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Caucaso russo, le strade della pace attraverso valli e montagne

[L’articolo è a firma di Giuseppe Caridi, viaggiatore e fotografo di lungo corso, da poco rientrato dal Caucaso russo e recente vincitore al Premio Letterario Nazionale “Patrizia Brunetti” con il suo racconto “Afghanistan”, in corso di pubblicazione.]

Vladimir Putin ha fondato sulla pacificazione del Caucaso – e su una gestione strategica delle immense risorse del Paese – il proprio successo come presidente. È questo il titolo di credito più rassicurante nell’economia di una regione che dopo decenni di guerre e di innumerevoli crimini perpetrati contro i diritti umani, mai come ora necessita di stabilità.

Per sé stessa ovviamente; per la Russia, necessariamente, e per l’Europa intera in quanto elemento di discontinuità nei confronti di una ormai estesa diffusione di un estremismo che dietro al velo di comodo dell’Islam potrebbe dilagare fino all’area del Mediterraneo, pregiudicando ulteriormente un contesto già ampiamente problematico.

Sukhumi, rovine del palazzo presidenziale. L’Abkhazia ha scommesso sulla dipendenza politica ed economica da Mosca pagando la propria scelta di separarsi dalla Georgia con una guerra civile sanguinosissima, una corrente situazione economica assai precaria e il mancato riconoscimento internazionale. Come il resto del Caucaso tuttavia il territorio controllato da questa repubblica è completamente sicuro per i visitatori: solo i memoriali dei caduti durante la guerra (1991-1993), alcuni edifici in rovina e i racconti di donne e uomini di mezza età rievocano il doloroso passato. Sono infatti sempre più numerosi i turisti russi che scelgono le spiagge di Gagra e Pitsunda per il proprio soggiorno balneare, una soluzione più economica rispetto alla vicina Sochi, divenuta ormai la località più rinomata del Mar Nero.
Le vette gemelle del Monte Elbrus ( 5642 m vetta occidentale, 5621 m vetta orientale). Il Monte Elbrus costituisce il punto più alto del territorio russo. La stazione turistica di Dombay, situata nella vicina Repubblica della Karacaj-Circassia, costituisce il complemento geografico di un’area che ha dovuto pagare un tributo gravoso alle tragiche vicende geo-politiche che hanno attanagliato la regione in seguito al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 e alla crisi con la Georgia verificatasi nel 2008. Oggi questi meravigliosi panorami sono a disposizione di tutti.
Ossezia del Nord, torri di avvistamento. Se davvero si volesse individuare un simbolo che identifichi le montagne del Caucaso bisognerebbe senza dubbio riconoscerlo nelle torri di guardia. Edificate allo scopo di vigilare sui commerci di uno dei numerosi rami dell’antica Via della seta, poi rese inutili dalle nuove rotte marittime, sono state reinventate dagli abitanti locali come abitazioni e depositi o anche rifugi per le greggi. Ancora ai giorni nostri è un punto d’onore per gli abitanti della regione poter vantare la proprietà di un appezzamento su cui troneggi uno di questi colossi di pietra, strutture architettoniche ormai puramente scenografiche ma che per i residenti locali costituiscono un legame indissolubile con il proprio clan, il fattore che più di ogni altro contraddistingue le varie etnie del Caucaso.
Le numerose etnie delle repubbliche caucasiche sono la testimonianza indiscutibile di una storia turbolenta: le loro lingue narrano di campagne militari intraprese da Persiani, Parti, Romani, Turchi e Mongoli, dei reami cristiani di Armenia e Georgia ( la comunità armena rivendica con orgoglio di essere stata la prima ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato, anno 301), della dominazione ottomana e dei Romanov che nel XVIII secolo sottomisero al termine di anni di sanguinose battaglie l’intera regione. Infine arrivarono i sovietici. Oggi individui fieri, indomiti e tenacemente leali, forgiati da secoli di lotte per difendere il territorio e da condizioni di vita difficili accolgono gli stranieri all’insegna di un’ospitalità leggendaria.
I numerosi villaggi arroccati sulle alture che tratteggiano queste catene montuose sono denominati “aul”; è in questi avamposti sperduti che trovavano rifugio i guerriglieri capeggiati dalla controversa figura di Shamil Basaev, il leader dei ribelli che non hanno mai accettato l’influenza russa nella regione né gli accordi tra Mosca e i Governi di Dudaev e Mashkadov. Come sempre accade in una situazione di conflitto armato è la popolazione civile che paga il tributo più alto alle operazioni belliche. La popolazione degli aul è stata testimone di violenze, aggressioni, stupri, sequestri, arruolamenti coatti e razzie di ogni genere. 
A Grozny solo un moderno memoriale rievoca il triste passato: grattacieli scintillanti e una moschea che è l’esatta copia della Moschea Blu di Istanbul si stagliano al termine di Prospekt Kadyrova, forse l’unico viale della Russia dove il nome di Lenin è stato sostituito da quello di un leader locale. Laddove svettavano le spettrali rovine del palazzo presidenziale (simbolo della resistenza cecena e per questo disintegrato con le granate dai russi) è in corso di costruzione la Chechen National Tower che dovrebbe raggiungere i trecento metri di altezza. I guerriglieri di un tempo hanno abbandonato i loro rifugi sulle montagne e si aggirano nella capitale in veste di guardie private di Ramzan Kadyrov – il loro è un incarico ufficiale, tanto che vengono denominati kadyrovcy.
La città di Derbent sorge sulle rive del Mar Caspio a pochi chilometri dal confine azero. Un pluralismo paesaggistico ed architettonico caratterizza l’agglomerato, poiché le spiagge poco attraenti si accartocciano dopo pochi chilometri innalzandosi nei contrafforti del Caucaso, mentre un anonimo abitato moderno si stempera improvvisamente in un centro storico dove i racconti de “Le mille e una notte” prendono magicamente vita. Un’antica cittadella inserita nei siti UNESCO, la moschea più antica di Russia, stradine tortuose e dimore fatiscenti seducono il viaggiatore che abbia voluto tenacemente recarsi sin qui. Un’accoglienza calorosa( che si tratti di una tazza di tè o di un pranzo completo) è la prova inconfutabile che nel Caucaso è finalmente tornata la pace.
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