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Lavoro forzato, 25 milioni di persone private della dignità

Più di 25 milioni– secondo il dossier Caritas “Per un lavoro dignitoso. Bene comune e diritti in Asia e nel mondo” – sono le persone che vivono in una situazione di lavoro forzato.

Le statistiche sono un vero e proprio bollettino di guerra: 16,5 milioni gli “schiavi” in Asia e Pacifico; 3,4 milioni in Africa; 3,2 milioni in Europa e Asia centrale; 1,3 milioni nelle Americhe e 350mila nei Paesi arabi. Quasi il 5% della popolazione nella Corea del Nord è in stato di schiavitù.

Foto tratta dal sito 50forfreedom.org

L’Asia – che ospita il 60% della popolazione mondiale – viene considerata uno “specchio” delle questioni globali: sicurezza e condizioni di lavoro, bassi salari, lavoro minorile, land grabbing, disuguaglianze fra uomini e donne sono tutti elementi che vanno tenuti in considerazione per avere un quadro approfondito del nesso che lega il lavoro ai diritti umani.

A fronte di un tasso di disoccupazione o sotto-occupazione che riguarda 500 milioni di lavoratori, sono 122 milioni i bambini fra i 5 e i 14 anni che devono provvedere alla propria sopravvivenza.

Per l’Organizzazione internazionale del lavoro  la cifra degli “schiavi moderni” raddoppia, arrivando a 40 milioni, se si considera, oltre che il lavoro forzato, anche lo sfruttamento sessuale e gli impieghi domestici.

La parte peggiore la fa lo sfruttamento della manodopera nell’edilizia, negli impieghi domestici e in agricoltura. E anche lo sfruttamento minorile è una piaga sociale capillare: un bambino su dieci nel mondo è forzato a lavorare (tradotto in cifre: 64 milioni di femmine e 88 milioni di maschi).

Anche i numeri elencati nel rapporto “Global estimates of modern slavery” [Stime globali della schiavitù moderna, NdT] – messo a punto da Organizzazione internazionale del lavoro e Walk Free Foundation, con la collaborazione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) – sono impietosi: in Asia, in termini assoluti, risulta presente il numero più alto di schiavi (circa 25 milioni). Mentre in Africa ci sono 7,6 “schiavi moderni” ogni 1000 abitanti, in Europa e Asia Centrale 3,9 per 1000 abitanti.

Il rapporto esamina differenti forme di lavoro forzato, facendo una distinzione fra lavoro forzato imposto da attori privati e quello imposto dagli Stati (come, ad esempio, in Corea del Nord o in Eritrea).

Nel 2016 sarebbero state 16 milioni le vittime di lavoro forzato nell’economia privata, e 4,1 milioni quelle costretta al lavoro forzato da autorità statali. E un quarto di tutte le vittime di lavoro forzato – 10 milioni di persone – sono bambini sotto i 18 anni.

A finire nella morsa del lavoro forzato sono spesso persone che hanno contratto debiti onerosi, magari in seguito ad una calamità, una malattia, per mantenere famiglie numerose o persone che hanno intrapreso un percorso migratorio per approdare in Europa o in Nord America.

A questo proposito, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per promuovere l’occupazione e proteggere le persone, rileva che di 244 milioni di migranti internazionali, più di 150 milioni risultano essere lavoratori migranti in tutto il mondo.

A fronte di questo, la tutela della dignità del lavoro è sempre più difficile, in barba ai principali riferimenti internazionali come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e i Principi Guida ONU su Imprese e Diritti Umani del 2011.

Ma quante aziende, nella pratica, attuano le necessarie contromisure per evitare irregolarità, come redigere policy di reclutamento del personale e collaborare con le ONG che operano per la difesa dei diritti umani?

Human Rights Watch in un report della scorsa estate basato su 257 interviste approfondite e su circa 700 brevi conversazioni con le vittime del lavoro forzato e minorile, insieme al Forum uzbeco-tedesco, ha persino denunciato la Banca Mondiale per il sostegno a progetti legati al lavoro forzato e minorile in Uzbekistan.

Il governo uzbeco avrebbe forzato “studenti, insegnanti, operatori medici e altri dipendenti pubblici e del settore privato, e a volte bambini, a raccogliere il cotone nel 2015 e 2016, così come a ripulire i campi e le piante di cotone nella primavera 2016”.

Questo nonostante che alla base degli accordi del prestito dato dalla Banca Mondiale ci fosse la richiesta di rispettare le leggi che vietano il lavoro forzato minorile.

Con l’impegno, da parte della stessa Banca mondiale, di monitorare il rispetto delle leggi stesse. L’accusa contenuta nel report è diretta: “il Governo uzbeco ha continuato ad obbligare un numero enorme di persone, a volte bambini di 10 o 11 anni, a lavorare per ore nei campi di cotone in difficili condizioni, compreso nell’area del progetto d’irrigazione della Banca”.

Ed è contro gli abusi indotti dal lavoro forzato che sono indirizzati gli sforzi della campagna http://50forfreedom.org/ in favore della ratifica, da parte degli Stati, di un protocollo che aiuti le sue vittime.

 

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