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Donne saudite contro il sistema di sorveglianza maschile

[Traduzione a cura di Alessandra Melluso, dall’articolo originale di Zuhour Mahmoud pubblicato su Global Voices]

Nell’ambito degli sforzi per porre fine alle leggi draconiane contro le donne nell’area del Golfo, le donne saudite hanno lanciato una campagna su Twitter per chiedere la fine del sistema di sorveglianza maschile su lavoro, diritto di proprietà e possibilità di viaggiare.

Moltissimi sostenitori da ogni parte del mondo hanno aderito a questa campagna, usando l’hashtag #TogetherToEndMaleGuardianship e la versione in arabo #سعوديات_نطالب_باسقاط_الولاية (che tradotto significa “le donne saudite chiedono la fine della tutela maschile”).

La campagna, promossa da Human Rights Watch, segue la pubblicazione del suo corposo rapporto intitolato: Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System, dove viene spiegato che:

In Arabia Saudita la vita di una donna viene controllata da un uomo dalla nascita fino alla morte. Ogni donna saudita deve avere un tutore di sesso maschile, di solito il padre o il marito, ma in alcuni casi anche il fratello o il figlio, il quale ha il potere di prendere ogni importante decisione per conto suo. Come affermano molte donne saudite, il sistema di tutela maschile è il più importante impedimento per i diritti delle donne in quel Paese e le trasforma alla stregua di minori legali, alle quali è negata qualsiasi decisione.

Il rapporto comprende tre brevi video, che illustrano gli effetti del sistema sulla vita delle donne e le dichiarazioni da parte degli attivisti per i loro diritti, nonché dei cittadini che considerano la legge socialmente ed economicamente opprimente.

A tal proposito, il 44enne attivista ed ex preside, Hayat, scrive:

Il sistema di tutela maschile incide anche sulla capacità delle donne di cercare lavoro in Arabia Saudita o di perseguire una carriera all’estero. In particolare, le donne non possono richiedere il passaporto né avere la possibilità di viaggiare e studiare all’estero con una borsa di studio rilasciata dal governo senza il consenso del tutore. Ufficialmente un parente maschio dovrebbe accompagnarle nel loro corso di studi, anche se ciò non sempre avviene. Questo può confondere le idee e il modo di guardare a sé stessi. Se l’uomo è il tuo tutore/guardiano, come puoi rispettare te stessa oppure come può rispettarti la famiglia?

Human Rights Watch descrive, inoltre, come le motivazioni religiose utilizzate per giustificare il sistema di tutela maschile siano soggette a frequenti critiche:

L’imposizione di tale sistema si fonda sull’interpretazione restrittiva di un ambiguo versetto coranico, interpretazione messa in dubbio da molte donne saudite, comprese docenti e femministe musulmane. Tra i critici vi sono anche studiosi di religione, tra cui un ex magistrato saudita il quale afferma che l’imposizione del sistema non è richiesta dalla Sharia, e l’ex capo della polizia religiosa, anch’egli stimato studioso, il quale ribadisce che il divieto di guida per le donne in Arabia Saudita non è imposto dalla legge islamica del 2013.

Questo spiega, tra molte altre ragioni, perchè il sistema di tutela viene messo in dubbio – su Twitter e altrove – dalle donne saudite e dai loro sostenitori. Secondo Vocative, al 4 agosto scorso erano stati pubblicati oltre 170.000 tweet in arabo e inglese.

Ghada Al Zahrani scrive:

Le donne saudite soffrono il peggior tipo di schiavitù

Il saudita Maram Mohammad Al Ajlan sottolinea che l’Arabia Saudita ha promesso la fine della tutela maschile in due occasioni, nel 2009 e nel 2013:

Stiamo ancora aspettando… L’Arabia Saudita ha promesso due volte (2009 e 2013) al Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani la fine del sistema di tutela maschile.

Ri condivide una foto dei suoi tag su un muro di Riyadh, dove si legge “chiediamo la fine della tutela maschile sulle donne saudite”.

Ho scritto su un muro di Riyadh, a nome mio e di ogni donna saudita che lotta.

Abdullah Moqhem Al Moqhem scrive ai suoi oltre 20.000 follower:

Con la richiesta di porre fine alla tutela maschile, le donne non intendono separarsi dai propri mariti, padri o fratelli. Ciò che chiedono è il diritto di scegliere il proprio destino.

Mohammad Ali Mahmoud scrive ai suoi 35.000 follower su Twitter:

Una donna che crede pienamente nella sua umanità esige la fine della tutela maschile, mentre colei che non vi crede accetta di lasciare tutto così com’è.

Hajar scrive che difenderà i diritti delle donne indipendentemente dalla loro nazionalità.

Starò dalla parte delle donne fino alla morte. Che siano saudite o afghane, non accetterò l’ingiustizia contro le donne.

La campagna ha attirato anche un notevole sostegno internazionale. Un blogger che scrive su “The Paludians” condivide su Twitter la propria solidarietà dall’Italia:

Il blogger indo-pachistano Dr. Ilmana Fasih, che scrive sul blog ‘Blind to Bounds’, aggiunge:

Certamente, non tutti sostengono la campagna. L’hastag #TogetherToEndMaleGuardianship ha ricevuto anche delle critiche, soprattutto da parte degli uomini sauditi ultraconservatori, che accusano la campagna delle donne di far parte del programma liberale per corrompere la società saudita:

Le notizie che circolano nei media e nei social da teenager manipolate non rappresentano l’Arabia Saudita e le sue donne.

Alcune posizioni non sorprendono, considerato che l’Arabia Saudita si è classificata al 134 esimo posto su 145 paesi in occasione del Global Gender Gap Report del 2015. Comunque le donne saudite continuano a lottare nella speranza di cambiare la propria condizione.

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