25 Aprile 2024

Ebola e tutto il resto, se la storia è scritta a tavolino

Una storia raccontata dai protagonisti, una storia raccontata da testimoni oculari è certamente diversa. Diversa da chi la racconta per sentito dire, inseguendo le voci su Internet o quelle ufficiali di Governi, Agenzie Onu e quant’altro. Giornalismo, dopotutto, è questo: raccontare quello che vedi, quello che accade, quello che puoi testimoniare con foto, dichiarazioni sul campo, osservazione. E questo non lo sappiamo solo nell’istruito e avanzato Occidente. Anzi, nel mondo giornalistico dell’istruito e avanzato Occidente da qualche anno – soprattutto in Italia – si tende a sfornare articoli infarciti di luoghi comuni, ripetizioni di cose già raccontate e, soprattutto, di situazioni e luoghi mai visti. Soprattutto quando si parla del continente africano.

Non è solo carenza di fondi da investire sugli inviati o su corrispondenti in loco. È anche mancanza di prospettiva e del senso di questa missione.

Dicevo: non lo sappiamo solo nell’istruito e avanzato Occidente che cos’è e come si fa giornalismo. Leggevo questa riflessione di un blogger, giornalista e fotografo ugandese che, tra le altre cose scrive: “… contrariamente all’Occidente dove le informazioni sono completamente online e fare ricerche è molto meno stressante, l’Africa è un caso differente, poiché sta ‘entrando’ in Rete da poco tempo. E quindi non c’è sufficiente materiale per fornire un’adeguata prospettiva di una storia. Allora che scelta ha un corrispondente straniero? Poche, eccetto la pazienza, piedi buoni per camminare e andare di villaggio in villaggio, di città in città, per contruire le fondamenta della sua storia. Le dichiarazioni dei politici dovranno servire solo per ‘bilanciare’ il racconto e raramente ne saranno il cuore“.

Camminare, parlare, raccogliere informazioni, e usare qualche dichiarazione dell’apparato politico solo per “bilanciare”. Una semplice, elementare – nel senso di basilare – lezione di giornalismo. Edward Echwalu si sofferma su un caso specifico, il modo in cui i media stanno affrontando l’epidemia di ebola.

I reportage sull’ebola dai media stranieri […] si basano principalmente su statistiche, statistiche e ancora statistiche. In Africa se il numero dei morti non è abbastanza alto, per i media occidentali non c’è notizia. Una volta che il numero dei morti è ok il resto della storia va avanti con i soliti stereotipi di come riusciamo a vivere con un dollaro al giorno, di come i livelli di povertà sono tra i più alti al mondo, dell’HIV/AIDS e bla bla bla… Finora i morti per ebola in West Africa sono oltre 4.500. Il numero esatto che serve ai media occidentali. Di fatto una cifra considerevole ma fate caso ai dettagli, all’attenzione, all’emozione riservati dai media occidentali ai pochi stranieri che hanno contratto la malattia, alla loro guarigione o morte. Enorme!

Il giornalista ugandese dà anche spazio alle critiche nei confronti della stampa africana, anch’essa appiattita sulle modalità di quella occidentale. Per mancanza di mezzi o, qualche volta, di fiducia in sé stessi. Per quel famoso complesso di inferiorità nei confronti dei “bianchi” che il pan-africanismo del secolo scorso e quello più “popolare” di oggi hanno in qualche modo portato alla luce. E così notizie e storie sull’ebola che appaiono su testate africane sono spesso notizie d’agenzia estere… Ma le persone, i “neri”, non sono statistiche. Come i “bianchi” che hanno contratto l’ebola anch’esse hanno un nome, storie diverse da raccontare, aspetti da svelare a un pubblico dormiente.

Edward vive in Uganda e il giornale per cui lavora non può permettersi di inviarlo dall’altra parte del continente. In questo Italia e Africa si assomigliano, ma le ragioni son diverse, non è sempre vero che l’Italia non può permettersi corrispondenti. Semplicemente editori e chi per loro vogliono fare le nozze con i fichi secchi.

Vorrei con tutte le mie forze andare al di là della superficie, delle statistiche riguardanti quelli che hanno perso i propri cari, quelli i cui parenti e amici sono in cura e quelli che potrebbero presto contrarre il virus. Voglio essere parte di quella letteratura africana che racconta le proprie storie dall’interno. Voglio andare in Liberia, Guinea, Sierra Leone, per dare il mio contributo a raccontare la storia africana….“.

Chissà se Edward troverà il modo di partire. Certamente le “regole” del giornalismo le conosce. E sa come comunicare storie ed emozioni.

Di seguito pubblichiamo alcune foto di Edward Echwalu tratte dal suo blog. Sua è anche la foto di copertina. Le foto sono pubblicate su concessione dell’autore.

Two Faces - Un bambino profugo sudanese accanto ad un soldato dopo che la sua casa è stata data alle fiamme nel corso delle proteste sull'area di confine di Lafori, nel distretto di Moyo, a circa 455 km a Nord Ovest di Kampala (Uganda) REUTERS/Edward Echwalu

 

Climate Change - Lo scheletro di un albero nel distretto di Moroto, 430 Km a Nord di Kampala che, come molte altre aree dell'Uganda, sta subendo prolungate e inusuali stagioni secche - Edward Echwalu
Women's Day - Quando il mondo celebra la Giornata internazionale della donna, ci sono donne in qualche parte del pianeta che continuano il loro percorso per superare problemi vecchi di secoli. Le donne ugandesi, per esempio, devono ancora combattere contro le mutilazioni genitali, la povertà, le differenze di genere, le malattie, la mancanza di educazione... - Edward Echwalu

 

 

 

Antonella Sinopoli

Giornalista professionista. Per anni redattore e responsabile di sede all'AdnKronos. Scrive di Africa anche su Nigrizia, Valigia Blu, Ghanaway, e all'occasione su altre riviste specializzate. Si interessa e scrive di questioni che riguardano il continente africano, di diritti umani, questioni sociali, letteratura e poesia africana. Ha viaggiato molto prima di fermarsi in Ghana e decidere di ripartire da lì. Ma continua ad esplorare, in uno stato di celata, perenne inquietudine. Direttore responsabile di Voci Globali. Fondatrice del progetto AfroWomenPoetry. Co-fondatrice e coordinatrice del progetto OneGlobalVoice, Uniti e Unici nel valore della diversità.

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