[Traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di Modesta Tochi Alozie, pubblicato su The Conversation]
Dopo quasi sette decenni di esplorazioni petrolifere nel Delta del Niger, l’industria del petrolio nigeriana è arrivata a rappresentare il 65% delle entrate del governo e l’88% delle entrate in valuta estera. Ma questa ricchezza ha generato anche costi terribili per la popolazione locale e il suo ambiente.
Decenni di fuoriuscite di petrolio e “gas flaring” hanno trasformato il Delta in uno dei luoghi più inquinati della Terra. Nella regione si verificano circa 300 fuoriuscite di petrolio ogni anno e, nel 2011, una fuoriuscita nei giacimenti della Shell a Bonga ha rilasciato l’equivalente di 40.000 barili. Sono state colpite oltre 350 comunità agricole e 30.000 pescatori sono stati costretti a rinunciare ai propri mezzi di sussistenza.
Le popolazioni locali dovrebbero essere compensate per le fuoriuscite di petrolio causate da guasti tecnici, ma questo accade raramente per vizi nel processo di determinazione delle cause di tali “incidenti”. I 6,5 milioni di residenti nel territorio i cui mezzi di sussistenza dipendono dalla pesca, e molti altri che sopravvivono grazie all’agricoltura, hanno visto il loro futuro prosciugarsi come il petrolio estratto.
Di fronte a prospettive sempre più disperate, molti giovani del Delta hanno abbracciato la violenza militante. Quando mi sono trovato a discutere delle mie ricerche sulle esperienze dei giovani in questa regione, in molti si sono affrettati a mettere in discussione la mia decisione di concentrarmi sul risentimento di queste frange di giovani. Ma personalmente non ho mai creduto alla criminalità come unica spiegazione per l’adesione alla militanza. Ho sempre cercato, invece, di far luce sull’esperienza di questi giovani per contribuire a raccontare la storia di questa parte sfruttata del mondo.
Dove l’esclusione e la violenza collidono
In un Paese in cui molti giovani sono disoccupati, il sentimento di esclusione dall’apparato economico è diffuso. Ma per i giovani nel Delta del Niger, la disoccupazione è solo un problema tra i tanti.
La cultura in cui crescono pretende da loro che si sposino e abbiano figli. Ma in Nigeria il matrimonio è spesso un processo elaborato che richiede molti soldi. Per molti giovani che non hanno un reddito da lavoro, né le abilità tradizionali di coltivare o pescare, il matrimonio è semplicemente troppo costoso. “Siamo i capi della casa, ma non possiamo controllare la casa” è un’analogia popolare che ho sentito dire spesso.
Uniti dal risentimento condiviso, i giovani hanno iniziato a lanciare attacchi contro l’industria petrolifera nel 2003, bruciando oleodotti, sequestrando lavoratori del settore per chiederne il riscatto e uccidendo i soldati impiegati per proteggere le strutture petrolifere. I politici hanno anche trovato il modo di sfruttare i militanti pagandoli per terrorizzare gli avversari e aiutarli a vincere le elezioni.
Nel solo 2004, oltre 100 persone sono morte in violenti scontri tra gruppi di milizie rivali o con le forze di sicurezza. All’inizio del 2007 la produzione di petrolio era diminuita del 40%, costringendo il Governo federale a lanciare due anni dopo il Programma di Amnistia Presidenziale, che offriva ai soggetti coinvolti retribuzioni mensili di 400 dollari, progetti di sviluppo o altre attività, concesse in cambio della rinuncia alle armi.
Ma molti di questi progetti – compresi contratti di estrazione petrolifera – sono stati assegnati a leader dei gruppi militanti. Tanti altri giovani si sono attivati grazie a questi programmi e ai redditizi insediamenti concessi. Attraverso la violenza, sono riusciti a inserirsi nell’economia del petrolio entrando dalla porta sul retro.
Alla ricerca di un futuro
Oltre ad utilizzare la violenza, i giovani del Delta del Niger stanno reagendo alle loro esperienze di devastazione ambientale in vari modi. Alcuni sono diventati attivisti, richiedendo normative migliori e organizzando campagne per la bonifica della loro terra inquinata. Altri chiedono posti di lavoro nell’industria petrolifera per compensare i mezzi di sussistenza rurali che hanno perso. Chi possiede i mezzi per viaggiare sta migrando verso le città in cerca di una vita migliore.
Per Ken, un giovane del villaggio di Bodo, viaggiare non è però un’opzione. La vita in città è dura, dice, ed è profondamente legato alla sua casa natale. Gli piacciono le foreste di mangrovie. Gli piace guardare le danze delle donne nella sua comunità. Gli piace la cordialità degli abitanti del villaggio e ama gustarsi la zuppa preparata da sua moglie con le lumache e la verdura appena colta nel loro cortile. Gli piace la vita di campagna e non vuole andarsene.
Trasformare la vita degli abitanti della regione richiederà cambiamenti radicali, a partire da come vengono spesi i soldi ricavati dal petrolio. I giovani delle comunità più colpite dall’inquinamento non dovrebbero continuare ad essere destinatari passivi delle entrate del mercato del petrolio, introdotti nell’economia petrolifera solo quando ricorrono alla violenza.
Anche se il denaro rimane una grande preoccupazione, la mia ricerca indica che molte persone preferirebbero poter vivere in un ambiente naturale sano piuttosto che ricevere i premi finanziari delle compagnie petrolifere. Nonostante le proteste quasi costanti contro l’inquinamento, e la richiesta del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente per l’immediata bonifica di terre e fiumi contaminati, poche cose sono migliorate nell’ultimo decennio. La speranza di una vita migliore sta svanendo per molti, e la maggior parte dei giovani con cui ho parlato sono convinti che il petrolio si sia intromesso nel loro destino.