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Rotte del terrore, nuovi campi di tortura a scopo di estorsione

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Lucia Heisterkamp pubblicato su openDemocracy]

Penisola del Sinai. File dell’autore יגאל פארי. Wikimedia Commons.

Nel periodo tra il 2009 e il 2014, nella penisola del Sinai, al confine tra Egitto e Israele, si verifica un nuovo fenomeno: i migranti, principalmente di origine eritrea, vengono rapiti e portati nei cosiddetti “campi di tortura” a scopo di estorsione, dove vengono sottoposti ad abusi terribili compresi lo stupro, la bruciatura o l’impiccagione; durante le torture i parenti vengono usualmente chiamati al telefono per assistere “in diretta” agli eventi in modo da esercitare pressione su di loro per ottenere il pagamento del riscatto.

Per i responsabili di tali crimini – una rete formata da beduini del Sinai e gruppi organizzati transnazionali che operavano tra l’Eritrea, il Sudan e l’Egitto – queste pratiche si sono rilevate molto redditizie, dato che i riscatti arrivavano fino a 50.000 dollari per ostaggio. Gli obiettivi erano le famiglie nell’Africa orientale e le comunità di migranti in diverse parte del mondo, e molte di queste persone hanno dovuto vendere le proprietà o attivare reti in diaspora per raccogliere le cifre necessarie a garantire il rilascio degli ostaggi.

Particolarmente sconcertante è il fatto che, nonostante l’entità delle violenze subite dai migranti, ben poco è stato fatto per proteggerli, se si pensa che tra il 2009 e il 2014 circa 25.000 / 30.000 persone sono state torturate nei campi, e che almeno un terzo di esse vi ha perso la vita. Le autorità egiziane non hanno tuttavia fatto nulla di concreto per perseguire i responsabili o per liberare gli ostaggi. Al contrario, come rivela un rapporto di Human Rights Watch del 2014, sono state in realtà le collaborazioni tra le autorità e i responsabili dei crimini a far sviluppare queste attività, in seguito bloccate nel 2014 solo come effetto collaterale di alcune operazioni militari contro reti terroristiche non legate alle estorsioni.

Queste atrocità hanno ricevuto poca attenzione anche a livello internazionale, diventando quella che per le Nazioni Unite è stata “una delle crisi umanitarie tra le meno segnalate al mondo”. Non si sono verificati tentativi seri da parte dei governi per fare pressioni all’Egitto nella persecuzione di questi reati, e le organizzazioni per i diritti umani hanno perlopiù trascurato questo problema. Purtroppo, una tale assenza di risposta è un aspetto comune nella condanna degli occidentali per la violenza contro i migranti dall’Africa nera: è una violenza tollerata, o ancor peggio, ignorata.

Crimini emulati e continuità delle violenze

Oggi i superstiti dei campi di tortura del Sinai, abbandonati in Egitto, non ricevano alcun aiuto dallo Stato, anzi sopravvivono in una sorta di limbo giuridico senza godere dei diritti fondamentali a causa della mancanza di uno status legale. Questo tipo di rapimenti si verificano anche in altre aree, comprese la Libia, il Sudan e lo Yemen. Come dimostrano alcuni rapporti delle ONG, la violenza sistematica contro i migranti allo scopo di estorsione è diventato un fenomeno molto diffuso, organizzato sia da gruppi criminali privati che da funzionari statali. Questo sfruttamento dei legami transnazionali e delle strutture solidali che aiutano i migranti transfrontalieri, riconfigurato attraverso i dispositivi mobili e la comunicazione online in un mondo globalmente connesso, rendono questo modello di traffico degli esseri umani un fenomeno contemporaneo nel quale la sofferenza e la compassione sono trattate alla stregua di merce, in quanto tale monetizzabili.

Tale “innovazione” è tuttavia possibile anche a causa delle strutture politiche che la consentono – zone di conflitto instabili prive di giurisdizione in merito, insieme a politiche anti-immigrazione e regimi di controllo dei confini che costringono i migranti ad attraversarle. Come hanno dimostrato molti ricercatori dello studio Beyond Trafficking and Slavery, sono le prassi statali per il controllo dell’immigrazione e l’illegalità che mettono i migranti in condizione di diventare soggetti ad abusi come questi.

Bisogna riconoscere che la mancanza di interesse internazionale sulle atrocità avvenute nella regione del Sinai e la violenza sancita dagli Stati in forma di politiche anti-immigrazione sono due facce della stessa medaglia: per combattere in modo efficace la violenza contro i migranti abbiamo soprattutto bisogno di vie legali e sicure per l’immigrazione. Fino a quanto gli Stati continueranno a chiudere i propri confini, sarà difficile fermare queste orrende forme di tortura perpetrate per ottenere un riscatto.

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