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Sindrome Italia, il dramma delle badanti straniere e le loro famiglie

Jake Stimson, donne romene siedono su una panca, in licenza CC, da Wikimedia Commons

Jake Stimson, donne romene siedono su una panca, in licenza CC, da Wikimedia Commons

In molte case italiane oggi lavora un’assistente familiare, una badante, che dedica i propri giorni e frequentemente anche le propri notti all’assistenza di un anziano. Spesso si tratta di straniere, che portano su di sé i segni della lontananza da casa e della difficoltà del contatto con le ultime fasi della vita. Da questo nasce la sindrome Italia, una condizione medico-sociale che caratterizza proprio questa categoria di persone.

Negli ultimi decenni la demografia europea risulta essersi radicalmente modificata con un consistente aumento dell’aspettativa di vita e del carico assistenziale: secondo i dati ISTAT, nel 2020 il 23% della popolazione italiana aveva un’età al di sopra dei 65 anni e proprio per questo il nostro Paese risulta essere tra i maggiori “importatori di badanti”.

Sebbene ve ne sia una quota anche di nazionalità italiana, la maggior parte di queste donne proviene dall’Est europeo, in particolare da Romania, Moldavia e Ucraina. Proprio in questi Paesi è stata scoperta e studiata la sindrome Italia: diagnosticata per la prima volta a Kiev nel 2005, oggi il centro che se ne occupa maggiormente è l’Istituto Socola di Iaşi, in Moldavia Romena. Qui vengono curate donne che presentano sintomi psichiatrici come ansia, depressione, insonnia, ossessioni e perfino crisi psicotiche: alcune giungono anche a tentare il suicidio.

Veduta di Iaşi, Romania, in licenza CC, da Wikimedia Commons

In Italia, in mancanza di una codifica internazionale della sindrome, la problematica risulta essere ancora in molti casi sconosciuta alla comunità medica, come ricorda il dottor Maurizio Vescovi:

Di questo disturbo si parla poco, ma il suo trattamento e riconoscimento sono principalmente di competenza del medico di base, che può anche osservare queste donne nel loro contesto lavorativo.

È proprio l’occupazione delle badanti che getta le basi per lo sviluppo di questo disturbo: spesso vengono infatti assunte per lavorare 24 ore su 24, con contratti non sempre regolari e pasti non adeguati al carico di lavoro. Nel caso di chi assiste persone affette da demenza, spesso concomita la deprivazione del sonno. Inoltre, sebbene nella maggior parte delle famiglie vengano trattate bene, in alcuni casi vi sono veri e propri soprusi, come testimonia Marina*, ex-OSS che per anni ha lavorato a stretto contatto con queste donne:

Conoscevo una signora georgiana di nome Nina*. Era una grande lavoratrice: con il suo stipendio manteneva tutta la famiglia e lavorava anche la domenica. Il suo datore di lavoro, il fratello della signora di cui si occupava, non la trattava bene perché non parlava bene l’italiano. Nina aveva dei problemi di salute, ma non era mai andata da un medico, perché le aveva detto che, se si ammalava, la mandava via. Una mattina ho suonato il campanello e non mi ha aperto nessuno: ho telefonato al fratello della signora e abbiamo trovato Nina morta sul letto. Le era venuto un infarto.

Allo stress del lavoro si aggiungono anche l’isolamento sociale in un Paese straniero e la lontananza dalla famiglia: a casa infatti rimangono i loro figli, ai quali le badanti inviano i propri guadagni spesso garantendo loro una vita più agiata rispetto ai coetanei. Tuttavia, questi bambini e ragazzi crescono senza un riferimento genitoriale, con i nonni anziani e malati, con gli zii, con i vicini o addirittura soli con i fratelli maggiori.

Questa situazione li porta a sviluppare molteplici problematiche psicologiche, come aggressività e iperattività, o psichiatriche, come ansia, depressione, disturbi dell’alimentazione, fino a condurli anche al suicidio.

Silvia Dumitrache, presidentessa dell’Associazione delle Donne Romene in Italia. fotografia gentilmente concessa dall’ADRI

Da tempo, per quanto riguarda le lavoratrici romene, si batte l’ADRI, Associazione delle Donne Romene in Italia: la Romania infatti è il Paese europeo con il più alto numero di lavoratori all’estero, circa nove milioni.

Per loro il tempo si ferma al momento della partenza e, quando anni dopo, rientrano nel Paese d’origine, trovano una situazione completamente stravolta e non vengono più riconosciuti nel ruolo genitoriale dai figli che sono cresciuti senza di loro. La discrepanza tra il ricordo e la realtà costituisce la chiave per determinare il crollo di queste persone e il loro sprofondare nel disagio psichico. Tutto ciò avviene nel completo disinteresse delle istituzioni locali:

Il Governo romeno non conosce nemmeno il reale numero dei lavoratori all’estero né dei bambini “left behind” e non si interessa dei preoccupanti fenomeni correlati: c’è un alto tasso di abbandono scolastico e di prostituzione minorile. In molti casi questi ragazzi hanno avuto un genitore o entrambi all’estero o sono vissuti in case famiglia gestite dai comuni, afferma Silvia Dumitrache, presidentessa dell’ADRI.

Ci sono anche fattori culturali che incidono: spesso infatti si assiste a casi di violenza domestica. Gli uomini bevono e picchiano le donne e i bambini, a scopo, per loro, correttivo. Le persone che sviluppano problematiche psicologiche come la sindrome Italia non di rado provengono da questi contesti.

Un fattore chiave per combattere questa sindrome, secondo la presidentessa dell’ADRI, risiede nell’informazione delle persone e nella loro sensibilizzazione nel riconoscere che “qualcosa non va”. Grazie proprio all’aiuto dell’associazione, l’ex-badante Vasilica Baciu ha intentato un ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo contro gli Stati che ignorano l’entità del problema: la sua storia ha anche ispirato un fumetto, che racconta proprio il dramma di queste lavoratrici e dei loro figli.

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