20 Aprile 2024

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Leggere Dostoevskij e Tolstoj durante la guerra in Ucraina

L’attuale situazione bellica ha innescato dei meccanismi di isolamento nei confronti della Russia: isolamento economico per mezzo delle sanzioni, ma anche culturale, con l’annullamento di eventi in ogni parte del mondo. Anche la letteratura russa, costellata di capolavori, è stata messa in discussione. Ma, le opere d’arte sono tali proprio perché possono essere lette criticamente anche e soprattutto in periodi bui come questo. E le analisi presenti nei romanzi dei grandi scrittori del passato possono fare luce sul presente, perché nella storia dell’uomo la guerra è tristemente uguale a sé stessa.

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Etiopia, il conflitto sta aumentando i casi di disturbi mentali

In Etiopia, la guerra civile scoppiata nel 2020 sta provocando gravi conseguenze sulla vita della popolazione. Nelle regioni del Tigray, di Amhara e Afar, si stima che una vasta percentuale degli abitanti, soprattutto donne e bambini, soffrano di alterazioni psicologiche. Purtroppo, la guerra in corso ha danneggiato le strutture sanitarie, religiose e governative, che si occupavano della cura della popolazione. Si fa sempre più urgente il bisogno di creare spazi comunitari dedicati al trattamento dei disturbi psichici, nonché di formare adeguatamente il personale al supporto psicologico.

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L’UE necessita del gas dei Paesi del Golfo e dimentica i diritti umani

Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti sono tra i Paesi maggiormente “corteggiati” dalle potenze occidentali per rispondere al fabbisogno energetico ora minacciato dalla guerra voluta da Putin. L’Europa sta intensificando i rapporti con Stati già noti per le gravi violazioni dei diritti fondamentali. Libertà di espressione assente, torture e schiavitù nel lavoro, sparizioni forzate, discriminazione sessuale, mancanza di tutele giuridiche per gli accusati accomunano queste ricche nazioni mediorientali. I Paesi UE, però, non sembrano impressionati da tali brutalità in nome di scambi convenienti.

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Kirghizistan-Tagikistan, il conflitto frontaliero mette in crisi i media

Il confine tra i due Paesi dell’Asia centrale, vagamente delineato, si colloca in una remota zona montuosa ed è diventato oggetto di una disputa pluriennale. Gli scontri tra gli eserciti nelle zone di frontiera si verificano ben lontano dagli occhi dei giornalisti che, per riportare le notizie, devono ricorrere alle sole testimonianze dei residenti locali e farsi strada nel flusso di notizie non verificate che inonda i social media. Inoltre, le testate indipendenti che citano notizie veritiere ma scomode, vanno incontro alla repressione governativa che, in nome del nazionalismo, impone la censura.

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Il Melting Pot israeliano in crisi per la voglia di uniformità culturale

All’indomani della sua creazione, lo Stato d’Israele raccolse diverse comunità ebraiche con retroterra culturali differenti. La risposta dell’élite politica sionista fu una politica migratoria di assimilazione e uniformità culturale. Le criticità emersero negli anni Ottanta con l’insediamento nel Paese degli ebrei etiopi. Il modello di assimilazione non raggiunse gli obiettivi prefissati. Al contrario, la marginalizzazione e l’isolamento sperimentati ancora oggi dalla comunità etiope pongono degli interrogativi non trascurabili sull’effettiva riuscita del cosiddetto Mizug Galuyot.

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Uganda, oppositori scomparsi, torturati nei centri detentivi illegali

Tra le notizie di questo mese: la CPI avvia un’indagine sui crimini di guerra perpetrati in Ucraina. Quindicesimo vertice militare sino-indiano sui confini contesi in Himalaya: nessun accordo raggiunto. Il Somaliland – unico Stato fantasma al mondo – chiede il riconoscimento internazionale. Appello di 17 Associazioni ambientaliste italiane al Governo per la sicurezza alimentare. Svolta rivoluzionaria nella prevenzione dell’HIV grazie alla versione iniettabile della PrEP. La Russia ferma i negoziati di pace sulle Isole Curili dopo le sanzioni del Giappone per la situazione ucraina.

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Foreste, gli ambiziosi programmi per custodirle e preservarle

La Giornata Internazionale delle Foreste ci ricorda che il patrimonio forestale di tutto il Pianeta è esposto al rischio di estinzione, trascinando con sé la sopravvivenza di molte specie, inclusa quella umana. Negli ultimi decenni hanno trovato voce i campanelli d’allarme lanciati dalla comunità scientifica, permettendo alle questioni ambientali e alla deforestazione di trovare un posto privilegiato nel dibattito internazionale. I passi compiuti, tuttavia, sembrano nascondersi dietro il dito delle belle parole e degli slogan politici, coprendo la necessità di azioni più concrete e sistemiche.

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In Bosnia-Erzegovina si riaccendono pericolose micce esplosive

Nella regione balcanica soffiano venti poco rassicuranti. L’entità serbo-bosniaca da anni sta portando avanti una retorica nazionalista, minacciando una sempre più ampia autonomia dal potere centrale, ma assai debole, di Sarajevo. La tenuta di questo Paese nato dalle ceneri del drammatico conflitto degli anni Novanta del secolo scorso scricchiola, schiacciato da rivendicazioni interne che non hanno mai abbandonato l’unica radice: quella etnica. Sullo sfondo, l’invasione russa dell’Ucraina non può che peggiorare lo scenario e sostenere le rivendicazioni nazionalistiche di questi alleati di Putin.

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Caso Regeni, l’intreccio del commercio di armi tra Europa ed Egitto

L’uccisione del ricercatore italiano al Cairo nel 2016 non ha cambiato i rapporti tra Europa ed Egitto, che solo apparentemente condividono interessi di stabilità e sicurezza nell’area del Mediterraneo. Anzi, Francia e Italia sono diventati i principali fornitori di armi all’Egitto, contribuendo di fatto ad appoggiare la repressione armata che il regime di al-Sisi sta perpetrando da ormai otto anni. L’Europa, che sembra promuovere il rispetto della giustizia sociale e dei valori democratici, in realtà contribuisce al riarmo dell’Egitto e non sembra interessata a scoprire la verità sull’omicidio di Regeni.

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Africa: sanità in crisi, cresce la fuga all’estero di medici specializzati

Preoccupa l’emorragia di medici e infermieri dall’Africa, accelerata dalla pandemia di Covid-19. Nel continente che soffre il più grande carico di malattie del pianeta resta solo il 3% del personale sanitario a livello globale, e il diritto alla salute sembra sempre più un privilegio per pochi. Nello Zimbabwe si opera a mani nude, mentre a New York un chirurgo guadagna una media di 400 mila dollari l’anno. Le disuguaglianze sociali e l’abbandono dei sistemi sanitari del Sud del mondo sono ragione e conseguenza di una crisi che costa milioni di vite.

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