19 Marzo 2024

Vivere nella Striscia di Gaza, da 70 anni prigione a cielo aperto

Crescere a Gaza per la maggior parte della mia vita mi è sembrato normale perché non sapevo nient’altro, non avevo nulla da confrontare con quel posto. Era normale avere solo un paio d’ore di elettricità al giorno, aspettare anche una settimana per fare una doccia per mancanza d’acqua, attendere in un posto di blocco per ore, essere picchiato continuamente dai soldati israeliani senza motivo”.

Ahmed Masoud descrive così la sua vita nella Striscia di Gaza. Vivere in questa parte del mondo potrebbe sembrare normale per chi vi è nato e cresciuto. Ma di normale, nella terra più rappresentativa del conflitto arabo-israeliano, c’è ben poco.

Lo racconta anche Masoud, palestinese trasferito in Gran Bretagna che scrive testi per radio e teatro. Il suo ultimo lavoro è un romanzo, intitolato “Scomparso“, edito in Italia da Lebeg con la traduzione di Pina Piccolo.

“La narrazione letteraria è un mezzo per portare Gaza in Europa attraverso una storia normale, una prospettiva umana, il prisma di un bambino in cerca di suo padre”, racconta a Voci Globali Ahmed Masoud. L’obiettivo è far conoscere la vita nella Striscia di Gaza così come scorre ogni giorno. Qui sono imprigionate la libertà e la giustizia dei palestinesi.

Come suggerisce lo scrittore, per chi ha vissuto unicamente a Gaza, dare un significato alla libertà, intesa come poter scegliere, essere in grado di viaggiare e muoversi e alla giustizia, nel senso di essere tutti uguali e poter stabilire il proprio destino, non è affatto semplice.

La Striscia di Gaza continua ad essere sotto assedio e a mostrarsi come una vera e propria prigione a cielo aperto, mentre la Cisgiordania rischia di scomparire a causa dell’aggressiva politica degli insediamenti portata avanti da Israele. Questo scenario, così descritto in modo efficace e sintetico da Masoud aiuta a capire quale situazione vive oggi quella parte di terra così martoriata.

La vita su questo territorio è fortemente compromessa dalle restrizioni alla libertà di movimento di persone e merci imposte da Israele ed Egitto a partire dal 2007. Quando, in quell’anno, Hamas ha vinto le elezioni nella Striscia di Gaza, i vicini israeliani ed egiziani hanno deciso di difendere i propri territori dal rischio di attacchi terroristici provenienti dalla nemica Hamas, attraverso la chiusura del valico di Rafah e la forte limitazione del passaggio di persone e merci.

Oggi, la situazione è cambiata di poco. I diritti politici e le libertà civili dei circa 2 milioni di residenti nella Striscia di Gaza sono fortemente limitati. Il blocco imposto da Israele, insieme alle periodiche incursioni militari e alle violazioni dello stato di diritto, hanno causato una serie di difficoltà alla popolazione civile, così come lo stretto controllo dell’Egitto sul confine meridionale.

Nonostante alcuni allentamenti delle restrizioni, le condizioni nella Striscia continuano ad essere drastiche per la popolazione civile palestinese. Mancano beni di prima necessità; la corrente elettrica funziona in media 12 ore al giorno e l’accesso ai servizi di base risulta difficile.

Striscia di Gaza. Proteste lungo il confine israeliano. Foto da Flickr Creative Commons

L’esercito israeliano effettua ancora pesanti limitazioni nei confronti di chi vuole lasciare il territorio di Gaza. Le uniche concessioni riguardano i “casi umanitari eccezionali“, che comprendono principalmente pazienti, medici e importanti uomini d’affari muniti di permessi.

Nei primi otto mesi del 2018, Tel Aviv ha approvato solo il 60% delle domande di permesso dei palestinesi in cerca di cure mediche fuori Gaza. Ad agosto dell’anno scorso, la Corte suprema israeliana ha scoperto che Israele negava illegalmente i permessi di uscita ai parenti di primo grado dei membri di Hamas.

Durante i primi 10 mesi del 2018, una media di circa 274 palestinesi ha attraversato ogni giorno il valico di Erez, rispetto alla media giornaliera di oltre 24.000 nel settembre del 2000. Nello stesso periodo, le merci in uscita, destinate principalmente alla Cisgiordania e ad Israele, hanno registrato una media di 201 camion al mese, meno del 20% dei 1.064 camion che in media si spostavano mensilmente prima della chiusura imposta nel giugno 2007.

La limitata fornitura di elettricità a Gaza ha compromesso la disponibilità di acqua, il trattamento delle acque reflue e le operazioni ospedaliere. La carenza di carburante, necessaria per far funzionare i generatori durante le interruzioni di corrente ha causato la chiusura parziale di diversi ospedali. Al 31 ottobre 2018, il 44 % delle medicine essenziali era completamente esaurito.

Le restrizioni israeliane hanno colpito anche la consegna di materiali edili, rallentando e impedendo la ricostruzione di case gravemente danneggiate o distrutte durante l’operazione militare israeliana del 2014. Circa 17.700 palestinesi che hanno perso la casa rimangono sfollati. Il Governo israeliano ha affermato che per evitare che i materiali da costruzione vengano utilizzati da Hamas con scopi militari, ne consentirebbe il passaggio solo in quantità limitate e sotto la supervisione di organizzazioni internazionali.

Vita nella Striscia di Gaza, tra le case distrutte dagli attacchi israeliani. Foto da Flickr Creative Commons

Anche l’Egitto limita il movimento di persone e merci al confine. Tra gennaio e aprile 2018, una media mensile di circa 2.500 persone ha attraversato Rafah in entrambe le direzioni. Il numero medio di passaggi mensili in condizioni normali è di 40.000.

Restrizioni, povertà e frustrazione si affiancano alla violenza, che scandisce il ritmo di molte giornate nella Striscia di Gaza. Da ottobre 2019, sono circa 200 i palestinesi rimasti uccisi durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno, iniziate nel marzo 2018. 335 sono i palestinesi feriti dopo gli scontri con i soldati israeliani.

Ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano, molotov e aquiloni incendiari, diventati simbolo di questa protesta palestinese per il ritorno dei rifugiati nella propria terra, violano costantemente il confine di difesa tra Gaza e Israele. La risposta a queste manifestazioni sono quasi sempre le armi da fuoco dell’esercito israeliano.

Aquiloni incendiari lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele durante le manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno. Foto da Flickr Creative Commons

A fare da cornice a questo quadro desolante, c’è la profonda fragilità politica palestinese. Le continue lotte per il potere tra Hamas e al-Fatah hanno esacerbato una situazione già molto difficile e allontanato la possibilità di garantire sicurezza e giustizia ai palestinesi della Striscia di Gaza.

Violetta Silvestri

Copywriter di professione mantiene viva la passione per il diritto internazionale, la geopolitica e i diritti umani, maturata durante gli studi di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, perché è convinta che la conoscenza sia il primo passo per la giustizia.

One thought on “Vivere nella Striscia di Gaza, da 70 anni prigione a cielo aperto

  • Grazie! Sono queste le informazioni di cui abbiamo bisogno.

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