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Venezuela, il decennio della crisi: dall’economia al settore sanitario

Alexcocopro, marcia di protesta contro il presidente Maduro a Caracas, 2 febbraio 2019, in Licenza CC, da Wikimedia Commons

Il Venezuela si trova da dieci anni al centro di una grave crisi umanitaria, innescata dalla combinazione di un aggravarsi delle condizioni economiche e del crescente autoritarismo del Governo di Caracas. Un tempo considerato all’avanguardia rispetto ai vicini, oggi la nazione versa in condizioni critiche: carenza di medicinali, scaffali vuoti nei negozi, una moneta il cui valore si è polverizzato e un esodo di migranti secondo solo a quello che nel decennio passato ha caratterizzato la Siria. A tutto ciò si aggiungono il crollo della sanità pubblica e il ritorno di malattie considerate sotto controllo.

In passato il sistema sanitario venezuelano veniva lodato come uno dei più avanzati dell’America Latina: proprio lì fu portato a termine uno dei programmi meglio riusciti per l’eradicazione della malaria, il programma Gabaldòn, che fece guadagnare al Paese ampi territori coltivabili. Oggi questa malattia risulta in aumento, soprattutto negli estesi Stati meridionali di Bolivar e Amazonas, dove sorgono a ritmo incontrollato numerose miniere illegali.

La situazione nello Stato di Bolivar è molto grave, anche dal punto di vista ambientale. afferma Raùl Stolk, analista di Caracas Chronicles in un’intervista a Voci Globali.

A causa della migrazione, oltre al problema sanitario si assiste a un consistente abbandono scolastico: questi bambini sono costretti a lavorare nelle miniere o a prendersi cura dei fratelli a casa. Spesso non sono nemmeno registrati all’anagrafe.

Humberto Lezama, San Martin de Turumbar, stato Bolivar, in Licenza CC, da Wikimedia Commons

Tra le malattie infettive la tubercolosi, considerata un ricordo lontano, è tornata a mietere vittime: la sua diffusione risulta collegata soprattutto alla malnutrizione, che interessa il 5,8% della popolazione pediatrica. Inoltre, la carenza di medicinali ha causato picchi di mortalità: le sale operatorie sono spesso bloccate, anche a causa dell’emigrazione dei professionisti, infezioni semplici divengono facilmente mortali, le patologie croniche non ricevono un adeguato trattamento e non può essere garantita nemmeno la fondamentale terapia immunosoppressiva ai trapiantati.

Spesso negli ospedali pubblici viene chiesto ai pazienti di portarsi il materiale, cosa che non accade in quelli privati, che però non coprono, chiaramente, tutte le prestazioni – continua Stolk.

Particolarmente trascurate sono la salute sessuale e riproduttiva, anche per quanto riguarda questioni basilari come le mestruazioni. Inoltre, il numero delle madri minorenni è cresciuto notevolmente.

Il Paese, però, non è sempre stato in queste condizioni: infatti nel secolo scorso i venezuelani erano conosciuti nel continente americano per le loro vacanze costose o per il motto “Baratazo, dame dos” (costa poco, dammene due), ma diverse misure populiste hanno contribuito a disfare questo sistema, portando anche ad una svolta autoritaria nella nazione. Protagonista di questo cambiamento è stato, in particolare, il presidente Hugo Chavez, al potere dal 1999 fino alla sua morte avvenuta nel 2013.

Dopo aver guidato un fallito golpe nel 1992 e aver scontato due anni di prigione, vinse le elezioni presidenziali proponendosi come il portavoce del popolo. Una volta al potere, soprattutto in seguito ad un tentato golpe nel 2002, apportò modifiche alla Costituzione per potersi ricandidare in futuro, mise sotto stretto controllo i mezzi di comunicazione e la PDVSA, la società petrolifera venezuelana, e impostò la propria politica sulla dicotomia popolo-fascismo. Durante la sua presidenza vennero implementate numerose campagne sociali, denominate Misiones, per garantire ai più poveri beni di prima necessità e migliorare la scolarizzazione, ma vennero condotte anche numerose espropriazioni in nome della redistribuzione dei terreni. Alla sua morte fu designato a succedergli Nicolàs Maduro, che trovatosi a fronteggiare una situazione sempre più grave, inasprì i metodi di repressione.

Cancilleria Ecuador, conferenza stampa del 23 maggio 2009, al centro i presidenti Chavez (Venezuela) e Correa (Ecuador), ai lati i rispettivi cancellieri Maduro e Falconi, in Licenza CC, da Wikimedia Commons

Una delle cause della grave crisi attuale risiede in una poco lungimirante gestione economica, che ha fondato le possibilità di finanziamento dei programmi nazionali sul commercio del petrolio, di cui il Venezuela ha notevoli riserve. Il valore della moneta locale, il bolivar venezuelano, fortemente legato a questa materia prima, è stato duramente colpito dall’aumento dei costi di produzione, legato all’obsolescenza dei macchinari e alla corruzione: si è innescato così un circolo vizioso che ha portato l’inflazione dal 38% nel 2013 all’800% nel 2016.

Il 2017 e il 2018 sono stati gli anni più duri per l’economia venezuelana, in seguito ci sono stati dei cambiamenti: lo Stato ha rinunciato ad alcune misure dirigiste, come il limite a quanto si poteva prelevare, e si è cominciato ad utilizzare il dollaro per le transazioni, spiega Raùl Stolk.

Ciò ha portato ad un inevitabile rialzo dei prezzi, ma ha anche rivitalizzato l’economia con più possibilità di crescita. Per controllare questo fenomeno, il Governo ha stabilito di battere una nuova moneta, il bolivar soberano, però la valuta più usata è il dollaro, anche se tutto ciò avviene in maniera informale.

Tuttavia, la situazione del Venezuela rimane ancora estremamente grave. Secondo il World Food Programme, circa un milione di venezuelani si trova in una condizione di forte insicurezza alimentare, per la quale il programma governativo delle cajas CLAP de la Patria, pacchetti consegnati alle famiglie più bisognose per far fronte alle proprie esigenze, non è sufficiente. Ciò riguarda principalmente coloro che lavorano nel settore pubblico e percepiscono il proprio stipendio in bolivares.

Polizia Nazionale Colombiana, crisi migratoria al confine tra Colombia e Venezuela, in Licenza CC, da Wikimedia Commons

Molti sono quindi costretti a rischiare la propria vita nella speranza di trovare condizioni migliori nei Paesi confinanti, principalmente in Colombia: nel 2022, secondo l’UNHCR, circa 7,7 milioni di venezuelani avevano lasciato il Paese, tra questi anche numerosi minorenni. Le rotte migratorie si sviluppano perlopiù attraverso le insidiose foreste pluviali del Sud e Centro America, ma recentemente ne è emersa una nuova, definita rotta “VIP”, che consente, tramite l’acquisizione di un visto turistico per la Colombia, di giungere fino all’isola caraibica di San Andres e da lì affrontare una pericolosa traversata verso il Nicaragua. Molti sono diretti anche verso gli Stati Uniti, tuttavia, il Governo Biden ha annunciato espulsioni a partire dal 5 ottobre 2023 per i cittadini venezuelani giunti illegalmente dopo il 31 di luglio.

In questo contesto, nonostante i tentativi di boicottaggio da parte del Governo centrale, il 22 ottobre si svolgeranno le primarie dei partiti d’opposizione per decretare chi sfiderà il Partito Socialista Unito del Venezuela nelle elezioni presidenziali dell’anno venturo.

I sondaggi favoriscono Maria Corina Machado, leader di Vente Venezuela e sostenitrice di una politica economica a impronta liberista. Allo stato attuale, Machado non potrebbe candidarsi alla presidenza per il divieto imposto dal presidente Maduro, ma proprio in questi giorni si sono svolti degli incontri tra esponenti del Governo venezuelano e dell’opposizione sotto l’egida degli Stati Uniti: Washington infatti intende alleggerire la pressione delle sanzioni sull’industria petrolifera venezuelana, in cambio di libere elezioni nel Paese.

Dall’altro lato della lizza elettorale, la popolarità del presidente uscente Maduro si attesta attorno al 30%, ma i chavisti controllano tutte le istituzioni del Paese. L’unica certezza è che il 25 gennaio 2025 presterà giuramento il prossimo presidente.

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