Ogni volta che vado in Marocco, noto che le città costiere della zona settentrionale come Tangeri, Rabat e Casablanca stanno cambiando (rapidamente) faccia. Il Paese si sta avviando verso una sempre maggiore urbanizzazione. Dal 1994, il 51% dei marocchini vive in città. Mentre nel 1982 vi risiedeva solo il 43%, nel 1971 il 35% e soltanto il 29% nel 1960.
Numerose sono le grandi opere di ingegneria civile e urbanistica che sono in corso nel Regno nordafricano, quasi tutte nelle aree costiere del Nord-Ovest. L’urbanizzazione in Marocco, fin dal principio non è stata affatto omogenea: le aree della costa atlantica settentrionale, già densamente abitate, fanno da polo magnetico per la gente che migra dalle campagne e per gli investimenti nelle infrastrutture.
La maggior parte della popolazione urbana del Marocco vive infatti lì, nel triangolo compreso tra Tangeri, Oujda e Safi. Storicamente, la regione a Ovest dell’Atlante, prevalentemente pianeggiante, ha beneficiato del clima piovoso e della terra fertile, favorendo l’agricoltura e lo sviluppo di insediamenti.
Tanger Med è sicuramente il nuovo fiore all’occhiello dell’economia marocchina: un porto marittimo situato 22 km ad est di Tangeri, inaugurato nel 2007 e già, dal 2018, primo porto africano. Verrà ultimato entro il 2025 al termine della sua terza fase di lavori di ampliamento. E punta a numeri impressionanti: 9 milioni di container, 7 milioni di passeggeri e 700.000 camion all’anno.
Ma non è la sola opera degna di nota. Sbarcando a Tangeri, nel porto turistico della città ristrutturato da poco, seguendo l’ampio boulevard Mohamed VI arrivo fino alla moderna stazione di Tanger Ville, dove parte il treno ad alta velocità (TGV) inaugurato nel novembre 2018. Primo (e unico) ad alta velocità nel continente africano, sfreccia ad oltre 300 km/h, collegando in sole due ore e mezza Tangeri al principale polo economico del Paese, la città di Casablanca, attraversando Rabat e Kenitra.
Tuttavia, la rapidità con cui crescono le città si contrappone in maniera uguale e contraria a quella con cui aumentano le disparità socio-economiche e il divario sia tra città e campagna che tra centro e periferia. Anche le nuove maxi-opere sono state oggetto di critiche: il TGV, dal costo stimato di 2 miliardi e mezzo di euro, provocò all’epoca molte manifestazioni di protesta. Sotto accusa era la trasparenza del progetto, che ha visto la società francese Alstom ottenere il contratto senza che vi fosse alcuna gara d’appalto o alcun dibattito in Parlamento. Ma, soprattutto, il nuovo treno è considerato troppo caro per un Paese in cui, secondo Oxfam, metà degli abitanti vive con meno di 100 euro al mese. Citando Omar Balafrej, a capo del Movimento STOP TGV:
Ogni 10 metri di TGV sono un milione di dirham. E con 1 milione di dirham si può costruire una scuola nelle aree rurali. Dunque, indebitandoci con dei progetti inutili come quello del TGV abbiamo tolto altrettanti fondi da veri progetti di sviluppo.
In realtà, il processo di urbanizzazione si sta attuando a scapito delle campagne e delle aree rurali del Paese. Cambiamenti climatici (irregolarità delle piogge e siccità), sfruttamento eccessivo delle risorse idriche esistenti e una gestione delle acque potabili che favorisce la destinazione alle aree urbane concorrono a marginalizzare le campagne e a favorire una minoranza di grandi proprietari terrieri che possono permettersi gli investimenti necessari per gli impianti di irrigazione.
La campagna diventa quindi invivibile per la maggior parte dei suoi abitanti. Tasso di crescita demografico elevato e isolamento sono altri fattori che determinano il sottosviluppo del mondo rurale. Dunque, la massa delle popolazioni contadine contribuisce sempre più all’esodo (legale o non) verso il continente europeo e verso le città.
La pressione migratoria verso le zone urbane crea inoltre un’altra situazione di disparità: oltre che tra città e campagna, aumenta anche, all’interno delle metropoli, il divario tra centro e periferie.
È soprattutto Casablanca protagonista della realizzazione di grandi opere urbanistiche. Con un’area urbana di oltre 4 milioni di abitanti, è la più grande città del Maghreb e una delle maggiori del continente africano. Fondata dai portoghesi nel 1575, teatro nel 1943 dell’omonima conferenza, dove gli Alleati decisero lo sbarco in Sicilia, è sempre stata punto nevralgico di importanti traffici commerciali. Sede della Borsa di Casablanca, ospita il 30% della rete bancaria nazionale, nella regione circostante si trova il 44% della produzione industriale nazionale.
A partire dal 2018, il profilo della città sta subendo enormi cambiamenti. Il centro e le aree prossime al lungomare mi appaiono come un enorme cantiere a cielo aperto, dove interi quartieri vengono spianati per far spazio ai nuovi lavori. Miliardi di dirham sono stati investiti in progetti come un nuovo grande teatro intitolato al Re, un tunnel di oltre 5 km ideato per proteggere la città dalle inondazioni del fiume Bouskoura e il Parco della Lingua Araba. Camminando sul lungomare, intorno alla Moschea di Hassan II, l’edificio religioso più alto al mondo, si possono notare numerosi ristoranti, discoteche, alberghi, palazzi moderni e centri commerciali in costruzione.
L’altra faccia della medaglia, però, mi si rivela quando mi allontano anche solo di poco: la mancanza di trasporti e servizi risulta evidente e il contrasto tra la zona turistica e residenziale e i quartieri popolari è lampante.
Interi quartieri cadono a pezzi, non vi è quasi alcun servizio di autobus per coprire le grandi distanze tra le varie zone della città e la povertà dilaga. La capitale economica del regno, infatti, è stata definita da un rapporto della Banca Mondiale come una delle città africane più colpite da disuguaglianza e precarietà che raggiungono, specialmente nelle fasce più deboli della popolazione, proporzioni allarmanti.
Con 150.000 indigenti e 450.000 abitanti ai limiti della soglia di povertà, una grave mancanza di alloggi e servizi dovuta alla mancanza di politiche volte a sostenere la crescita demografica, un elevato tasso di disoccupazione e migliaia di giovani esclusi dal sistema scolastico, la contraddizione è evidente.
A rischio sono anche le cosiddette cités ouvriéres, quartieri eretti tra gli anni ’20 e gli anni ’60 del secolo scorso e destinati agli operai dei distretti industriali. Concepiti come riproduzione di una Medina tradizionale, questi pezzi di storia dell’architettura marocchina moderna rischiano di essere travolti dalla nuova ondata di cementificazione.
Le nuove grandi opere dunque dividono la popolazione. Qualcuno le vede come opportunità di crescita. Per altri invece aumentano solo il divario tra coloro che possono permettersi di abitare nelle moderne aree residenziali con accesso ai servizi pubblici e quanti stanno in campagna o periferia, relegati ai margini di questo nuovo “sviluppo”. I grandi investimenti nelle infrastrutture e nei centri urbani, per quanto fondamentali per il rilancio dell’economia e dell’immagine del Paese, devono essere accompagnati da investimenti in politiche sociali per le aree periferiche e sviluppo sostenibile nelle aree rurali. La forbice del divario tra privilegiati e non si allarga sempre di più se il “progresso” arriva solamente (o principalmente) con i bulldozer.
[Tutte le foto sono dell’autore dell’articolo]