[Traduzione a cura di Anna Corsanello dall’articolo originale di pubblicato su The Conversation]
Il Venezuela sorge sulle più grandi riserve di petrolio al mondo, ma in termini di crescita del PIL pro capite è attualmente l’economia più povera del Sud America. È sprofondato nella peggiore crisi economica della sua Storia con un tasso di inflazione del 500%, un tasso di cambio volatile e debiti paralizzanti che dal 2006 sono quintuplicati.
La crisi sta acutizzando “una guerra economica” di vecchia data tra il Governo e il settore delle imprese, e un ciclo pericoloso di proteste e repressione radicalizza ancora di più la già divisa società venezuelana.
In questo scenario, la violenza di ogni genere sta raggiungendo quello che potrebbe essere un punto di non ritorno. È in gioco la stessa capacità della democrazia di unire le forze di cambiamento e di resistenza.
La crisi venezuelana occupa uno spazio di primo piano anche tra le organizzazioni regionali. L’Unione delle nazioni sudamericane e l’Organizzazione degli Stati americani sono notevolmente preoccupate per la debolezza delle istituzioni democratiche del Venezuela, per la sua cultura dell’impunità e per la criminalizzazione del dissenso. Tuttavia, si sta trascurando una delle maggiori tragedie della crisi: il crollo del sistema sanitario e di assistenza sociale venezuelano, che non molto tempo fa erano invece un faro di speranza. Questo fallimento è molto pericoloso e interessa in modo particolarmente negativo le donne.
La promessa del Venezuela
Per più di un decennio, il Venezuela è stato un punto chiave nella promessa continentale di un’alternativa più diretta e inclusiva rispetto alle diffuse strategie di sviluppo e democrazia. Alla fine degli anni Novanta, i Governi del Sud America hanno cominciato a imbarcarsi in vari esperimenti “post -neoliberali” e per più di un decennio, quegli esperimenti sembrava funzionassero.
Tra il 2000 e il 2014, la regione ha quasi dimezzato la percentuale di popolazione che viveva in povertà e il 40% più povero della popolazione ha visto i propri redditi aumentare marcatamente. Le riforme sociali, politiche ed economiche attuate fra il 1998 e il 2012 hanno aiutato a ridurre la povertà di uno straordinario 50% e la povertà estrema del 65%.
Il Venezuela è diventato anche un precursore nella regione per quanto riguarda salute e benessere, ampliando notevolmente il numero di medici per l’assistenza primaria nel settore pubblico e offrendo a milioni di cittadini poveri l’accesso all’assistenza sanitaria migliore di sempre.
Con il programma principale chiamato Oil for Doctors [Petrolio in cambio di medici, NdT]), sono state sovvenzionate le esportazioni di petrolio verso Cuba in cambio di medicinali cubani e di programmi di formazione dei medici. Il programma Barrio Adentro è stato aperto per fornire cure mediche di base gratuite; Mission Miracle fornisce invece cure gratuite per gli occhi alla gente della regione, mentre altre iniziative affrontano i bisogni della popolazione con disabilità nel Sud e Centro America.
Tuttavia, questi straordinari progetti dipendevano interamente dai ricavi della manna del petrolio e dalle riserve accumulate. Non appena il Paese è stato colpito da una regressione dell’industria petrolifera internazionale, il risultato è stato una sequenza di carestie, epidemie e una diffusa privazione sociale – e una conseguente impennata della crisi sociopolitica.
Oggi, migliaia di pazienti non possono ricevere trattamenti medici essenziali – e altre migliaia sono in lista d’attesa per sottoporsi a interventi chirurgici vitali poiché i medici non dispongono dei mezzi necessari. Inoltre, malattie quali la malaria e la difterite – precedentemente eliminate o controllate – sono ora in aumento, con risultati disastrosi.
Queste svariate crisi hanno implicazioni per tutti i Venezuelani, ma per le donne in particolare. I loro diritti e le loro scelte sono influenzati in maniera distintiva, soprattutto quando si parla di diritti riproduttivi, salute sessuale e violenza di genere.
Diritti e dignità delle donne
Anche prima del crollo economico, il Paese aveva uno dei più alti indici di gravidanze adolescenziali nel mondo. Per affrontare il problema, il Governo socialista ha emesso sussidi per la contraccezione, ma la Federazione Farmaceutica Venezuelana stima che dal 2005 le forniture anticoncezionali sono scese del 90%. Questa situazione sta alimentando l’incremento di malattie sessualmente trasmissibili, soprattutto l’HIV, e sempre più donne fanno ricorso a pratiche illegali di aborto e persino di sterilizzazione.
Secondo Amnesty International, tra il 2015 e il 2016 la mortalità materna è aumentata del 65%, spazzando via i recenti miglioramenti e ritornando alla situazione che prevaleva 25 anni fa. Tra le cause principali ritroviamo la mancanza di medicine e di attrezzature mediche di base e il numero di medici in continua diminuzione, molti dei quali stanno emigrando o sono semplicemente incapaci di lavorare senza strumenti o stipendio.
Le donne si ritrovano in situazioni disperate e chi ha il timore di morire di parto fugge per partorire nel vicino Brasile o in Colombia. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il numero complessivo di arrivi negli Stati confinanti è aumentato costantemente fino ai 5.000 al giorno a far data dall’inizio del 2018. Più di 56.000 Venezuelani hanno attraversato i confini solo a gennaio – il 40% erano donne.
Finora, i vicini sudamericani del Venezuela e le organizzazioni multinazionali regionali hanno risposto alla crisi principalmente come ad un problema economico e fondamentalmente costituzionale, preoccupati a ragione dal crescente autoritarismo di Maduro. Si sono concentrati sull’isolare il Governo, condannando le ridicole elezioni venezuelane, richiamando gli ambasciatori e perfino passando a sospendere il Paese da organizzazioni come l’Organizzazione degli Stati americani. Si tratta, tuttavia, di una catastrofe umanitaria, non solo democratica. È tempo per altri Paesi di farsi avanti e affrontare gli effetti disastrosi della crisi sulle donne, sui loro diritti e sulla loro dignità.