Moschea al-Aqsa, testimonianza dalla Gerusalemme divisa in due

L’autore di questo articolo, ricercatore presso la Lancaster University, si è recato a Gerusalemme per osservare i rapporti tra israeliani e palestinesi in città. Si è trovato a essere testimone diretto dei recenti episodi che sono poi rimbalzati sui media e sui social di tutto il mondo. Nel suo resoconto, sono evidenti da un lato le pressioni e provocazioni delle autorità israeliane durante il mese del Ramadan, dall’altro le proteste pacifiche e creative dei giovani attivisti palestinesi durate fino al cessate il fuoco tra Israele e Hamas, dichiarato il 21 maggio e compromesso poche ore dopo.

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Israele e Hamas: quei soliti e strategici cessate il fuoco temporanei

L’articolo, scritto pochi giorni prima dell’ennesimo cessate il fuoco, analizza il conflitto concentrandosi sull’alternanza tra fasi più o meno lunghe di violenza e periodi di tregua, che sembra protrarsi ormai all’infinito. Da un lato, però, Hamas sta acquisendo la capacità di colpire zone più ampie di Israele e per periodi di tempo più lunghi e, parallelamente, le rappresaglie israeliane si fanno più feroci e intense. Il motivo di questa costante escalation sembra risiedere nella volontà di entrambe le parti di restituire un’immagine vittoriosa al proprio popolo, piuttosto che di raggiungere obiettivi concreti rispetto sia al conflitto sia ai negoziati di pace.

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Palestina, l’interminabile vicolo cieco delle nuove elezioni

A distanza di ben 15 anni dall’ultimo voto, lo scorso gennaio la Commissione Centrale Elettorale palestinese ha annunciato le elezioni legislative e presidenziali, entrambe fissate per quest’anno. In un contesto sociale, politico e geografico caratterizzato dalla polarizzazione fra Hamas e Fatah e da una profonda sfiducia nei confronti di un sistema istituzionale debole e corrotto, gli esiti appaiono più incerti che mai. E la fine dell’occupazione sembra ancora più lontana. Voci Globali ne ha parlato con due attivisti palestinesi rispettivamente residenti a Gaza e nella West Bank.

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Vivere nella Striscia di Gaza, da 70 anni prigione a cielo aperto

Esiste un territorio nella regione palestinese che è considerato una sorta di prigione per i suoi circa 2 milioni di abitanti. È la Striscia di Gaza, lingua di terra incuneata tra Israele ed Egitto che ogni giorno deve fare i conti con le restrizioni alle libertà imposte nel 2007 dal Governo di Tel Aviv. Persone e beni di prima necessità riescono a transitare nella Striscia solo in base a quote stabilite da Israele. La conseguenza è l’aumento di povertà, frustrazione e violenza tra i suoi abitanti, ancora in cerca di libertà e giustizia. Ce lo racconta Ahmed Masoud, originario di Gaza e autore del romanzo “Scomparso”, edito in Italia da Legeb.

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Israele, la “patria degli ebrei” che scatena nuove tensioni

La tensione in Medio Oriente, nei territori della Palestina, è sempre accesa. La striscia di Gaza continua ad essere teatro di violenza e morte tra i Palestinesi, che rivendicano il diritto di tornare nelle proprie terre con la Marcia del Ritorno, e gli Israeliani che affermano di difendersi contro atti di terrorismo rivolti verso il loro territorio. Intanto la politica degli insediamenti israeliani, illegali secondo l’ONU, trova nuovo slancio. A rendere più difficile la pace anche la legge approvata dalla Knesset che riconosce Israele Stato-nazione degli ebrei. Un cerchio di morte e di guerra, quindi, che non riesce a rompersi.

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Gaza, il futuro frenato dall’indifferenza e dalle paure di Israele

Le immagini di uomini, donne, giovani e anziani palestinesi diretti verso il confine israeliano hanno creato una terribile angoscia nell’immaginario collettivo. Non c’è da affrontare solo il recente conflitto esploso sulla Striscia, ma anche far fronte alle sue cause, per dare agli abitanti di Gaza un qualche motivo per credere ancora nel loro avvenire. Ma Israele, in realtà, nutre forti preoccupazioni circa la sua sicurezza. Si preoccupa che il miglioramento delle condizioni, in particolare di quelle economiche, darebbe ad Hamas nuove opportunità per rafforzarsi.

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Gaza, il dilemma sicurezza, i media e i bombardamenti

Israele-Palestina, un conflitto impari alimentato dal potere dominante che vuole mantenere lo status quo. Eppure: “Se ci sono due gruppi, ognuno dei quali percepisce di essere in lotta esistenziale con l’altro, l’idea che uno si reprima volontariamente non ha molto senso. Perché Israele dovrebbe reprimere la propria potenza militare solo perché Hamas non ha accesso alla stessa forza? La guerra non è un duello. Non è una partita di cricket”. Un’analisi da openDemocracy.

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