21 Novembre 2024

Autore: Davide Galati

L’estrattivismo verde che non può risolvere l’emergenza climatica

Per fronteggiare l’emergenza ambientale globale cresce il ricorso ai “minerali di transizione”, utilizzati nella produzione di veicoli elettrici, pale eoliche o altre attrezzature. Le industrie minerarie, e i Governi, non possono però applicare all’estrazione di questi materiali le usuali logiche non sostenibili. Serve una “transizione giusta”, che porti a una società veramente circolare, post-estrattiva e allineata con le esigenze di giustizia climatica, nel rispetto di tutti i territori e le comunità coinvolti nei nuovi processi industriali. Lontano dall’illusione dell’ininterrotta “crescita verde”.

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Ambiente, i danni alla terra delle ‘erbe cattive’ create dall’uomo

Le erbe infestanti stanno minacciando le coltivazioni a livello globale. È il risultato di decenni di agricoltura industriale che ha sempre puntato al miglioramento genetico delle piante in termini di maggiore “efficienza” e “produttività”, e meno sulla resilienza ai cambiamenti ambientali. La selezione di ridottissimi pool genetici per le colture ne ha impoverito inoltre la diversità. Alla luce del fallimento della “Big Agriculture” è sempre più urgente il passaggio a un paradigma agro-ecologico, anche in vista della Conferenza sulla biodiversità (COP15) che verrà ospitata in Cina il prossimo ottobre.

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Pakistan, cambiamento climatico e disabilità: strategie e azioni

Secondo l’OMS, 1 miliardo di persone nel mondo convive con una forma di disabilità, di cui quasi 200 milioni, il 2-4% della popolazione mondiale, incontrano notevoli difficoltà. Attualmente la pianificazione e le politiche sul cambiamento climatico o la riduzione del rischio di catastrofi non accolgono con sufficiente efficacia le voci e le preoccupazioni delle persone disabili. Un esempio è quello del Pakistan, come altri Paesi asiatici particolarmente colpito dai mutamenti del clima, e dove la mancanza di politiche inclusive in risposta ai disastri sta rendendo le persone disabili particolarmente vulnerabili.

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USA, rielezione di Trump sarebbe prova fatale per il Paese

Le elezioni presidenziali del 3 novembre potrebbero rappresentare uno degli eventi più significativi e di maggiore portata del XXI secolo. L’umanità sta vivendo una delle sue epoche più difficili, tra crisi climatica, crescente autoritarismo e minaccia nucleare, e una seconda vittoria del presidente uscente sancirebbe una definitiva perdita di visione degli ideali democratici. In tal caso, gli americani dovranno sforzarsi di affrontare una “rivoluzione della coscienza”, attingendo dalla storia per ricreare le condizioni economiche, culturali e politiche necessarie per risollevare USA e resto del mondo.

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Colombia, da campione di biodiversità a territorio sotto assedio

La Colombia è tra i Paesi più dotati di biodiversità al mondo, ma i suoi ricchi ecosistemi boscosi stanno affrontando nuove minacce esistenziali, anche in seguito alla pandemia di Covid-19 che mette a rischio soprattutto le comunità indigene. Si stanno tentando una serie di strategie per rallentare i crescenti tassi di deforestazione ma è necessario comprendere e combattere con successo i complessi fattori sociali, politici, economici di larga scala, che sono interconnessi e sono alla base del fenomeno che ha ormai determinato l’ingresso in un punto critico per l’eco-ambiente.

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75 anni dall’atomica, lezioni da due giganti del panafricanismo

Ricordare Hiroshima e Nagasaki è anche l’occasione di ripensare l’approccio africano agli armamenti atomici che si rifà ai contributi di Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana post-coloniale, e Ali Mazrui, eminente studioso keniota. Il primo sposava l’approccio abolizionista non violento, il secondo non escludeva il ricorso agli armamenti per la sua diffidenza verso il Trattato di non-proliferazione (1968), che riteneva strumento razzista e orientato allo status quo dei rapporti di potere. Conciliare i due apporti vuol dire aderire al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (2017) puntando decisamente al disarmo nucleare globale.

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Delta del Niger, giovani senza futuro tra esclusione e violenza

Decenni di esplorazioni petrolifere hanno prodotto ampi redditi per lo Stato nigeriano, rendendo però questo luogo uno dei più inquinati della Terra. La devastazione ambientale ha danneggiato molti residenti che per sopravvivere dipendono dalla pesca o dall’agricoltura, in un contesto in cui non vi sono neppure prospettive diverse di occupazione. Molti giovani si sono dati alla violenza terroristica, violenza spesso indirizzata all’industria petrolifera. Per restituire un futuro a questa regione servono cambiamenti radicali.

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Nere, donne, brasiliane, in azione contro la violenza di genere

Anche per il negazionismo del suo presidente Bolsonaro, il Brasile è oggi l’epicentro del Covid-19 in Sud America. Tuttavia, mentre nessuno era preparato alla pandemia, le attiviste impegnate da anni nelle favelas del Paese sono entrate in azione. Non soltanto per informare sulle misure igieniche e l’accesso agli aiuti finanziari, ma anche per contrastare le violenze domestiche, cresciute in maniera allarmante soprattutto sulle donne povere e di colore, mentre lo Stato latita e le disuguaglianze preesistenti si allargano.

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Colonialismo digitale, il Sud globale reclama il possesso dei dati

Capitanati dall’India, diversi Paesi in via di sviluppo rivendicano gli interessi sui dati generati dai propri cittadini, chiedendo che le aziende Big Tech mondiali costruiscano i data center sul proprio territorio e accusando le grandi potenze di imperialismo digitale. I benefici finanziari della localizzazione dei dati appaiono in realtà incerti. Oltre alla complessità della questione economica, gli attivisti segnalano il pericolo insito nel consentire maggiore accesso alle informazioni personali sensibili ai loro Governi, mentre gli sviluppatori sperimentano nuovi strumenti per tutelare i diritti personali.

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ISIS, la controversa politica dei rimpatri in Asia Centrale

Si stima che tra il 2011 e il 2018 un numero di cittadini asiatici compreso tra 2.000 e 5.000 si siano trasferiti in Siria o in Iraq per sostenere lo Stato Islamico. Alcuni si sono sposati lì e hanno avuto dei figli, altri sono andati via con le famiglie e hanno avuto poi altri bambini. Ora che i gruppi armati estremisti hanno perso gran parte del loro territorio, molti di questi soggetti sono nei campi rifugiati, e si pone la questione di se e in che modo rimpatriare queste persone nei Paesi di origine cercando di reintegrarli nel modo migliore. La questione è importante anche per le molte donne, e i loro bambini, coinvolti.

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