“Il coraggio non è l’assenza di paura, è trionfare su essa“. La frase di Nelson Mandela introduce l’appello di Avaaz e in un certo qual modo affronta la questione alla radice. L’ebola è una malattia mortale e una serie di vaccini sono ancora soltanto in fase di sperimentazione. L’opinione pubblica conosce anche bene i casi di medici e infermieri che hanno contratto il virus – e alcuni sono morti – proprio a contatto con gli ammalati.
Eppure il numero così alto di vittime – al momento 5.177 – è anche dovuto alla lentezza e incapacità con le quali si è affrontata la malattia, che pian piano si è trasformata in emergenza. E la situazione continuerà a peggiorare se le popolazioni e i Governi locali vengono lasciati soli ad affrontare la crisi. Lo aveva già detto a settembre l’organizzazione Physicians for Human Rights (Medici per i Diritti Umani), che aveva sottolineato anche la scarsità di mezzi e risorse in Guinea, Liberia e Sierra Leone, i tre Paesi colpiti dall’ebola.
La mobilitazione di Avaaz dà la misura non solo della solidarierà, ma anche del senso civico di individui che vivono a migliaia di chilometri dalle aree infette. Combattere la paura vuol dire non solo tentare di salvare vite umane ma cercare di fermare la possibilità che il virus si espanda e travolga anche altri territori. Non solo in Africa.
I volontari non sono immediatamente mandati in zona, ma passano attraverso un training fatto da personale specializzato di organizzazioni e Ong che stanno collaborando con Avaaz. Tra queste Save the Children International, Partners in Health, International Medical Corps. Ma, prima di arrivare a questa fase, devono riempire un lungo questionario (application) che mira ad accertarne le capacità, le esperienze e, appunto, il grado di consapevolezza.
A rispondere non sono stati solo medici e infermieri, ma anche tecnici e professionisti di altri settori. La piattaforma fornisce subito alcune indicazioni, che aiutano a capire cosa si sta affrontando e come si deve farlo. I rischi, come si affrontano, il tipo di preparazione che sarà fatto prima di recarsi on the field, con chi si lavorerà, la copertura assicurativa, il periodo dell’incarico, che non potrà essere inferiore a 4 settimane.
Leggere alcuni delle migliaia di messaggi arrivati, aiuta a cogliere il senso dell’iniziativa e lo spirito che anima chi ha risposto all’appello.
Sono una sessantaduenne in piena salute, ora in pensione e con precedenti esperienze in Africa come volontaria. Penso che il mondo ha reagito molto lentamente allo scoppio di questa epidemia e vorrei fare qualcosa per dare una mano. Sono stanca di rimanere seduta e guardare in televisione lo svolgersi della tragedia. Voglio agire – Patricia Dunne, Sierra Leone
Ho lavorato in Sierra Leone e in Liberia immediatamente dopo la fine della guerra civile nei rispettivi Paesi. Ero consulente per progetti per la ricostruzione di scuole, centri sanitari, mercati. Vorrei davvero avere l’opportunità di tornarci per dare una mano – Paul R. Woods, Germania
Sono un infermiere e sono pienamente consapevole dei rischi nell’affrontare questa spaventosa epidemia. Ma nonostante la paura sono pronto a unirmi aolle forze in campo per affrontare questa emergenza. Ebola non è una sentenza di morte. Sono qui se c’è bisogno – Alessandro Panetta, Italia
Mi chiamo Yael e ho 28 anni. Ho una laurea in Agricoltura (Scienza delle Piante) e un Master in Studi dello sviluppo delle comunità. Ho capacità di amministrazione e di logistica, guida e facilitazione di gruppo, di lavoro con i bambini e i giovani. Mi piace aiutare gli altri come posso e sarei felice di unirmi alla lotta contro l’ebola o altre missioni per le quali potreste pensare che io si adatta – Yael Or, Israele
Sono un paramedico canadese. Voglio fare volontariato perché ci sono persone che hanno bisogno di aiuto – Joshua Chafe, Canada
Sono un medico e vorrei contribuire ad eliminare quest’epidemia – Shukreia Hassan, United States
Sarebbe interessante se qualcuna delle persone che andrà laggiù terrà un diario online per raccontare la sua vera esperienza.