Un miliardo e 100 milioni di persone nel mondo non hanno nessun accesso ai servizi igienici e la fanno all’aperto. Due miliardi e 500 milioni – all’incirca il 37 per cento della popolazione mondiale – non ha invece adeguato accesso ai servizi igienici. Venti Paesi, perlopiù in Asia meridionale e nell’Africa Subsahariana, contano tra 80% e l’85% di “defecazione all’aperto” nel mondo. Vale a dire solo il 15% della popolazione mondiale fa uso di bagni.
Il dato è sconcertante e indica quanto ci sia ancora da fare per garantire dignità e diritti a tutte le latitudini. Sì perché, come ha ricordato tempo fa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite “usare la toilette” è un diritto fondamentale. Un diritto negato a milioni di persone e un disagio che è alla base di malattie ed epidemie. Oltre che privare l’essere umano della sua dignità. Questi milioni di persone non scelgono di “farla all’aperto”. Semplicemenete non hanno scelta.
Insomma, siamo alla presenza di una vera e propria crisi sanitaria mondiale, ma nessuno – come ricorda la stessa ONU – ne parla. Sicuramente c’è qualcosa di sbagliato se a fronte di tanti progetti nei Paesi in Via di Sviluppo, questo sia ancora un grave buco nero. E non basta certo sfoderare cifre come: 1 miliardo e 800 milioni di persone in più hanno ora accesso ai servizi rispetto al 1990. Qualcosa non funziona nei piani di sviluppo.
Ora l’ONU ha lanciato una Campagna per sollevare la questione e sensibilizzare sul tema. Che i cittadini comuni sappiano come vive l’80% (o più) della popolazione mondiale è sicuramente importante, ma per affrontare questa emergenza bisogna lavorare sodo e seriamente sul campo. Non è attraverso Internet e la “comunicazione partecipata” che si risolverà questo dramma.
Diarrea, colera, tifo, epatiti, malattie infestanti da vermi, ritardi nella crescita: sono solo alcune delle malattie provocate in conseguenza della defecazione all’aperto. Si calcola che 750.000 bambini al di sotto dei 5 anni muoiono ogni anno a causa della diarrea e che ogni anno i bambini abitanti in queste aree deprivate perdono – sempre a causa della diarrea – 272 milioni di giorni di scuola.
Sono bambini che, spesso, bevono insieme all’acqua dei ruscelli e delle fonti più vicine, anche le feci di chi vive nei dintorni. Ancora, è stato calcolato che quest’anno circa 44 milioni di donne incinta saranno infettate da vermi che vanno in circolo a causa di questa pratica. Senza contare il rischio di violenze sessuali per le donne in aree particolarmente a rischio.
Ovviamente tale problema ha dei costi, sia a livello dei Paesi coinvolti, sia per la comunità internazionale, che interviene spesso non alla radice del problema ma quando è in atto l’emergenza. La mancanza di accesso ai servizi sanitari costa ai Paesi più poveri (ma anche a chi ha programmi di cooperazione con quei Paesi) 260 miliardi all’anno. Viene naturale chiedersi quante toilette si potrebbero realizzare nei villaggi con quei soldi. Ovviamente va sottolineato che non sono solo i centri rurali a mancare di servizi igienici, ma anche le capitali sono spesso colpite da gravi epidemie che fanno migliaia di morti.
Nel 2013 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha lanciato il World Toilet Day (19 novembre). Chissà se ne verrà fuori – a parte la conoscenza e la sensibilizzazione – qualcosa di concreto. Il Report 2014 dell’Unicef e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – intanto – avverte: nel 2015 ancora 2 miliardi e 500 milioni di persone non avranno accesso ai servizi igienici e 547 milioni di persone sono rimaste fuori dagli Obiettivi del Millennio. E che, mentre 77 Paesi hanno raggiunto – o meglio sono stati aiutati – a raggiungere tali Obiettivi in termini di sanità, 79 ne sono rimasti fuori.