La piazza, spazio pubblico di condivisione del privato, è l’immagine architettonica e sociale che più ha cambiato forma e modalità espressiva.
La diffusione di Internet ha ricreato progressivamente anche una versione virtuale di questo simbolo per eccellenza del luogo pubblico.
I social network hanno, in aggiunta, il vantaggio di accorciare le distanze, fisiche e sociali. Ciò ha permesso di allargare anche quegli spazi di aggregazione, soprattutto tra i più giovani, che stanno dando nuova vitalità e fervore alle piazze.
Basti pensare all’effetto globale che ha generato la lotta in difesa del Pianeta e del clima, nato da un sottile schermo, in una cameretta.
Questa urgenza di azione si è tradotta in un nuovo rapporto tra i due mondi, in cui l’attivismo ambientale si pone come un ponte tra l’universo online, che è la sua interconnessa culla, e il teatro delle piazze reali, dove sfocia per cambiare lo status quo.
Nelle arene virtuali esso si colloca insieme agli altri attori del mondo del web, compresi quelli del campo politico e istituzionale.
Qui, ogni post, tweet, hashtag utilizzato costruisce una realtà politica che assume il carattere quasi di una perenne campagna elettorale, in cui gli elettori possono interagire in risposta a quegli input che raggiungono in pochi minuti migliaia di persone.
Attraverso l’uso di messaggi brevi, frasi ad effetto e attraverso la diffusione di video e immagini, il marketing politico fa delle piattaforme digitali il contesto preferito per raccogliere consensi e voti. Come è accaduto nelle ultime tornate elettorali in tutto il mondo.
In Colombia, ad esempio, il “re di Tik Tok” Rodolfo Hèrnandez l’estate scorsa ha corso per le presidenziali dello Stato a suon di trend giovanili e balletti. Non sono stati esenti dal fascino dei social neanche i suoi avversari politici, rendendo di fatto la campagna elettorale una battaglia all’ultima visualizzazione, più che al miglior programma. E avvicinando lo sguardo all’ultima esperienza di voto del nostro Paese, si incontrano le stesse dinamiche di comunicazione partitica.
Le altre figure che dominano, e talvolta dettano, le regole d’uso del mondo online sono senza dubbio gli influencer.
Riconosciuti spesso da una spunta blu, essi in alcuni casi hanno anche rappresentato uno strumento delle parti politiche e dei Governi: basti pensare al caso degli influencer in Kenya pagati per la diffusione di hashtag elettorali, o dei giovani famosi coinvolti nei vari trend musicali durante le citate elezioni colombiane.
Al servizio di interessi commerciali delle aziende o promotori di un proprio marchio personale, gli influencer per molti ragazzi costituiscono un modello cui ispirarsi, un serbatoio di scelte giuste da seguire.
In molti casi si inseriscono nel dibattito sulla cosa pubblica, partecipando di fatto a quella comunicazione politica accanto agli addetti ai lavori: di più, spesso colmano le grandi lacune intorno ai grandi temi più vicini ai giovani, ignorati e non visti dai politici stessi.
Durante la pandemia, questi agenti politici tutti digitali, hanno definitivamente cambiato il loro modo di suggestionare il pubblico, con la diffusione di buone pratiche di comportamento per fronteggiare l’emergenza, fornendo alternative, facendo beneficenza e informazione. Secondo una ricerca essi ricoprono un reale ed importante ruolo sociale.
Diventano gli influencer, allora, i veri riferimenti politici per un’ampia fetta di cittadini e di nuovi elettori. Come non ricordare il famoso caso di Fedez, che si è fatto carico nel tempo di molte battaglie sociali.
Tra quelle mosse dal rapper milanese destò molta presa l’attenzione rivolta all’approvazione del DDL Zan, in cui si schierò contro i vertici governativi e contro il Vaticano. La risonanza pubblica del personaggio è stata capace di smuovere non soltanto l’opinione pubblica. Ha, in un certo senso, obbligato tutti i principali attori della politica interna ad esprimere la propria opinione apertamente, fuori dalle sedi parlamentari preposte, per non essere esclusi dal vero dibattito, che si è giocato tutto sul web.
Influencer – attivisti, dunque, che usano il proprio spazio per puntare il faro sulle grandi questioni d’attualità. Dal racconto delle sofferenze degli Uiguri al quello della guerra in Ucraina, tra le notifiche sugli schermi trovano largo consenso e seguito singole personalità trainanti ma anche interi movimenti.
In questa posizione si collocano anche gli attivisti per il clima, spesso singole personalità che “influenzano” i propri followers, li informano, li spingono a farsi sentire: da loro, da queste singole voci, parte l’onda che poi finisce nelle piazze reali.
Apripista è stata Greta Thunberg, seguita da molti giovani che ora fanno lo stesso lavoro di denuncia. A cominciare dall’ugandese Vanessa Nakate, fondatrice del movimento Rise Up 4 Climate.
A lei si affiancano diversi altri volti attivi in Internet ma capaci di spostare il dibattito politico dal computer alla strada.
La loro attività si inserisce, poi, nel più ampio social media activism.
Il volto dell’attivismo digitale ha sicuramente seguito di pari passo l’evoluzione del mondo digitale e di quello reale: la sociologa Zaynep Tufekci nel suo “Twitter and tear gas: the power and fragility of networked protests” studia le caratteristiche dei movimenti sociali dell’era di Internet, come essi siano cambiati e come il web li abbia trasformati.
Non solo strumento divulgativo, i social hanno plasmato movimenti sociali e climatici come luoghi dell’auto-comunicazione di massa, in cui protagonisti, antagonisti e piccoli attori possono dire la propria, in spazi alternativi in cui non ci sono voci escluse. I movimenti nascono dal basso, senza alcun leader né programmi politici definiti, nascono sul web e successivamente si propagano nella realtà. E quando lo fanno, come abbiamo visto, modificano il modo di vivere politicamente la piazza.
In rottura rispetto alle vecchie organizzazioni del passato, oggi le arene sul web spesso non hanno una struttura imposta e definita, né un programma delineato: la difesa del Pianeta è il vero leader.
Con il 2020 e la pandemia i movimenti attivisti hanno cambiato volto, si è riconsiderato in senso positivo l’impatto dell’attivismo sui social media.
Rivalutato e riconosciuto nella sua capacità di mobilitazione anche il cosiddetto slackativism (attivismo per fannulloni), cioè di quell’attivismo che appartiene un po’ a tutti, fatto da casa, attraverso la condivisione di contenuti impegnativi. Così, grandi proteste, come quelle dei Black Live Matters, hanno avuto una risonanza e un impatto maggiore rispetto agli anni precedenti.
Questo riempie di fresco entusiasmo le strade, quelle vere, i musei e dà ai luoghi pubblici un nuovo modo di essere vissuti. Non sono mancati in tutto il mondo, in questo senso, la riappropriazione dei luoghi d’arte e cultura come palcoscenici in cui esprimere il proprio dissenso.
Da Vinci, Botticelli, Van Gogh sono alcuni degli artisti, inconsapevoli complici, della denuncia degli attivisti ambientali, che chiedono un’immediata inversione di marcia sui combustibili fossili e sulle emissioni. Per far ascoltare le proprie richieste si sono rivolti ad azioni estreme, con il rischio di deturpare il patrimonio culturale mondiale.
Fuori dai musei continuano ad organizzarsi e a manifestare in strada i giovani dei movimenti ambientalisti già capillari in tutto il mondo, gli studenti; talvolta gruppi di attivisti si sono dimostrati capaci anche di blocchi stradali e scioperi.
Ciò che è evidente, in sostanza, è la radicale trasformazione che il web e i social network hanno apportato alla piazza, al ruolo che gioca nella vita di comunità e di gestione della cosa pubblica.
Il rapporto del Joint Research Center, Tecnologia e Democrazia, analizza l’influenza delle tecnologie online sui comportamenti politici e sul processo decisionale, mettendo in luce anche tutti i rischi connessi a Internet come spazio spesso manipolato da logiche di mercato, inquinamento e falsificazione di informazioni, assenza di mediazione politica.
Eppure, al netto dei pericoli e degli svantaggi che possono comportare, le piazze virtuali hanno cambiato anche quelle pubbliche.
Qui si detta l’agenda politica: l’hashtag del giorno, il video di tendenza si impongono alla guida del dibattito giornaliero, spostandolo in platee infinite, costringendo la classe politica ad abbassare il volto sugli schermi e lontano dagli obblighi lavorativi, per stare al passo.
D’altra parte questa istantaneità, se da un lato potrebbe minare la solidità delle idee e delle battaglie di ciascuno, dall’altra ci dà un vigore diverso. Quello di far parte di un coro più ampio, capace di trascendere la singolarità e ricreare una collettività in carne e ossa che si spende per cause collettive.