e immorale. Al pari, perciò, di qualsiasi atto sovversivo e lesivo, sebbene l’intento di fondo sia quello di richiedere azioni concrete per lo stop al cambio climatico.
Criminalizzare e definire ecoterroristi gli attivisti diventa così “un’arma di distrazione di massa“: queste sono le calzanti parole di Michel Forst, relatore speciale sui difensori ambientali delle Nazioni Unite nell’ambito della Convenzione di Aarhus che si occupa dell’informazione, partecipazione e accesso alla giustizia in materia ambientale. Forst ha aspramente criticato e definito vergognoso l’atteggiamento dei Governi europei.
Piuttosto, come anche Forst suggerisce, anche la giustizia deve fare la sua parte, come è successo in Gran Bretagna, dove 750 avvocati hanno scelto e sottoscritto, in una Dichiarazione di Coscienza, la volontà di non perseguire gli attivisti che protestano contro il cambiamento climatico e le politiche che si basano sui fossili.
Il rischio di questa narrativa dell’ambientalismo criminale, non è soltanto nella paura di poter combattere per quello in cui si crede, ma anche in quello di guardare al dito e non alla luna.
I Governi, infatti, più che porre l’accento sulle modalità di ribellione di questi movimenti, potrebbero concentrarsi e mobilitarsi anch’essi sull’origine e sui contenuti delle lotte stesse: è il cambiamento climatico che va fermato, qui ed ora.