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Terra e diritto di proprietà in Africa, Il caso di Eritrea e Ghana

Il diritto fondiario è uno degli aspetti più complicati e di difficile comprensione del diritto africano. Esso ha numerose implicazioni: economiche, politiche, sociali ed etiche. Il tanto discusso fenomeno del land grabbing, o accaparramento delle terre, è uno degli esempi più lampanti dell’importanza della questione. Esso consiste nella vendita, da parte degli Stati, di grandi estensioni di terreno a investitori o aziende senza il consenso delle comunità che vi abitano e le utilizzano.

Per comprendere appieno la questione non vanno però sottovalutati gli aspetti culturali e storici: nella concezione giuridica della tradizione africana, infatti, lo status della terra segue concezioni diverse da quelle della tradizione giuridica occidentale. Inizialmente, gli studiosi occidentali considerarono erroneamente la proprietà fondiaria nei sistemi tradizionali africani come “collettiva”. Si tratta di una semplificazione errata, figlia di quell’evoluzionismo unilineare che vuole vedere le società “arretrate” muoversi verso il mondo moderno, anche sotto l’aspetto giuridico (passare “dallo status al contratto“, come è stato detto da Henry Sumner Maine).

La realtà, invece, era (ed è) più complessa: proprietà collettiva, di gruppo e individuale coesistono. È meglio parlare, dunque, di proprietà proprietà comunitaria, vale a dire più individui possono essere titolari di diversi diritti di sfruttamento e disposizione del medesimo terreno. Diritti individuali e collettivi formano quindi un’unica realtà giuridica e sociale: quella, appunto, comunitaria. La concezione etnocentrica dei primi studiosi europei ha invece portato a considerare come uguali tra di loro tutte le strutture giuridiche diverse da quella occidentale, senza vederne e apprezzarne la straordinaria ricchezza e varietà.

La complessità della storia del diritto fondiario in Africa viene rappresentata molto bene dalla situazione di due Paesi: l’Eritrea e il Ghana.

La situazione giuridica attuale in Eritrea non rende giustizia alla lunga e complicata storia di coesistenza e stratificazione di leggi, usi, culture e tradizioni avvenuta nel Paese in ambito fondiario. La legge attuale prevede infatti l’abolizione di tutti i sistemi di diritto tradizionale e l’assegnazione di tutto il territorio del Paese allo Stato: ai cittadini può essere concesso un terreno solo in “usufrutto” dal Governo, il quale mantiene comunque il diritto di toglierne la disponibilità. 

Si ritrova dunque la suddivisione, diffusa in molti sistemi dell’Africa subsahariana, di tutto il territorio nazionale in terre assegnate in concessione da parte dello Stato e terre da esso direttamente gestite. Infatti in Africa si assiste, più che alla compravendita di terreni, alla concessione pluriennale di fondi da parte degli Stati, fenomeno che può aprire la strada all’accaparramento delle terre.

Guardando la storia del diritto fondiario in Eritrea, alle diverse tradizioni giuridiche in materia, originarie del territorio, si sono sovrapposte nei secoli norme di origine religiosa (cristiana copta, precedente alla colonizzazione, e islamica), diritto coloniale italiano (di importazione diretta dall’Italia prima, di vero e proprio diritto coloniale in seguito), diritto in vigore nel periodo di interregno britannico, diritto fondiario etiope (durante l’annessione), provvedimenti emanati durante la guerra di liberazione e, infine, diritto fondiario dello Stato eritreo.

L’altopiano eritreo. Foto su Pikist in licenza Creative Commons

Vi sono numerosi sistemi fondiari tradizionali, i principali sono resti, diesa e gulti. Caratteristica comune ai primi due è quella di scindere la titolarità del bene dal diritto d’uso: la prima è comunitaria, mentre il secondo è individuale. Il diesa si configura come una proprietà comunitaria a livello di villaggio: i terreni, pur restando di proprietà comune del gruppo, vengono suddivisi e assegnati a rotazione su base di turni alle famiglie del villaggio, sulla base di status individuali e familiari.

Il resti, operante a livello familiare, viene originato dal primo insediamento di un soggetto su un dato territorio, che si trasmette alle successive generazioni. Il gulti, infine, è un tipo di regime fondiario introdotto in Eritrea dagli imperatori etiopi nel sedicesimo secolo, quando cominciarono a concedere terre ai loro soldati e sostenitori e a fondare monasteri e conventi.

Durante l’occupazione coloniale, la politica italiana in materia fondiaria fu inizialmente quella di eliminare i regimi tradizionali sostituendoli con una legislazione che permettesse ai coloni di appropriarsi delle terre fertili. In seguito venne emanato il R.D. 19 gennaio 1893 n. 23 il quale rendeva di fatto tutto il territorio della colonia di proprietà dello Stato. Per incentivare l’insediamento dei coloni italiani iniziarono le espropriazioni di terreni.

Nel 1909 si approvò il primo ordinamento fondiario della colonia, che riordinava in maniera organica la materia, dichiarando di proprietà demaniale tutto il bassopiano e parte dell’altopiano. Tuttavia, vennero riconosciuti alcuni diritti tradizionali locali: i fondi sottoposti a regime di resti e diesa furono fatti salvi dalle espropriazioni. Si iniziò anche a lavorare ad un progetto di codice civile per la colonia eritrea, fondato sulla raccolta degli usi più simili al diritto europeo e più convenienti per i fini della colonia, il quale però non vide mai la luce.

In seguito alla Seconda guerra mondiale, la (breve) parentesi di amministrazione inglese vide continuare le espropriazioni. Nel 1952 le Nazioni Unite si pronunciarono a favore della federazione tra Eritrea ed Etiopia. Essa fu, però, di breve durata: nel 1962 l’imperatore d’Etiopia Hailè Selassié la sciolse e dichiarò l’Eritrea la quattordicesima provincia etiope. Nel 1960 l’Etiopia si dota di un Codice Civile, redatto con l’aiuto del celebre comparatista René David e ispirato al diritto francese. La materia fondiaria viene disciplinata e sono inserite rilevanti innovazioni, perlopiù prese dal Code Civil.

Il Codice Civile Etiope fu però un discreto fallimento, non trovando nessun riscontro positivo da parte della popolazione, e continuarono ad essere applicati i sistemi fondiari tradizionali.

In seguito al colpo di stato etiope del 1974, che vide la deposizione dell’Imperatore, il nuovo Governo stabilì di applicare anche in campo fondiario i principi del socialismo. La Public Ownership of Rural Lands Proclamation del 1975 abrogò (almeno sulla carta) tutti i regimi fondiari tradizionali, dichiarando tutti i terreni agricoli di “proprietà del popolo”.

Anche tale riforma ebbe però scarso successo, soprattutto in Eritrea. I motivi sono vari, tra cui l’ostilità della popolazione al regime, la forza delle tradizioni ben radicate nell’altopiano e il controllo del bassopiano da parte delle forze di liberazione. Nel 1990 Mengistu, a cause di vari motivi abbandonò il sistema fondiario socialista a favore di un’economia di tipo misto, che vide la reintroduzione della proprietà privata.

L’indipendenza dell’Eritrea venne ufficialmente dichiarata il 24 maggio 1993. La Land Proclamation del 1994 è l’atto che contiene le norme fondamentali per quanto riguarda il diritto fondiario dello Stato eritreo. Essa rivoluziona ulteriormente il regime fondiario, eliminando un’altra volta i sistemi di tipo tradizionale e stabilendo l’assegnazione di tutto il territorio del Paese allo Stato, con le conseguenze viste prima.

Una situazione analogamente complicata ma per ragioni opposte è quella del Ghana: nel Paese del West Africa, al posto dell’abolizione dei regimi tradizionali e di una (impietosa) semplificazione della situazione giuridica, è in vigore un sistema misto; il Ghana, in quanto ex colonia britannica, eredita un sistema di common law, oltre alle tradizioni giuridiche locali (inclusa quella islamica). I diritti delle tradizioni locali hanno un certo peso e si tenta di armonizzarli con le altre fonti: secondo la Costituzione del Ghana, essi fanno parte della Common Law applicabile. All’articolo 11, essa recita:

La Common law del Ghana comprende … la Common law … le dottrine dell’equity e le norme di diritto consuetudinario … “diritto consuetudinario” indica le norme che per consuetudine sono applicabili in determinate comunità in Ghana

In Ghana quindi vengono riconosciute due forme di proprietà terriera: statutory (cioè sulla base delle leggi statali) e customary (cioè sulla base delle tradizioni giuridiche locali). I terreni soggetti a regime fondiario tradizionale vengono definiti “stool and skin lands“, in riferimento ai simboli del potere tradizionale. Si differenziano soprattutto per la trasmissione che può essere patrilineare o matrilineare. Il problema è che il panorama legislativo risulta estremamente frazionario e complesso: esso infatti comprende più di 160 leggi di diritto fondiario.

Coltivazione in Ghana. Immagine di Global Justice Now su Flickr in licenza Creative Commons

Questo, come viene fatto notare da alcuni studiosi, può portare ad effetti controproducenti: secondo Lennox Kwame Agbosu della Ghana School of Law, ad esempio, l’incertezza dei titoli di possesso della terra dovuta alla complessità del sistema e il costo dei processi (oltre ad altri problemi di accesso alla giustizia diffusi in Africa subsahariana: lingua, cultura, corruzione, ecc.) hanno creato un clima favorevole all’usurpazione e l’acquisizione di territori di comunità locali da parte di una minoranza di ricchi investitori.

Il Land Bill, non ancora approvato, punta ad un’unificazione del panorama legislativo e a una migliore armonizzazione di statutory e customary law, con la collaborazione di esponenti del diritto tradizionale, cercando quindi di perseguire la semplificazione normativa pur rispettando, almeno in principio, le tradizioni giuridiche precedenti alla colonizzazione.

L’esperienza dell’Eritrea e quella del Ghana dimostrano quindi quanto possa essere complicato approcciarsi ad un tema così sensibile come quello del diritto fondiario in Africa, con le sue innumerevoli declinazioni in ambito sociale, culturale e politico.

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