[Traduzione a cura di Valentina Gruarin dell’articolo originale di Elisabetta Brighi pubblicato su openDemocracy]
Il 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, dottorando dell’Università di Cambridge, scomparve mentre svolgeva uno studio sul campo al Cairo, in Egitto. Il suo corpo, torturato, fu trovato in un fosso nove giorni dopo, il 3 febbraio.
Dopo sei anni, l’Egitto continua a negare ogni responsabilità nella vicenda, mentre gli autori di questo crimine sono ancora a piede libero. Continua però la battaglia per la verità.
L’omicidio di Giulio Regeni non è stato solo un attacco inaccettabile e senza precedenti al principio della libertà accademica. Questo crimine ha anche rivelato la portata e la brutalità della repressione controrivoluzionaria in corso in Egitto, da parte di un Governo certo della sua impunità.
Anche se quattro ufficiali dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale egiziana sono stati formalmente accusati nel processo in corso a Roma, il procedimento è attualmente in fase di stallo dopo che l’Egitto ha negato qualsiasi coinvolgimento nella questione e non ha consentito che i suoi agenti venissero processati da uno Stato straniero.
L’impunità dell’Egitto, tuttavia, costituisce solo un lato della storia. L’altro lato riguarda i Governi europei e la loro complicità con il regime del presidente Abdel Fattah al-Sisi.
L’Egitto è recentemente diventato il terzo più grande importatore di armi al mondo, dietro solo all’Arabia Saudita e all’India. Le importazioni militari sono più che raddoppiate negli ultimi cinque anni, rispetto al periodo tra il 2010 e il 2015. Il Paese è ora in procinto di acquisire la più grande capacità marittima della regione – e, per questo, dovrebbe ringraziare i suoi alleati europei, soprattutto Francia e Italia.
Alleanza con la Francia
Tra il 2013 e il 2017 la Francia ha superato gli Stati Uniti ed è diventata il secondo fornitore di armi all’Egitto, dopo la Russia – resta comunque da vedere se gli ultimi accordi sulla produzione bellica tra gli Stati Uniti e l’Egitto cambieranno questa classifica. Un terzo di tutte le importazioni di armi egiziane viene attualmente dalla Francia, mentre un quarto di tutte le esportazioni militari francesi sono dirette verso il Paese nordafricano. Negli ultimi cinque anni, le esportazioni belliche provenienti dalla Francia hanno registrato un aumento del 40% motivato direttamente dalla domanda del Medio Oriente, in particolare dall’Egitto.
Il grado e l’intensità della cooperazione tra questo Paese e la Francia vanno oltre le statistiche. Poco prima di Natale, alcuni documenti denominati “The Egypt Papers“ sono trapelati grazie al sito di giornalismo investigativo francese Disclose. I memorandum provano che, tra il 2016 e il 2018, la Francia ha partecipato a una serie di uccisioni mirate effettuate dalle forze armate egiziane al confine tra Libia ed Egitto. I documenti svelano anche la fornitura costante di software di sorveglianza da parte di quattro aziende tecnologiche francesi – software regolarmente utilizzati dall’Egitto per monitorare e colpire l’opposizione interna.
Il fatto che la Francia possa aver – letteralmente – armato la repressione di al-Sisi non è sfuggito alla magistratura francese, che ha recentemente processato quattro dirigenti delle aziende tecnologiche coinvolte, dichiarandoli colpevoli di “complicità nella torture e nelle sparizioni forzate verificatesi in Egitto tra il 2014 e il 2021”.
Esportazioni di armi italiane
Nel 2019, l’Egitto è diventato ufficialmente il primo cliente delle esportazioni belliche italiane. È rimasto l’acquirente numero uno dell’Italia anche nel 2020, con un volume di trasferimenti autorizzati che è aumentato esponenzialmente tra il 2016 e il 2020: da 7 milioni di euro nel 2016 a 60 milioni nel 2017, 800 milioni nel 2019 e quasi 1 miliardo di euro nel 2020.
Questa crescita vertiginosa è dovuta non solo alla quantità di armi vendute dal Paese, ma al tipo di armi oggetto della compravendita. La tendenza al rialzo è iniziata nel 2015, sotto il Governo di Matteo Renzi, caratterizzata da un aumento significativo dell’esportazione di armi leggere, di piccolo calibro e di software di sorveglianza. Ciò costituisce una trasgressione alle normative italiane che vietano il trasferimento di armi a Paesi che violano i diritti umani o sono impegnati in conflitti.
Ma il flusso delle esportazioni belliche ha cambiato significativamente marcia nel 2019, quando Italia ed Egitto hanno stretto un accordo – storico per entrambi i Paesi – per la vendita di sistemi d’arma complessi. Oltre alle due fregate già consegnate, l’accordo prevede la fornitura di altre quattro fregate, 24 jet Eurofighter, un satellite militare e 24 velivoli da combattimento leggeri. La maggior parte di questo equipaggiamento sarebbe prodotto da aziende che sono, almeno in parte, di proprietà dello Stato italiano, come Fincantieri.
Il sostegno dell’Europa ai dittatori
Nel periodo tra il 2016 e il 2020 proprio mentre la repressione del regime di al-Sisi si inaspriva in seguito all’assassinio di Giulio Regeni, la cooperazione militare tra l’Egitto e i suoi partner europei si è intensificata drasticamente. La lotta al terrorismo islamico – un mantra molto amato su entrambe le sponde del Mediterraneo – è servita come pretesto ideale per un processo di riarmo di cui hanno beneficiato soprattutto gli appaltatori privati della Difesa e le élite governative, sia in Egitto che in Europa.
Inoltre, queste compravendite di armi, spesso finanziate da prestiti concessi da Paesi esportatori di materiale bellico, si sono rivelate strumentali nel creare una maggiore interdipendenza, anche finanziaria, tra le due sponde del Mediterraneo, tanto che ora i Governi europei hanno un interesse diretto nella sopravvivenza del regime di al-Sisi.
Dieci anni dopo le Primavere arabe, l’Europa, nonostante il suo iniziale sostegno alle lotte e alle richieste di giustizia sociale manifestate dalle proteste di massa, sembra aver riscoperto il suo amore per i dittatori. Il cinico approccio europeo è stato spesso giustificato in termini di convenienza, per cui l’Europa ha posto gli interessi particolari al di sopra dei valori sociali: una dicotomia che si rivela falsa da più punti di vista.
In primo luogo, come hanno dimostrato le rivolte arabe, non si raggiungerà la stabilità né tantomeno una sicurezza a lungo termine senza giustizia sociale, il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali e un’idea di democrazia. Gli “interessi nazionali” non sembrano in linea con il tanto decantato sostegno alla stabilità e alla sicurezza.
Sembra ovvio che nel caso della cooperazione militare con l’Egitto, gli interessi nazionali siano equiparati agli interessi dell’industria della Difesa e delle élite governative, su entrambe le sponde del Mediterraneo. Questi difficilmente rappresentano gli interessi delle nazioni coinvolte che finiscono spesso per essere vittime di tali politiche.
In terzo luogo, la credibilità dell’Europa sta diminuendo sensibilmente nella regione che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che, come ha affermato recentemente un avvocato egiziano per i diritti umani, i Governi europei “si stanno comportando come nemici della democrazia“, anziché come Stati democratici desiderosi di aiutare altri Paesi nella transizione verso la democrazia.
Il danno di reputazione all’estero è considerevole, ma lo è anche il pericolo che, a causa di un effetto boomerang, i principi democratici si indeboliscano anche in Europa – un processo che, di fatto, sta già avvenendo.
A questo proposito, un vecchio detto afferma: “La verità ha molti nemici, le bugie hanno molti amici”. La verità su quello che è successo a Giulio Regeni è estremamente scomoda, sia per il Governo egiziano, ma anche per i Governi europei – specialmente per lo Stato italiano, la cui strategia per assicurare che l’Egitto si assuma la responsabilità dell’omicidio di Regeni è finora miseramente fallita.
Nel 1919, Antonio Gramsci scriveva che “dire la verità, arrivare insieme alla verità, è un atto rivoluzionario”. Dire la verità sull’assassinio di Giulio Regeni significherebbe essere obiettivi sull’Egitto, ma anche sull’Europa, sui suoi Governi, sulle azioni e responsabilità di entrambi. Quello che è successo a Giulio Regeni ha una rilevanza politica e scoprire con esattezza i fatti costituirebbe davvero un atto politico e rivoluzionario.