2 Maggio 2024

Gaza, perché l’ordine di evacuazione viola il diritto internazionale

[Traduzione a cura di Gaia Resta dell’articolo originale di Jane McAdam e Ben Saul pubblicato su The Conversation]

Distruzione a Gaza durante la guerra del 2023. Foto di Saleh Najm e Anas Sharif per FarsNews, da Wikimedia Commons in CC
Distruzione a Gaza durante la guerra del 2023. Foto di Saleh Najm e Anas Sharif per FarsNews, da Wikimedia Commons in CC

Nei conflitti di tutto il mondo, le evacuazioni sono state lungamente impiegate per evitare gravi danni alle popolazioni. Durante la Seconda guerra mondiale, per esempio, migliaia di bambini di tutta Europa furono mandati in aree rurali o all’estero nell’ambito di programmi di evacuazione avviati dai Governi e dagli enti per il benessere dei bambini.

La differenza che vediamo oggi a Gaza è terribile. Stiamo assistendo a un’evacuazione d’emergenza, caotica, ordinata da una delle parti in guerra, che si sta tramutando velocemente in una catastrofe umanitaria. Israele ha comunicato a 1,1 milioni di persone del territorio settentrionale di Gaza di spostarsi a Sud in vista di un’imminente invasione via terra.

Immaginate voi stessi, la vostra famiglia, i vostri amici o colleghi in quest’orrore, solo per un momento. Come potreste fuggire se voi o i vostri figli fossero malati? Come fareste uscire i vostri genitori anziani se impossibilitati a camminare? Come vi spostereste velocemente più a Sud se non aveste carburante o un mezzo di trasporto?

Una qualunque di queste cose sarebbe già difficile in una situazione migliore, figuriamoci nel bel mezzo di un zona di guerra, con poco preavviso e con nessun posto sicuro dove andare. Come ha detto una donna di 20 anni che ha cercato di scappare a Sud:

Ero terrorizzata, pensavo di morire […] Ci dicono di scappare e poi bombardano la gente in strada. Mio padre è tornato a Gaza City. Ha detto ‘se proprio dobbiamo morire, restiamo a casa nostra a Gaza’.

L’evacuazione dei civili nel diritto internazionale

Le evacuazioni durante i conflitti armati sono interamente disciplinate dal diritto umanitario internazionale il cui scopo è quello di bilanciare le necessità militari e quelle umanitarie. L’avviso di Israele ai civili di Gaza relativo agli attacchi imminenti deve essere “effettivo” ossia non deve soltanto raggiungere la popolazione ma anche consentire un tempo sufficiente a evacuare in sicurezza.

La strettissima finestra temporale che Israele ha dato ai residenti di Gaza è insufficiente e irrealistica per un’evacuazione di questa entità, considerati soprattutto i bombardamenti serrati all’interno della Striscia e le condizioni da assedio.

Israele ha inoltre il dovere di assicurare che i civili evacuati abbiano i mezzi per sopravvivere. Il diritto internazionale prevede che Israele permetta e faciliti il passaggio rapido e senza ostacoli del sostegno umanitario per i civili che ne abbiano bisogno. Si parla di cibo, acqua, attrezzature sanitarie, abiti, lenzuola, riparo, combustile per riscaldamento e altre forniture e servizi essenziali alla sopravvivenza. Lasciare i civili morire di fame è un crimine di guerra.

Eppure, Israele ha del tutto illegalmente posto Gaza sotto un “assedio totale” in risposta agli attacchi di Hamas della settimana scorsa contro le comunità israeliane al confine, bloccando il rifornimento di elettricità, cibo, acqua o gas nel territorio.

Far accalcare oltre un milione in più di persone nella parte meridionale di Gaza – raddoppiandone la popolazione – sottoporrà a uno sforzo impossibile le infrastrutture, già degradate dopo 16 anni di embargo.

È in corso un dibattito sulla possibilità che Gaza sia ancora legalmente “occupata” da Israele da quando le forze di terra sono state ritirate nel 2005.

Secondo l’opinione tradizionale, l’occupazione è tale se vi sono soldati israeliani sul territorio per governare Gaza dall’interno. Invece, in base a una visione più contemporanea, Israele conserva un livello di controllo sufficientemente alto sulla vita a Gaza, nonostante il ritiro delle truppe. Se la Striscia è da considerarsi occupata, ci sarebbero ulteriori norme giuridiche da applicare all’attuale situazione.

In quanto potenza occupante, in base al diritto umanitario internazionale, Israele potrebbe ordinare un’evacuazione per inderogabili motivi militari o per la sicurezza dei civili, ma questi ultimi dovrebbero in ogni caso essere tutelati. Nello specifico, Israele sarebbe tenuto ad assicurare agli sfollati riparo, igiene, salute, sicurezza e cibo, e la garanzia che le famiglie non vengano separate. Dovrebbe soddisfare i bisogni specifici dei bambini, delle donne in gravidanza o in allattamento, delle persone con disabilità e degli anziani.

Tutto ciò oltre all’esigenza di consentire il passaggio rapido degli aiuti umanitari, un elemento imprescindibile al di là che Gaza sia da considerarsi occupata o meno.

Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che gli Stati Uniti e Israele hanno concordato di lavorare su un piano per far arrivare supporto umanitario nella Striscia e per individuare delle “zone sicure” che sarebbero in teoria al riparo dagli attacchi. Ma nulla è stato messo in pratica, e la situazione continua a deteriorare.

“Estremamente pericoloso”

L’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei palestinesi ha ammesso di non avere più la capacità di aiutare, dichiarando una “catastrofe umanitaria senza precedenti”.

Stanno strangolando Gaza e sembra che in questo momento il mondo abbia perso la sua umanità.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa, il custode delle leggi in tempo di guerra, di rado ammonisce pubblicamente i Governi. Tuttavia, ha definito illegale l’ordine di evacuazione. Il segretario generale dell’ONU António Guterres l’ha parimenti condannato, dicendo che è “estremamente pericoloso” e potenzialmente impossibile da applicare.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha criticato i successivi ordini di Israele di evacuare 22 ospedali nell’area settentrionale di Gaza, asserendo che la circostanza avrebbe “ulteriormente peggiorato la catastrofe umanitaria e di salute pubblica attualmente in corso”.

Obbligare oltre 2.000 pazienti a spostarsi nella parte Sud di Gaza, dove le strutture sanitarie sono già al massimo della capienza e impossibilitate ad assorbire un sensibile aumento del numero dei ricoverati, equivale a una condanna a morte.

Trattare gli abitanti di Gaza come rifugiati

I residenti della Striscia non possono neanche cercare la sicurezza in altri Paesi; il confine con l’Egitto, infatti, rimane chiuso.

Molti palestinesi non vogliono lasciare la loro terra se poi non sarà consentito loro di farvi ritorno, un rischio impresso nella memoria collettiva dall’esodo della guerra del 1948.

Ma coloro che desiderano andar via hanno il diritto di farlo in base alle leggi internazionali, e gli altri Paesi non possono rifiutarsi di accoglierli dato il rischio reale per le loro vite.

I residenti della Striscia di Gaza sono tutelati come rifugiati dall’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei palestinesi, nell’ambito di un regime giuridico su misura.

Tuttavia, l’attuale incapacità dell’agenzia di soccorso di fornire protezione e assistenza significa che i rifugiati palestinesi che non raggiungono un altro Paese dovrebbero essere automaticamente protetti come rifugiati in base alla Convenzione per i rifugiati del 1951, senza il bisogno di ulteriori determinazioni dello status.

Chiunque si rifiuti di lasciare Gaza – o semplicemente non sia in condizione di andare via – deve essere protetto in quanto civile. Le persone non perdono questo diritto soltanto perché non si spostano.

Israele deve occuparsi costantemente di proteggere i civili o gli obiettivi civili, evitare e ridurre al minimo vittime accidentali tra i civili e di consentire il libero passaggio dei soccorsi umanitari.

[Voci Globali non è responsabile delle opinioni contenute negli articoli tradotti]

Gaia Resta

Traduttrice, editor e sottotitolista dall'inglese e dallo spagnolo in ambito culturale, in particolare il cinema e il teatro. L'interesse per un'analisi critica dell'attualità e per i diritti umani l'ha avvicinata al giornalismo di approfondimento e partecipativo.

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