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Pesticidi, colosso della chimica rinuncia al velenoso Clorpirifos

[Agenda 6 – 19 febbraio 2020. Tenere una finestra aperta sul mondo. In questa prospettiva, la nostra rubrica quindicinale racconta, attraverso cinque notizie, quanto accade nel panorama internazionale, in linea con le tematiche di Voci Globali.]

Foto dell’utente Flickr Meaduva – Licenza CC

Ambiente – Insetticida tossico lungo il viale del tramonto

Il 6 febbraio, la statunitense Corteva Inc. – società leader internazionale nel settore dei pesticidi – ha annunciato che entro la fine dell’anno cesserà la produzione di Clorpirifos. L’insetticida, ampiamente utilizzato per difendere le coltivazioni agricole – presenta alti livelli di tossicità per diverse specie animali, tra cui pesci e api. E secondo alcuni studi scientifici sarebbe nocivo anche per la salute dell’uomo. In particolare, avrebbe effetti dannosi sullo sviluppo neurologico dei bambini. “È stata una scelta sofferta” ha detto Susanne Wasson, presidente del ramo colture della società. La decisione potrebbe sembrare frutto di una nuova sensibilità imprenditoriale verso ambiente e salute infantile. Invece è legata al drastico calo delle vendite. La California, centro nevralgico dell’industria agroalimentare americana, ha di recente vietato la vendita di antiparassitari contenenti Clorpirifos. La sostanza, dal 31 gennaio, è stata messa al bando anche dall’Unione Europea. La Corteva aveva cercato di esercitare forti pressioni sulla Commissione UE al fine di ottenere il rinnovo della licenza. L’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), in agosto, aveva però dato parere negativo evidenziando i potenziali danni del composto chimico per il DNA umano.

Giustizia sociale – La Croazia apre alle “adozioni gay”

Con una sentenza storica, pubblicata il 7 febbraio, la Corte costituzionale ha riconosciuto il diritto delle coppie omosessuali ad avere pari opportunità in materia di adozione. Il presidente della Consulta croata, Miroslav Šeparović, ha spiegato che la riforma della filiazione adottiva – entrata in vigore lo scorso anno – è stata applicata dalle competenti autorità in modo tale da escludere le coppie gay dal circuito delle adozioni proprio in ragione del loro orientamento sessuale. Di conseguenza, “produce effetti discriminatori” ed “è incostituzionale”. Per valutare se i potenziali genitori adottivi siano (o meno) adatti ad accogliere un bambino non si deve tener conto della loro dimensione sessuale bensì “della capacità di garantire al minore il suo migliore interesse. Va precisato che la legge in questione non è stata abrogata. Sono state però fornite chiare indicazioni interpretative a tribunali, servizi sociali e altri organi decisionali per evitare future discriminazioni. La decisione arriva dopo ben 8 richieste di pronuncia. E segna un passo importante per il riconoscimento dei diritti LGBT in una Nazione a prevalenza cattolica, che solo 7 anni fa vietava espressamente, attraverso un referendum, i “matrimoni gay”.

Politica Internazionale – Conflitto israelo-palestinese, respinto piano di pace

Nel suo discorso alle Nazioni Unite, l’11 febbraio, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, ha respinto con fermezza il cosiddetto “Deal of the Century paragonandolo a un “formaggio svizzero”. Il piano di pace proposto dagli Stati Uniti stabilisce una spartizione territoriale a netto vantaggio di Israele. Ai palestinesi, infatti, verrebbero assegnate parti della Cisgiordania e di Gaza neppure contigue fra loro e collegate attraverso un sistema di strade, ponti e tunnel. Per Nikolay Mladenov, coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente, qualsiasi mediazione futura dovrà partire dalla realizzazione di due Stati secondo i confini del 1967 e prevedere Gerusalemme Est come capitale palestinese. Il progetto aveva già incontrato l’opposizione della Lega Araba e dell’Unione Africana. Gli USA sono stati accusati di unilateralismo per aver preparato un piano senza avvalersi di consultazioni internazionali. Forte anche la mobilitazione dal basso. Lo slogan con cui i palestinesi sono scesi in piazza è chiaro: “la Palestina non è in vendita“. La copertura mediatica delle proteste in Cisgiordania è risultata piuttosto problematica. Reporter senza Frontiere, il 12 febbraio, ha denunciato 16 casi di giornalisti a cui le forze di sicurezza israeliane hanno impedito, in vario modo, di documentare le manifestazioni in corso e le conseguenti tensioni.

Diritti umani – Migranti, diritto di asilo e principio di non refoulement

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza del 13 febbraio, ha ritenuto legittimo il respingimento verso il Marocco di due migranti (uno maliano e l’altro ivoriano) da parte della Spagna. Nell’agosto 2014, i ricorrenti – insieme a un gruppo di circa 70 persone – dopo aver scavalcato la barriera di Melilla, erano stati rispediti al confine dalle guardie civili spagnole. Lamentavano, pertanto, la violazione del principio di non-refoulement sancito dal Protocollo n. 4 della Convenzione EDU. La Grande Camera, ribaltando la decisione di primo grado, ha però accolto la tesi del Governo spagnolo. Secondo Madrid, i due uomini non erano stati “respinti” ma “rifiutati alla frontiera. Il territorio spagnolo, infatti, non inizierebbe ai piedi della recinzione bensì al di là di una linea immaginaria rappresentata dalla Guarda civile spagnola. In altre parole, i migranti non si trovavano ancora sul suolo iberico. Per la Corte di Strasburgo, inoltre, i ricorrenti si erano volontariamente messi in una situazione di illegalità non avvalendosi degli strumenti giuridici a loro disposizione per chiedere asilo in Spagna. Avrebbero, cioè, potuto presentare una regolare domanda di protezione internazionale presso l’ufficio asilo, aperto nel 2015, nel valico di frontiera di Beni Enzar. Oppure, recarsi presso il consolato iberico di Nador, poco distante dal luogo in cui si era verificato l’assalto ai recinti di confine.

Africa – (Nuova) ondata di violenza nella regione anglofona del Camerun

È stato solo uno sfortunato incidente. Un danno collaterale nel corso di un’operazione di sicurezza”. Con queste parole, il 17 febbraio, il portavoce dell’esercito camerunense ha giustificato il massacro avvenuto venerdì scorso in un villaggio anglofono nel Nord-Ovest del Paese. A causa dell’esplosione di alcuni contenitori di carburante, “sono morti 5 civili. Mentre 7 terroristi” appartenenti alle milizie separatiste “sono stati neutralizzati”. La versione delle Nazioni Unite è però molto diversa. James Nunan, funzionario locale dell’OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), sostiene che “un gruppo di uomini armati ha ucciso 22 persone, tra cui 14 bambini e una donna incinta. Anche i testimoni raccontano di un attacco armato intenzionale. Alcune vittime sono state persino bruciate vive e i loro corpi risultano irriconoscibili. Il Movimento per la rinascita del Camerun (MRC) – uno dei due principali partiti dell’opposizione – attribuisce al regime la responsabilità di questi crimini“. Intanto, è stato posticipato l’inizio del processo, previsto per lunedì, a carico di sette soldati accusati di aver ammazzato, nel 2015, due donne e i loro bambini. Gli omicidi erano stati all’inizio bollati dal Governo come “fake news”.

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