[Nota della Redazione: Nuccia Decio ha deciso di rendere pubblica per Voci Globali una breve intervista (che in realtà nacque come un incontro tra amici) con un cugino di Salvador Allende. Non pubblichiamo però il cognome di Eduardo per rispettare una scelta fatta ormai circa 40 anni fa quando, dopo aver ricevuto lo status di rifugiato politico in Italia, ha deciso di mettere una cesura tra la sua nuova vita e quella del passato. Questo breve racconto – che solo a tratti fornisce elementi personali della tragedia – non aggiunge nulla alla storia conosciuta di quegli anni e in particolare agli eventi del Golpe che instaurò la dittatura di Pinochet, ma è molto efficace nella sintesi – politica, economica e sociale – di quel periodo. Oggi Eduardo si dedica ad attività che in qualche modo hanno a che fare con quella lontana esperienza. Lontana, ma sempre terribile e incancellabile]
Qualche anno fa – grazie alle amiche Clara e Michi Pestalozza, conosciute durante il mio soggiorno a Cuba – ho incontrato a Santiago del Cile Eduardo C. A. un cugino del presidente Salvador Allende.
L’appuntamento è in un caffè nei pressi de Plaza de Amas, dove mi attende un uomo alto, magro dai tratti induriti più che dal tempo dagli eventi subìti. Una stretta di mano, allenta la diffidenza mal mascherata. Iniziamo una conversazione che andrà ben oltre i pochi minuti concordati. Così, inizia il suo ricordo. Sono passati anni, ma restano ancora le cicatrici sul corpo e soprattutto nella mente.
Voglio parlarle subito di mia sorella Beatriz: della mia famiglia è quella ha subito le torture più efferate. Ora vive in Spagna, ha assunto una nuova identità, ma una parte della sua vita si è spenta e non si è più riaccesa. Quando riuscimmo a liberarla, era irriconoscibile, pesava poco più di trenta chili. Non volle mai raccontare quello che subì. La mia famiglia apparteneva alla borghesia di allora, ma le nostre idee erano progressiste. Iniziai ad affiancare mio cugino Salvador nel 1970 quando era al suo terzo tentativo di elezione a presidente e riuscì, con poco più di un terzo dei voti, ad essere eletto come leader della Unidad Popular.
La sua nomina fece sobbalzare la borghesia radicale e conservatrice, soprattutto quando iniziò a nazionalizzare le principali industrie private e a dar vita alla riforma agraria. Introdusse tasse per i ricchi e nazionalizzò le banche. Non può immaginare che cosa scatenò tutto questo. Introdusse anche il divorzio e sospese il finanziamento alle scuole private, sollevando l’indignazione della Chiesa cattolica, nonostante alcuni preti e qualche vescovo sostenessero l’Unidad Popular.
La situazione di povertà nella quale viveva la popolazione in quegli anni era tale da rasentare la sopravvivenza ma il Governo Allende avviò un programma che garantiva latte e pane ad ogni bambino. I salari aumentarono, così come le tutele per i meno abbienti e vennero edificate le prime case popolari per le persone indigenti. Questo significava dare dignità ad un Paese, una speranza al popolo, il suo popolo. Allende si dedicò all’istruzione favorendo la nascita di gruppi di volontari (non disponeva infatti di molti soldi) per insegnare a leggere e scrivere e fornire assistenza medica, soprattutto al Sud, dove la popolazione era stata fino a quel momento dimenticata. Insomma, Allende stava facendo quello che Che Guevara aveva fatto a Cuba. Ma se il popolo lo appoggiò con ampi consensi, la sua politica irritò la classe borghese, da troppo tempo abituata a vivere nei privilegi che ora vedeva vacillare.
Fu proprio la classe borghese a finanziare manifestazioni e a scatenare tensioni, per gettare infamia sull’operato del governo Allende. Negli anni fra il ’71 e il ’73 l’idea che Allende stava portando il Cile verso un dittatura simile a quella cubana si andava sempre più diffondendo, anche a seguito del ripristino delle relazioni diplomatiche con Cuba. Il presidente americano Richard Nixon avviò una sorta di embargo e supportò la destabilizzazione di Allende. Iniziarono da questo momento vari tentativi di colpi di Stato, con l’aiuto dei para militari Patria y Libertad che già prima dell’11 settembre del 1973 tentarono di impossessarsi del Palazzo della Moneda.
Seguirono crisi costituzionali il cui scopo era mettere in discussione la capacità di Allende di far applicare le leggi nel Paese. Nel maggio del 1973 l’opposizione portò la Corte Suprema alla condanna del presidente per abuso di potere, ma non è mai stato chiarito di quali abusi si trattasse. Questi erano segnali che giungevano dal Partito Cristiano Democratico Cileno. Avremmo dovuto presagire che ben presto sarebbero ricorsi alle forze armate.
Ricordo ancora il fermento quando nella notte del 9 agosto del 1973 il presidente Allende nominò il generale Carlo Prats ministro della Difesa, ma pochi giorni dopo, il 24 agosto il generale fu costretto a dimettersi. Lo stesso giorno il generale Augusto Pinochet venne eletto comandante in capo. A settembre si verificarono numerosi scioperi causati anche dall’alto tasso di inflazione e dalla mancanza di materie prime che causarono un dissesto economico gettando di fatto il Paese nel caos.
Non dimenticherò mai quell’11 settembre del 1973, quando i militari, assediarono e presero il Palazzo presidenziale. Allende decise di uccidersi piuttosto che arrendersi a Pinochet, c’è chi sostiene che sia stato ucciso dai golpisti. Non mi chieda il mio pensiero in merito. Dal quel giorno i miei ricordi sono legati a torture e morti. Pinochet ha sottoposto il Paese per ben 17 anni, alla più totale le privazione dei diritti umani. Orrori documentati. Alcune persone della mia famiglia si sono suicidate e nel Paese sono svanite nel nulla più di 3.000 oppositori e più di 30.000 persone sono state arrestate e torturate. Il nome di Pinochet resterà legato non al Cile ma ai Desaparecidos, ai voli della morte, a Villa Grimaldi.
Da anni Eduardo C. A. vive in Italia e si dedica ad attività culturali che ricordano tutti gli orrori delle dittature.