A pochi giorni dalla recente ammissione della Palestina come Stato osservatore all’ONU, raccogliamo una testimonianza diretta. Traduzione – e breve introduzione – a cura di Camilla Corradin, impegnata in Cisgiordania per un’ONG locale, del post di Majd Kayyal (giovane palestinese di Israele) pubblicato originariamente su Qadita.net, una comunità di blogger writing help manuals per lo più Israeliani palestinesi.
Introduzione (Camilla Corradin)
Il 29 novembre, Abu Mazen ha presentato una richiesta all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite affinché la Palestina ottenesse lo status di membro Osservatore. Con un risultato di 138 voti favorevoli, 9 voti contrari, e 41 astenuti, la Palestina è ora riconosciuta come entità statale dall’ONU nei confini del 1967, che includono Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est.
Ma mentre una nottata di celebrazioni si preparava tra i palestinesi dei Territori Occupati, trapelava la delusione dei più tra i palestinesi di Israele e i rifugiati palestinesi.
Riconoscere uno Stato di Palestina nei confini del 1967 per molti significa, infatti, abbandonare l’ipotesi di un solo Stato, in cui i palestinesi di Israele non sarebbero più cittadini di seconda classe, e a cui potrebbero ritornare i milioni di rifugiati palestinesi che vivono da decine di anni nei campi profughi in attesa del ritorno alle loro case. Ovvero, quello riconosciuto dall’Assemblea Generale è sì uno Stato Palestinese, ma solo alcuni palestinesi ne saranno cittadini.
Come se tutto fosse finito qui… (Majd Kayyal, trad. di C.Corradin)
Sembra che la questione si chiuda qui. Paragonabile a un ago che, infilato nel corpo, rilascia il suo contenuto, ed esce. E’ stato facile: hanno annunciato lo Stato. E’ stato semplice, e tutto è finito lì.
Abbiamo presentato una domanda affinché si realizzassero i nostri sogni, così, semplicemente. E’ stata presentata una domanda alle Nazioni Unite affinché i nostri sogni si realizzassero, e http://8cap.com.cn/o55-writing-essay-exam/ nella Palestina che è stata dichiarata “Stato”, la gente applaude di fronte a uno schermo gigante.
E’ bello vedere i palestinesi realizzare i loro sogni. Vorrei essere palestinese anch’io.
Sembra che tutto sia finito, e siamo noi stessi ad aver scritto la parola fine.
Il programma televisivo che trasmette dalla sala dell’Assemblea Generale si è interrotto, e non voglio sapere cosa succederà dopo l’interruzione. Non m’interessa che la televisione resti accesa, o spenta; perché preoccuparmi? Perché ascoltare le notizie? Tutto è finito, c’è uno Stato di Palestina. Il suo presidente, nelle vesti di “Presidente dello Stato di Palestina”, ha richiesto che venga riconosciuto lo Stato.
Così, in un mese di densa attività diplomatica, la Palestina è diventata Stato, e il mondo ha riconosciuto che è nostro diritto, applaudendo. Dimenticate il veto americano: non c’è veto negli applausi. Il mondo research papers on livestock ci ha riconosciuti applaudendo, e questo è ciò che importa: che il mondo sappia e riconosca che ora tutto è finito.
Sembra che tutto sia finito: questa bandiera brutta, schifosa, tinta di un colore scuro research paper internet addiction e pesante, si è aggiunta alle bandiere degli altri Stati – la bandiera di un paese che non è il mio. In passato vivevo per qualcosa, ed ecco che, sullo schermo, anche questo ha fine.
Il Presidente dello Stato ha appena scritto la nostra storia, rinunciando a ciò che si voleva da lui, e chiedendo invece ciò che egli stesso voleva. Io sono davanti allo schermo, a masticare tutto ciò che avevo. Tutto ciò che mi ha plasmato, in questa patria di sogni, mi è stato messo in quel posto. Sognate la Palestina? Mettetevi i vostri sogni in quel posto!
Tutti sono andati a New York con il Presidente, veramente tutti. E’ andato il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che ha illuminato i sogni dei giovani marxisti. E’ andato Hamas, che abbiamo continuato a sostenere per la sua resistenza. Tutti ci sono andati, e tutti sono andati fino alla fine.
Che senso ha commemorarvi ora, Martiri di Ottobre (*)? Ora potete morite, la missione si è conclusa.
Che senso ha, rifugiato del campo profughi di Ein al Helwa(**)? Tuo nonno se n’è andato ed è stato sepolto, tuo padre pure, eppure continuavano a vivere. Ma ora tutto è finito, trovati un posto nel tuo paese.
Vergogna a noi, noi che cercavamo il “pieno diritto”, Presidente. Vergogna a noi che distinguiamo ancora tra politica e business. Vergogna a noi che sappiamo ancora pensare e sognare allo stesso tempo. Vergogna a noi che chiediamo sempre: “Che cosa avrebbe detto a questo proposito Naji al Ali(***)?” Ma Naji al Ali è morto. E anche noi dobbiamo morire, perché tutto è finito.
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(*) Nell’ottobre 2000, durante gli scontri scaturiti dalle manifestazioni dei palestinesi cittadini di Israele in solidarietà con i palestinesi dei Territori Occupati caduti all’inizio della Seconda Intifada, dodici Palestinesi di Israele (tra cui un cugino dell’autore del post) furono uccisi dalla Polizia israeliana.
(** )Ein el Helwa è il più grande campo di rifugiati del Libano. Secondo alcuni, la dichiarazione dello Stato di Palestina è da considerare come la perdita di ogni speranza di ritorno per i rifugiati palestinesi.
(***) Naji al Ali è stato un disegnatore palestinese, che utilizzò le proprie creazioni come mezzo di lotta politica criticando aspramente Israele e i governi arabi. Autore del noto personaggio di Handala, simbolo della resistenza palestinese, Naji al Ali è stato assassinato nel 1987.