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Africa e omofobia, eredità dell’epoca coloniale

[Traduzione a cura di Benedetta Monti dall’articolo originale di Val Kalende pubblicato su ThinkAfricaPress]

In un momento in cui molte nazioni si stanno muovendo verso diritti umani inclusivi, l’Africa, al contrario, sta facendo passi indietro. In modo specifico, sulla questione dei diritti degli omosessuali e, triste a dirsi, questo è iniziato a partire dall’era del colonialismo, epoca in cui le leggi anti gay hanno le proprie radici.

La maggior parte degli africani non riconoscono l’omofobia come eredità del colonialismo, eppure si sa che prima di quel periodo molte culture tradizionali erano tolleranti verso la sessualità espressa con persone dello stesso genere. Per esempio, nella mia tribù, Ganda o Baganda (il gruppo etnico più numeroso dell’Uganda), alle donne del clan della famiglia reale sono riservati titoli maschili e può essere loro richiesto o meno di eseguire i doveri che ci si attende dalle donne. Allargando il quadro, dagli Azande del Congo ai Beti del Camerun, dai Pangwe del Gabon ai Narma della Namibia, esistono prove etnografiche di relazioni tra individui dello stesso sesso nell’Africa dell’era pre-coloniale.

Depredando l’Africa dei suoi valori basati sulla differenza, tuttavia, i colonizzatori hanno riscritto la sua storia e gli effetti stanno perseguitando queste nazioni ancora oggi. I capi tribali e i tribunali dei villaggi che rappresentavano tradizionalmente il modo e il luogo caratteristico per la risoluzione delle dispute, sono stati sostituiti con il sistema del Codice Penale europeo, che includeva la criminalizzazione dell’omosessualità. È importante anche sottolineare che le cosiddette leggi sulla sodomia non avrebbero avuto nessun impatto sulla politica sessuale africana senza l’influenza della Cristianità. Quest’ultima è stata utilizzata per definire primitiva la cultura africana e demonizzare le interpretazioni che gli africani attribuivano tradizionalmente all’intimità. La Bibbia è diventata il credo della moralità africana, alterandone la sessualità, a partire dalle “posizioni missionarie” della normalità eterosessuale (inculcando quindi l’idea che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale “naturale”).

La sessualità però non è stato l’unico aspetto che i colonizzatori hanno riscritto in Africa. Le colonie europee erano instaurate attraverso la conquista militare, portate avanti con le politiche della divisione, delle leggi e della religione. I colonizzatori compresero che per conquistare l’Africa dovevano mettere gli africani gli uni contro gli altri, in modo che si sarebbero incolpati per le divisioni, la maggior parte delle quali culminavano nell’ostilità etnica. Tra le altre cose, le politiche coloniali del divide et impera hanno aumentato le tensioni tra le etnie. Per esempio, dividendo il Ruanda tra “razze” e classi sociali, gli imperialisti tedeschi hanno messo i Tutsi contro gli Hutu, mentre in Sudan, gli imperialisti inglesi hanno diviso la religione musulmana del Nord da quella cristiana del Sud creando le divisioni che stanno alla base delle tensioni etniche odierne.

Antenati: decolonizzare la mente, foto su licenza CC dell'utente Flickr Climbing Kilimanjaro

Gli Evangelici americani

Nel mondo post-coloniale di oggi, non può essere minimizzata l’influenza sulle politiche sessuali dell’Africa dei conservatori evangelici americani. Hanno ripreso dal punto in cui avevano lasciato i loro predecessori coloniali e stanno fornendo propaganda, tramite il lavaggio del cervello basato sulla religione, per i gruppi africani anti-omosessualità. Il fine è quello di promulgare leggi più severe contro le comunità LGBT. Ecco perché, se si vogliono proteggere le comunità LGBT nei Paesi in cui questi esercitano la loro evangelizzazione, è importante sapere quanto fanno e dichiarano missionari americani come Scott Lively e Lou Engle.

Mentre gli africani accusano i Paesi occidentali di aver importato l’omosessualità, le comunità LGBT sono bersaglio della demonizzazione, trattate come persone deviate e criminali e i politici cercano la soluzione emanando nuove leggi. Quello che occorre invece è una discussione onesta sulla sessualità nel contesto africano prima, durante e dopo il periodo coloniale. Gli attivisti locali, la società civile, gli accademici e i media dovrebbero iniziare a dare forma a questo tipo di discussione.
È bene che gli africani recuperino il loro passato dimenticato, come popoli che tradizionalmente rifiutavano l’odio,  erano uniti e accettavano le proprie differenze. Sebbene il risentimento e le azioni degli attivisti LGBT africani verso le leggi anti gay sia necessario e richiesto questo, da solo,  potrebbe non risolvere l’omofobia in Africa. La resistenza alle risposte dell’Occidente alle leggi anti-gay emanate da alcuni Paesi africani – come i tagli agli aiuti – è spesso ispirata da una resistenza al neo-colonialismo. Tuttavia, non possiamo tornare indietro. Adesso più che mai l’Africa ha bisogno di una rivolta globale per i diritti degli LGBT.

Storie come quella di Binyavanga Wainaina, autore keniano e giornalista che di recente ha dichiarato la sua omosessualità, possono contribuire a una discussione significativa sulla sessualità nel contesto africano. Sebbene quella di Wainaina costituisca una scelta personale che non deve essere politicizzata, la sua storia potrebbe essere l’inizio di un lungo cammino verso l’accettazione delle persone LGBT nel continente.

 

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