La questione dei diritti omosessuali in Maghreb e nel mondo arabo in generale, tuttora aperta ed attuale, è recentemente tornata alle cronache a causa di episodi avvenuti nella vicina Tunisia. Si tratta della candidatura a presidente della Repubblica Tunisina di Mounir Baatour, primo candidato omosessuale dichiarato nel Maghreb, e di quella che è stata presentata dai media come la prima trascrizione di un matrimonio omosessuale nel mondo arabo.
In Tunisia, pur essendo uno dei Paesi islamici più all’avanguardia per quanto riguarda i diritti umani e delle donne, le persone LGBT+ sono ancora legalmente perseguitate. Attualmente, la legge tunisina criminalizza infatti i rapporti omosessuali. L’articolo 230 del Codice penale tunisino prevede la reclusione fino a 3 anni per atti di sodomia tra adulti consenzienti:
La sodomie, si elle ne rentre dans aucun des cas prévus aux articles précédents, est punie de l’emprisonnement pendant trois ans.
Tuttavia, facendo una breve analisi storica, la prima versione del Codice penale, redatta nel 1911, non criminalizzava l’omosessualità, e così era anche nei Codici precedenti (come, ad esempio, il Qanun Al Jinayat, in vigore dal 1860 sotto la dinastia Husaynide). L’articolo 230 venne promulgato nel 1913 dalle autorità coloniali francesi, benchè il reato di sodomia fosse stato abrogato in Francia già dal 1791.
Oltre che dal punto di vista legale, l’omosessualità viene stigmatizzata in ambito sociale, culturale e politico. Dal punto di vista sociale, le istituzioni religiose non abbracciano le visioni più progressiste (come, ad esempio, quelle illustrate da Scott Siraj Al-Haqq Kugle) e talvolta si espongono sostenendo posizioni omofobe, come sottolinea l’associazione Shams. Inoltre, anche nei contesti famigliari vi sarebbero vari tipi di pressioni e, da parte delle istituzioni, non vi è fino ad ora alcuna reale volontà politica di abolire l’articolo 230.
Dopo la transizione democratica e la promulgazione della nuova Costituzione del 2014, che garantiva la libertà di associazione, sono nate diverse associazioni per la tutela dei diritti umani e dei diritti LGBT, come Damj, Mawjoudin, Shams, Chouf e Kelmty.
Mawjoudin (“presenti”, “noi esistiamo”) lotta contro tutte le forme di discriminazione basate sull’orientamento sessuale e l’identità ed espressione di genere. Dispone di una rete di professionisti della sanità (psicologi, psicoterapeuti e medici) e del diritto (avvocati e giuristi) e svolge un importante lavoro per contrastare gli arresti arbitrari da parte della polizia basati sull’orientamento sessuale. Nel 2018 ha organizzato il Festival del film queer di Tunisi, primo del suo genere nel Paese.
Shams è stata fondata nel 2015 dall’attivista e avvocato Mounir Baatour ed è una delle realtà più attive in questo contesto. Gli obiettivi includono la sensibilizzazione sulle malattie sessualmente trasmissibili, il sostegno morale, materiale e psicologico ai membri delle minoranze sessuali, la difesa dei diritti LGBT e, soprattutto, l’abolizione delle leggi per la segregazione delle minoranze sessuali, in particolare l’art. 230 del Codice Penale. Nel 2017 ha inoltre lanciato Radio Shams, al fine di dare voce alla comunità LGBT in Nordafrica sia nei Paesi del Maghreb che all’estero.
Nell’agosto 2019, Mounir Baatour annunciava la propria candidatura alle successive elezioni presidenziali diventando il primo candidato omosessuale dichiarato del mondo arabo. Nel suo programma compariva l’abrogazione del già menzionato art. 230 al fine di depenalizzare l’omosessualità nel Paese. Tuttavia, nonostante avesse raccolto il doppio delle firme necessarie, la sua candidatura non è stata accettata e ha dovuto lasciare la Tunisia per rifugiarsi in Francia, in seguito alle numerose minacce di morte ricevute.
La sua vicenda, in ogni caso, ha portato all’attenzione internazionale la questione dei diritti LGBT nel Maghreb, fatto a cui ha contribuito anche un’altra notizia proveniente dalla Tunisia, ovvero l’annuncio della prima trascrizione di un matrimonio omosessuale nel mondo arabo, salvo essere in seguito parzialmente smentita.
Si tratterebbe, infatti, di un errore amministrativo: è stato trascritto, per errore, il matrimonio (contratto in Francia) tra un cittadino tunisino e un cittadino francese sull’atto di nascita del primo nell’ambito di una procedura di ricongiungimento famigliare. Il matrimonio e i rapporti omosessuali restano dunque illegali, L’errore, inoltre, sarebbe doppio: un corollario della legge francese sul matrimonio egualitario del 2013 vieta di contrarre matrimoni omosessuali con cittadini di Tunisia, Algeria, Marocco e altri Paesi.
E’ invece stata recentemente confermata in appello la condanna di due giovani tunisini di 26 anni con l’accusa, appunto, di sodomia. La pena, emessa in primo grado dal tribunale di Le Kef, viene dimezzata (passando da due anni ad un anno di reclusione), ma resta un episodio che suscita lo sdegno della comunità LGBT e delle associazioni per la tutela dei loro diritti. Inoltre, Human Rights Watch ha denunciato le pressioni a cui i giovani sarebbero stati sottoposti: secondo il loro avvocato, avrebbero subìto minacce ed insulti da parte della polizia in seguito al loro arresto, al fine di ottenere una confessione. Inoltre, il loro rifiuto di sottoporsi ad un esame anale è stato considerato dal tribunale come un elemento di colpevolezza invece che come un tentativo di tutelare la propria dignità e integrità psicofisica.
Nonostante l’attenzione della stampa internazionale e il dibattito interno promosso dall’attivismo, la situazione per i diritti LGBT nel Paese non migliora: i fatti citati, anzi, hanno suscitato reazioni omofobe nel Paese, l’articolo 230 resta in vigore, il presidente Kais Saied sostiene la linea conservatrice, le condanne per relazioni omosessuali aumentano e la polizia continua ad arrestare uomini sospetti in base all’articolo 226 del Codice penale, ovvero oltraggio alla pubblica decenza.