L’hotspot di Samos è al collasso. Lo ha denunciato di recente Medici Senza Frontiere. Lo “urlano” da tempo, soprattutto attraverso i propri canali social ma senza riscuotere interesse e curiosità da parte dell’opinione pubblica, le molte ONG presenti sull’isola impegnate quotidianamente a fornire servizi di base ai moltissimi rifugiati presenti sull’isola: donne, uomini, bambini di qualsiasi età, cercando così di colmare le lacune dell’hotspot gestito dalle autorità greche. Lo ha segnalato “The Guardian” pubblicando durante l’estate alcuni articoli in cui venivano descritte le terribili condizioni nelle quali si trovano le isole greche di Samos, Lesvos, Chios, principali punti di approdo via mare di numerose persone.
L’hotspot, gestito dalle autorità greche e al cui interno non possono operare le ONG presenti, è stato progettato per ospitare 648 richiedenti asilo. Al momento però sono presenti sull’isola, secondo i dati provenienti dal Governo stesso, 6.075 rifugiati, di cui 5.825 accolti presso l’hotspot o nell’area limitrofa definita “The Jungle” (La Giungla). I dati balzano subito all’occhio e la proporzione è davvero disumana. La domanda è spontanea: come fanno 5.825 persone a vivere in uno spazio pensato per accoglierne al massimo 648? Vi immaginate di sopravvivere in un luogo simile?
I dati forniti da UNHCR e ABR (Agean Boat Report) sono ancora più inquietanti. Secondo i loro rapporti sono rispettivamente 5.900 e 6.080 i rifugiati presenti a Samos e intrappolati in questo limbo, che ha tutte le caratteristiche per essere definita “prigione a cielo aperto”. Statistiche e numeri difficili da rilevare con precisione ma che denunciano una situazione intollerabile e immobile da diversi anni.
Alcune testimonianze dirette:
Vivo in una piccola tenda, la mattina gli ufficiali del campo vengono e mi chiedono di abbandonarla, ma non capisco il perché … I bagni sono terribili, l’odore è cattivo e spesso non c’è acqua. Per ogni area del campo ci sono 300 rifugiati con a disposizione solo 3 docce e 3 bagni. Ci sono sempre scontri e forti litigi tra rifugiati a causa del grande stress generato da questa brutta situazione. La “linea” per la distribuzione del cibo è terribile. Quando sei affamato e hai intenzione di accedervi sei consapevole che dovrai combattere anche lì. In questo campo c’è solo un medico per 5.000 persone. Viviamo nella giungla, quindi è normale vedere entrare nella tua tenda animali come topi, insetti, serpenti…
Se desideri ricevere cibo o acqua, devi aspettare due o tre ore nella linea … oppure a volte, non riceviamo nulla. D’estate fa molto caldo e molto freddo d’inverno. Se sei single devi aspettare un anno per ricevere una risposta in merito alla tua situazione. Le famiglie con bambini vivono molto male. Ogni mese le autorità del campo trasferiscono alcune persone ad Atene, ma contemporaneamente ne arrivano altre. All’interno di un container di solito sono ospitate due famiglie mentre gli uomini soli rimangono nelle tende. I minori alloggiano in un’altra area del campo, vivono in container che ospita circa dieci bambini e ragazzi.
Limitrofo al campo, adiacente alle barriere metalliche che lo delimitano, si trova “The Jungle”, una vasta area in cui “hanno trovato accoglienza” tutti quelli che non hanno beneficiato di una collocazione all’interno dell’hotspot. Qui cercano di sopravvivere con tende improvvisate, spesso grandi teli, senza acqua, luce, servizi igienici, bidoni per la raccolta della spazzatura… In questa vasta superficie dove “vivono” bambini, donne, uomini e anziani si aggirano topi, serpenti e insetti di ogni tipo.
“Qui soffro davvero. Soffro e sono qui da sette mesi… Dormo, mangio e faccio qualsiasi cosa nella foresta. Per andartene da Samos ti devi ammalare. Se non sei davvero ammalato non puoi partire da qui. Che tipo di politica è questa?”
Le condizioni per chi è ospitato all’interno dell’hotspot non sono di certo migliori: sovraffollamento e precarie situazioni igienico-sanitarie, un solo medico a disposizione per l’intera struttura, insufficienti servizi igienici chimici, docce sempre sporche e maleodoranti… Situazioni disumane che creano e alimentano vulnerabilità e fragilità fisiche e psicologiche, violenza interetnica e di genere.
L’hotspot di Samos è stato collocato a ridosso di Vathy, centro e porto principale della piccola isola di Samos e luogo di riferimento per la maggior parte dei servizi. La piccola cittadina di circa 6.000 abitanti vive principalmente di turismo. Negli ultimi anni il rapporto tra rifugiati e popolazione locale, proprio a causa delle condizioni dell’hotspot e del suo continuo sovraffollamento, si è decisamente incrinato.
Ai rifugiati non è permesso l’ingresso ad alcuni locali, in certe occasioni è stato loro negato l’accesso ad alcune spiagge libere, quasi tutti i bambini non possono usufruire dell’istruzione obbligatoria e neanche degli asili. È giusto sottolineare però, a discapito di tale situazione, la presenza di alcune persone del posto, oggi in netta minoranza, che collaborano con le varie ONG e associazioni presenti sull’isola mettendo a disposizione tempo ed energie.
Aegean Boat Report, ONG norvegese, dal dicembre 2017 è impegnata nella raccolta di dati relativi agli arrivi e spostamenti dei rifugiati sulle isole greche. I numeri relativi al 2019 in merito alla drammatica situazione di Samos, fotografano uno scenario completamente al collasso. Sembra inutile continuare a parlare di emergenza quando il perpetrare di tali condizioni si rinnova, ormai da anni, ogni mese.
Ancora più agghiaccianti sono i dati raccolti da UNHCR relativi alla prima settimana di ottobre, più precisamente da lunedì 30 settembre a domenica 6. Il report denuncia l’arrivo di 234 persone, 711 la settimana precedente e la presenza di 5.900 rifugiati residenti sull’isola; 5.546 dei quali, il 93%, sono accolti presso l’hotspot; 232, il 4%, vengono ospitati in alloggi UNHCR e 172, il 3%, in altre sistemazioni.
Allarmanti sono i dati riguardanti i minori presenti per circa il 29% della popolazione accolta. Sette bambini su 10 hanno meno di 12 anni, il 19% dei minori viene definito “separato” in quanto viaggia in compagnia di un parente non stretto ma senza la presenza dei genitori.
Le autorità greche, in risposta a questa drammatica situazione, invece di cercare di migliore le condizioni all’interno dell’hotspot, hanno incrementato gli spostamenti sulla terraferma, trasferendo le problematiche in campi sovraffollati nella Grecia continentale. Il tutto viene fatto velocemente e senza preavviso, con la sospensione delle pratiche di asilo per chi rifiuta di accettare nuova destinazione e spostamento.
La politica dei trasferimenti sulla terraferma non ha però conseguito i risultati attesi e il sovraffollamento sulle isole greche è rimasto costante e inevitabile. Secondo i dati dell’ultimo report UNHCR, relativo alla settimana 30-06 ottobre, sono 164 i richiedenti asilo spostati da Samos sulla terraferma a fronte delle 234 persone arrivate.
Questa è l’accoglienza offerta dall’Europa a circa 5.900 rifugiati presenti a Samos. La stessa Europa che noi conosciamo soprattutto per le sue numerose possibilità: capace di farci viaggiare liberamente, di promuovere borse di studio, di sviluppare differenti opportunità di lavoro. Tutti benefici che col tempo abbiamo imparato a dare per scontato. Un’Europa che ha abbattuto barriere e dogane e che per decenni si è distinta nella tutela dei diritti umani. Una fotografia che ai giorni nostri sembra essere ormai sbiadita, lontana e differente.
Quella che abbiamo di fronte è un’immagine di un’Europa nuova, frammentata, miope e sorda. Incapace di assumersi le responsabilità di ciò che succede sulla soglia di casa, incapace di offrire un’accoglienza dignitosa, incapace di costruire una collaborazione fra i singoli Stati che la compongono, incapace di promuovere integrazione. Si innalzano così muri, ci si arrocca sulle proprie posizioni, si finanziano interventi senza capire dove finiscono i contributi elargiti, ma soprattutto vengono calpestati dignità e diritti umani.
Un’Europa che ha lasciato soli Grecia e Italia, principali Paesi di accoglienza. Un’Europa che nelle ultime settimane si è riunita a Malta, escludendo però la presenza della Grecia, con l’intenzione di trovare un ennesimo accordo comunitario, in grado di prevedere la collaborazione di tutti i Paesi membri.
Un’Europa incapace di tutelare il popolo greco, dando l’impressione di cedere costantemente ai ricatti economici della Turchia di Erdoğan, in merito all’apertura di nuovi flussi migratori. Un’Europa che si è dimostrata in grado di calpestare la dignità delle popolazioni accolte offrendo loro strutture sovraffollate e inadeguate. Un’Europa che non riesce a percepire il rischio di queste politiche di accoglienza scellerate e disumane.
Il Governo greco, come riportato da “The Guardian“, all’indomani del terribile incendio nel campo profughi Moria, di Lesbo, in cui sono morte una donna e un bambino, ha dichiarato che verranno intensificati gli spostamenti sulla terraferma, creati centri di detenzione chiusi per coloro che sono arrivati illegalmente, senza diritto di asilo, e infine saranno intensificati i rimpatri in Turchia.
La sensazione è che la “problematica” venga solamente spostata. Secondo i dati ufficiali delle autorità greche sono 31.693 i migranti presenti sulle isole greche, 28.074 dei quali sono accolti presso le strutture di Lesvos, Chios, Samos, Leros e Kos, le cui ufficiali capacità colmano soltanto 6.178 posti.
La conseguenza di queste politiche scellerate è la nascita di movimenti e posizioni sempre più estremiste, si alimenta il “noi contro di voi”, all’interno di un’Europa frammentata, che invece di unire separa, dando vita ad una escalation molto pericolosa e violenta.