violenza

Il dopo terremoto porta ostilità tra rifugiati siriani e comunità turca

Nelle zone colpite dai sismi dello scorso 6 febbraio, la situazione è critica: le difficoltà, in un territorio già provato dalla guerra, sono innumerevoli e le note tensioni tra la popolazione turca e quella siriana non aiutano. Tramite testimonianze, è stato possibile documentare episodi di aggressioni, incitazione all’odio, insulti razzisti e discriminazioni nei confronti dei profughi, incolpati di tutto, persino del drammatico evento naturale. I siriani in territorio turco non si sentono protetti dalle autorità e hanno paura. In vista delle prossime elezioni, si teme un peggioramento.

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Brasile, le vittime invisibili di uno Stato che fa guerra alle favelas

A distanza di un anno dal raid di polizia più violento della storia di Rio de Janeiro, le madri e i parenti delle vittime non hanno ancora ottenuto giustizia. Queste persone, non potendosi permettere di cambiare casa, sono obbligate a rimanere nelle favelas, convivendo con la costante paura che altri familiari possano rimanere uccisi in simili operazioni. La violenza della polizia brasiliana non è una novità: secondo i dati, gli omicidi per mano delle forze di pubblica sicurezza sono quasi triplicati tra il 2013 e il 2020. E l’agenda pro armi di Bolsonaro complica ulteriormente la situazione.

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Le donne africane, dalla politica al giornalismo, contro il Covid-19

Nonostante le sfide presentate dalla pandemia di Covid-19, tra questi il declino nell’economia di molti Paesi africani e un aumento drastico della violenza di genere dovuto al confinamento, le donne africane sono rimaste tenaci e si sono assicurate che anche loro occupassero un ruolo centrale nei processi decisionali per la lotta contro il virus. In questa giornata della donna panafricana ricordiamo quelle donne che si sono impegnate per cambiare la narrativa nella lotta contro il coronavirus in Africa e per includere le voci di tutte le donne africane, spesso sottorappresentate.

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Repubblica Centrafricana, le invisibili ferite aperte del conflitto

Il conflitto, scoppiato nel 2013 e non ancora del tutto terminato, ha provocato morte, violenza e distruzione. Come spesso accade in queste circostanze, i bambini pagano il prezzo più caro. Le storie di Agnes, Janet, Ali e Daniella raccontano di profondi traumi psicologici, difficili da curare e superare. Le istituzioni, ancora troppo traballanti, non sono in grado di offrire supporto adeguato alle tante vittime. Il lavoro degli operatori umanitari presenti sul territorio – con i loro programmi di educazione, supporto psicologico e sviluppo economico – diventa così essenziale.

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L’umanità dilapidata, la speranza sta nei “giusti”

Nel 2018 si sono celebrati i 70 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ma il verbo celebrare non è adeguato. Questa parola dovrebbe esprimere non solo l’ufficialità di un evento ma anche la gioia e partecipazione che dovrebbe accompagnarlo. E, invece, non c’è molto da gioire. L’erosione dei diritti è costante e sempre più rapida. Se c’è una cosa che accomuna molti Stati, Governi, Istituzioni è oggi la degenerazione della giustizia sociale. È proprio di questi tempi che bisogna alzare la testa. Diventare protagonisti di un cambiamento. Lo hanno fatto i premi Nobel per la Pace Denis Mukwege e Nadia Murad, ma anche uno sconosciuto, Omar Abdel Jabar.

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Egitto, la violenza di Stato e l’illusione della modernità

Da tempo il regime militare egiziano al potere ha aumentato l’uso della violenza, della repressione e delle sparizioni di massa. La comunità internazionale, così come diverse organizzazioni, hanno denunciato più volte le gravi violazioni di diritti umani perpetrate nel Paese. Dal canto loro, tuttavia, il Governo e i suoi sostenitori, tra cui il ceto medio urbano, continuano a negare l’evidenza. Puntando il dito contro rivali e continuando a proporsi come la sola forza che può garantire stabilità e modernità, il regime cela in realtà gravi reati che alla fine si ripercuotono sulla popolazione.

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La violenza nelle università marocchine, una crisi sottovalutata

L’ambiente universitario dovrebbe rappresentare un luogo di crescita, cultura ed esperienza per i ragazzi in modo da prepararli poi ad affrontare il mondo esterno e quello del lavoro. Questo non avviene attualmente in Marocco, dove i campus sono ormai teatro di continui scontri che hanno anche provocato vittime. A parte le ideologie e le opinioni politiche differenti che contraddistinguono i vari gruppi, queste brutalità sono il prodotto in parte di un’istruzione inadeguata ma soprattutto di una società profondamente divisa e di uno Stato assente che non ha ancora compreso la fondamentale importanza dei propri giovani.

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Kabul, il respiro del sangue e le urla del dolore e della morte

È blindata Kabul, c’è un check point quasi ogni 500 metri, posti di blocco, barriere di cemento, filo spinato, hummer e mitragliatrici a tagliare in due le strade. In Occidente arriva una piccolissima percentuale di notizie, ma qui c’è un attentato in media ogni tre giorni, le vittime sempre e solo afghane, una strage che porta via ogni speranza. Le forze internazionali si occupano solo di determinate missioni, e di fornire addestramento, ma nelle strade ci sono sempre e solo loro, gli Afghani, ancora una volta soli contro il terrore e a respirare sangue.

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Gradazioni di nero, alle radici dell’afrofobia in Sudafrica

La xenofobia è l’avversione verso chi proviene dall’estero. Ma gli africani non possono considerarsi tra loro estranei o “stranieri”. Ciò che accade nel Paese che veniva chiamato “rainbow nation” è la forma estrema di un elemento che possiamo rintracciare nelle società nere in tutto il mondo: variazioni dell’odio verso sé stessi espresso come rabbia neri-contro-neri. Secondo quest’analisi, tradotta da Pambazuka, nel corso della Storia la supremazia bianca ha privato gli africani del proprio potere a tal punto che l’unica reazione è diventata la violenza irrazionale.

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