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Polonia, inarrestabile cammino verso l’autocrazia conservatrice

Rafal Trzaskowski e Andrzej Duda

[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Michael C. Zeller, pubblicato su openDemocracy]

Proteste in Polonia per il rispetto della Costituzione, slogan usato anche dalla comunità LGBT per rivendicare i suoi diritti. Foto Pixabay su licenza CC.

La Polonia sta vivendo un momento di forte precarietà. Dopo la lunga fase di democrazia consensuale, che era iniziata con la fine del regime comunista, nel corso dell’ultimo decennio il Paese ha assistito a un marcato accentuarsi della polarizzazione politica.

Il risultato delle recenti elezioni presidenziali, decise con uno strettissimo margine di vittoria, ha spaccato in due l’opinione pubblica ed è stata la chiara espressione di tale tendenza. A complicare la situazione si aggiunge il fatto che la polarizzazione esistente si manifesta principalmente in ambito religioso e in quello della parità di genere, seguendo un trend a cui il Paese non sa far fronte. 

A metà luglio “Diritto e giustizia” (PiS), partito del presidente in carica Andrzej Duda, si è riconfermato per un soffio come la prima forza politica del Paese. Nel suo programma, Duda ha sempre aspramente condannato quella da lui definita “l’ideologia LGBT” e, al tempo stesso, ha promesso di far uscire la Polonia dalla convenzione di Istanbul, che impegna i firmatari a prevenire e combattere la violenza sulle donne.

La campagna di Duda ha attinto energie dalle spaccature religiose già esistenti nel Paese, schierandosi con la Chiesa cattolica e dipingendo il proprio avversario, Rafał Trzaskowski, come il volto dei cattolici liberali e dei polacchi laici. Tale strategia di polarizzazione ha influito sui risultati delle elezioni, che hanno diviso la popolazione in due (Duda ha guadagnato il 51% dei consensi e Trzaskowski il 49%) su schieramenti opposti: Est-Ovest, contesto urbano-rurale, credenti- laici. E questo ha posto un problema serio: la polarizzazione è in aumento, ma la Polonia non ha la capacità di affrontarla.

Dopo il crollo del comunismo, il panorama politico del Paese per anni è stato caratterizzato da una democrazia consensuale. Questo modello, però, a metà degli anni Duemila ha cominciato a sgretolarsi, lasciando spazio al conflitto tra i due maggiori partiti politici, il PiS e la Piattaforma Civica. La rivalità ha alimentato il processo di polarizzazione del Paese.

Dal 2015, il PiS ha vinto la maggior parte delle elezioni parlamentari, e con Duda presidente ha imposto in modo aggressivo il proprio programma (che comprendeva preoccupanti riforme del sistema giudiziario, misure antiaborto, e persecuzione politica della comunità LGBTQ), spingendo la Polonia dalla democrazia liberale all’autocrazia conservatrice.

Tutte manovre che hanno alimentato le fiamme della polarizzazione, creando un incendio che il Paese non sembra in grado di domare. Questo è quanto traspare dai dati diffusi dal progetto BRaVE (Building Resilience to Violent Extremism,) che calcola gli indicatori di polarizzazione e resilienza in cinque aree tematiche:  (1) razza e etnia, (2) religione, (3) politica, (4) genere e orientamento sessuale, (5) economia sociale.

Alcuni dei dati riscontrati nell’ambito dell’analisi di BRaVE non destano preoccupazione. Ad esempio, in Polonia, i livelli di divisione in ambito etnico sono al di sotto della media (il che non sorprende, vista l’omogeneità della popolazione, con oltre il 95% di “etnia” polacca). Allo stesso tempo, la Polonia ha bassi livelli di flessibilità etnica/razziale.

Inoltre, in una lista di dieci Paesi della UE, la Polonia si trova all’ultimo posto per quanto riguarda la promozione della coesione sociale e di un ambiente favorevole alle minoranze. Ora, la carenza di resilienza è meno preoccupante rispetto a una situazione in cui il livello di polarizzazione etnica è ben più alto di quello polacco. Ma quando questo si alzerà, quali saranno le conseguenze?

Il Governo guidato dal PiS è stato caratterizzato da una politicizzazione della parità di genere e da regressione dei diritti per la comunità LGBTQ. Molto spesso a tali manovre sono state date giustificazioni politiche, con richiami ai dogmi cattolici e al canone biblico. Dal canto loro, l’establishment cattolico polacco (nello specifico, la Conferenza Episcopale) e i credenti conservatori appoggiano le misure reazionarie del PiS. Il che fa della Polonia uno dei Paesi più polarizzati della UE, in ambito religioso, nonché riguardo la parità di genere e l’orientamento sessuale.

Resilienza è “la capacità di affrontare le difficoltà e di reagire, nonché di attingere forza da varie fonti e risorse sociali, per adattarsi e gestire le avversità, le tensioni, lo stress e gli eventi traumatici“. In altre parole, a livello sociale, si tratta di una qualità che aiuta a proteggerci dalle tensioni, come appunto quelle originate dalla polarizzazione.

Detto questo, risulta preoccupante il fatto che la Polonia abbia bassi livelli di flessibilità religiosa, di parità di genere e di orientamento sessuale. Proprio queste aree sono quelle che generano più tensione nella Polonia contemporanea. E la società polacca non possiede molta capacità di gestire le tensioni generate dalla polarizzazione. Un fenomeno, quest’ultimo, chiaramente in crescita, come dimostrano gli eventi che hanno seguito la rielezione di Duda, tra cui l’arresto di un attivista LGBT con conseguenti proteste e la persistenza delle cosiddette zone NO LGBT in alcune città polacche.

Fino a quando il PiS manterrà il controllo del Governo (il che vuol dire almeno per i prossimi tre anni, fino alle prossime parlamentari in programma per il novembre 2023), la polarizzazione sarà una strategia utilissima per il consolidamento del programma autocratico-conservatore. Sta all’opposizione liberale ora arginare il processo tramite azioni collettive e la costruzione della resilienza a livello di comunità locali.

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