La Nigeria continua a vivere una drammatica situazione a causa di instabilità, violenza, fragilità economica. La crisi dei rifugiati ha iniziato il suo quinto anno, accrescendo i numeri di una vera tragedia umanitaria. Secondo i dati Unhcr, 1.700.000 Nigeriani risultano sfollati all’interno del Paese. Più di 203.000 persone sono rifugiate e circa 482.000 sono sfollati in Camerun, Ciad e Niger.
Lo Stato africano si trova coinvolto in una endemica spirale di scontri fra comunità, terrore che affonda le radici in storie di soprusi, ingiustizie, povertà, iniqua distribuzione delle risorse.
Terrore e instabilità, innanzitutto, attanagliano ancora alcune zone del Paese a causa delle attività terroristiche di Boko Haram. Il gruppo di militanti islamici, nonostante sia stato in gran parte respinto dalle forze di sicurezza della Nigeria, continua a diffondere terrore con esplosioni suicide e azioni di violenza. Il Borno e alcune parti degli stati di Yobe e Adamawa, le zone epicentro della conquista di Boko Haram, restano ad alto rischio. Il gruppo esercita potere e pressione attraverso attentati suicidi nei mercati, nelle università e nei campi profughi, imboscate e saccheggi nei villaggi. Attentati e scontri non cessano, lo dimostrano gli eventi degli ultimi mesi. Circa 31 persone sono morte a causa di bombe a Damboa e altre 27 sono rimaste uccise dopo una violenta esplosione nei pressi della moschea di Mubi nei mesi di maggio e giugno scorsi.
Almeno 300 sono le vittime civili negli attacchi del gruppo nel 2017 e nell’arco degli otto anni sono stati circa 20.000 i Nigeriani deceduti nella guerra tra lo Stato e Boko Haram. Un periodo lungo e tragico per la nazione africana, che ha visto ripetersi in questa parte nord-orientale abusi su donne e bambini – spesso utilizzati dai militanti islamici come kamikaze – e rapimenti. 5,2 milioni di persone nel Nord-Est hanno bisogno di assistenza alimentare, di queste circa 450.000 sono bambini sotto i cinque anni. Considerando un periodo di esempio, solo nel luglio 2017 240 bambini sono morti per denutrizione nello Stato del Borno.
La guerra contro Boko Haram sta lasciando segni profondi in Nigeria e nei Paesi limitrofi. Il bacino del lago Ciad è al collasso. Qui i rifugiati in fuga dai militanti islamici vivono in condizioni di povertà e di insufficienza alimentare. Da quando è iniziata la guerra al terrorismo, è proprio in questi territori che si sono intensificate le operazioni belliche contro il gruppo islamico, ad opera non solo delle forze armate di stato nigeriane.
La Civilian Join Task Force, CJTF, è nata in Nigeria e in alcuni Stati confinanti per intensificare la lotta contro Boko Haram. Questi vigilantes civili armati e tutt’oggi operanti sul territorio spesso agiscono incontrollati e, con l’obiettivo di difendere la propria comunità da violenze e soprusi, spesso abusano del potere. Non mancano le accuse di violenze e illegalità contro di loro, che si aggiungono ai crimini commessi contro i civili da militanti di Boko Haram, militari nigeriani, officiali governativi, tutti vittime e carnefici di questa tragedia.
Le detenzioni illegali, per esempio, sono un fenomeno diffuso. I militari hanno arbitrariamente arrestato e detenuto migliaia di giovani uomini, donne e, pare, persino bambini nei centri di detenzione in tutto il Paese. Ai detenuti è stato negato l’accesso ad avvocati e familiari. I militari hanno arrestato illegalmente anche centinaia di donne, senza accusa, alcune perché si credeva fossero imparentate con i membri di Boko Haram.
Le violazioni dei diritti umani in questo ambito hanno spinto alcune donne di Bama, nel Borno, a dar vita al Knifar Movement, movimento nato per la liberazione dei loro mariti, detenuti dai militari per presunta appartenenza a Boko Haram – accusa che le donne negano.
Proprio nei giorni scorsi sono stati arrestati 28 membri del gruppo militante da parte delle forze speciali messe in campo dallo Stato africano. Alcuni hanno confessato di aver partecipato al rapimento di oltre 200 giovani studenti nel Borno nel 2014. Inoltre, tutti hanno dichiarato la colpevolezza di crimini gravi, quali invasioni e attacchi in città e villaggi.
L’emergenza umanitaria causata dalla guerra contro il gruppo islamico ha accelerato un’altra grave crisi. La tensione tra contadini e pastori semi-nomadi nella parte centrale del Paese – Middle Belt e, soprattutto, Stato di Plateau – ha provocato già migliaia di morti.
L’ultimo episodio di violenza risale al 24 giugno scorso, quando 86 persone sono rimaste uccise in diversi villaggi della regione Plateau con l’accendersi di tensioni tra agricoltori e pastori. La lotta per la terra, vitale per entrambi i gruppi sociali, è frutto di una situazione complessa.
Lo spostamento dei pastori verso i territori del Sud, infatti, è solo in parte innescato dalla necessità di scappare dalle terre colpite dalla violenza di Boko Haram, nel Nord-Est del Paese. Alla base di questo scontro dalle sfumature etnico-religiose – i pastori sono soprattutto musulmani Fulani e gli agricoltori cristiani – ci sono diverse ragioni.
Innanzitutto, la siccità e la desertificazione hanno degradato i pascoli, prosciugato molte sorgenti d’acqua naturali e costretto un gran numero di pastori a migrare verso Sud alla ricerca di terra e risorse idriche per le loro mandrie. Inoltre, la crescita della popolazione, l’espansione delle infrastrutture pubbliche e l’acquisizione di terreni da parte di grandi agricoltori e altri interessi commerciali privati hanno ridotto le riserve di pascolo. In un Paese in rapida crescita com’è la Nigeria, terza dopo India e Cina per numero di neonati nel 2018 e con una popolazione che attualmente conta circa 190 milioni di persone, la distribuzione delle risorse rappresenta un problema da affrontare con politiche mirate.
La guerra per le terre tra agricoltori e mandriani dimostra la mancanza di piani strategici per la crescita economica del Paese e per la sicurezza. Il clima di conflitto, quindi, si acuisce, alimentato anche dalla rigida divisione etnica e religiosa di questa parte di Nigeria. La maggioranza delle comunità cristiane del Sud risentono dell’afflusso di pastori prevalentemente musulmani, considerato come una “forza di islamizzazione”. Le azioni violente, dunque, si intensificano. I pastori spesso sono armati ed episodi di furti di bestiame, scontri, intimidazione tra mandriani e agricoltori sono piuttosto diffusi.
Lo scontro religioso, in Nigeria, ha assunto già da anni dei toni drammatici proprio contro le comunità cristiane. Attentati in Chiese e in villaggi popolati da persone di questa religione, infatti, si sono intensificati e hanno portato a dichiarare una “guerra religiosa contro la cristianità“. Gli appelli dei vescovi sono accorati quanto inascoltati.
L’instabilità domina un po’ tutto il Paese, con tensioni che continuano anche tra le milizie statali e i separatisti del Biafra IPOB. Nel corso dell’anno 2017 ci sono stati scontri e uccisioni tra soldati e militanti, che restano in uno stato di agitazione.
Malcontento e frustrazione dominano anche la regione del Delta del Niger, dove il Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni reclama giustizia contro le azioni illecite e l’inquinamento causato da compagnie petrolifere straniere. I piani di recupero ambientale, infatti, non sarebbero rispettati.
In questo quadro così complesso e fragile, la povertà dilaga. La Nigeria detiene il triste primato per la popolazione povera in Africa. Sono quasi 87 milioni, infatti, le persone che vivono in condizioni di estremo bisogno nel Paese. Un dato che può essere affiancato a quello dei migranti presenti in Europa.
Tra il 2010 e il 2017 sono 390.000 i Nigeriani sul territorio europeo. La più numerosa tra le comunità africane. Scappare da condizioni economiche e di povertà così difficili e cercare opportunità di lavoro all’estero sono tra le motivazioni che spingono i Nigeriani a lasciare il loro Paese.
La grande nazione africana occidentale presenta, quindi, diverse problematiche e situazioni contraddittorie. Le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale, infatti, rivelano una buona prospettiva di crescita per il Paese, con la previsione di aumento del PIL del 2,3%. Un buon traino per l’intera regione sub-sahariana. Gli esperti sottolineano che il Paese si sta riprendendo da una terribile contrazione causata soprattutto dal calo dei prezzi del petrolio e dalla scarsità di valuta estera per importare materie prime.
Nonostante tutto, le disuguaglianze restano. Le sfide per le prossime elezioni nel Paese, previste per il 2019, sono, quindi, ancora molte. Il presidente in carica Buhari – che ha annunciato di ricandidarsi – non ha del tutto convinto soprattutto sul tema della lotta alla corruzione e sulla risoluzione della tensione tra cristiani e musulmani, agricoltori e pastori.
L’opposizione al presidente si sta organizzando. A febbraio 2019 la popolazione potrà scegliere come e con chi affrontare le complesse vicende irrisolte.