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Giustizia sociale, quanto è attuale oggi la teologia della liberazione

Nata come movimento teologico e politico a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta in America Latina, la teologia della liberazione è una corrente di pensiero della religione cattolica dal messaggio molto potente ancora oggi, nonostante i tanti ostacoli incontrati nei decenni per una sua completa accettazione e diffusione proprio negli ambienti e nelle coscienze cristiane.

Radicata per lo più in Brasile e nel Sud America, dove questo peculiare modo di vivere la fede ha avuto e ha tuttora esempi di emancipazione sociale tangibili, la teologia della liberazione rimane oggi piuttosto marginale nell’espressione del cattolicesimo. Eppure, ciò che incuriosisce e affascina di questa corrente di pensiero – e di azione di fede, vista la sua concretezza – è la sua intrinseca lotta per la giustizia sociale e l’emancipazione degli oppressi della società. Un credere intimo, personale, spirituale che si trasforma, proprio per atto di fede, in azione politica intesa come battaglia contro soprusi, esclusione, emarginazione.

In un periodo in cui si fanno i conti con la lotta alle disuguaglianze, il raggiungimento della parità di genere, la crescita della povertà, la distruzione dell’ecosistema a causa del cambiamento climatico, il rifiuto dei migranti, la teologia della liberazione appare come uno strumento di evoluzione sociale davvero rilevante. Un esempio positivo di religione che si infiltra nella società per migliorarla e non per generare divisioni integraliste.

Per spiegare nelle sue diverse sfaccettature questa corrente del pensiero cattolico, Voci Globali ha intervistato Viviana Premazzi, che con il suo libro “Per una società e una Chiesa senza esclusioni. Teologia e femminismo in Brasile” (Effettà, 2023) ha offerto una interessante interpretazione della teologia della liberazione.

Viviana Premazzi

Come l’autrice ha raccontato, tutto è iniziato, per lei, con il suo arrivo in Brasile per il Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre nel 2002. “Quello è stato il mio primo incontro con la teologia della liberazione. Ero una giovane studentessa di scienze politiche nata e cresciuta in una piccola comunità cattolica del Nord Italia che fino ad allora aveva, appunto, inteso la religione come una dimensione legata principalmente alla sfera intima dell’individuo”.

L’esperienza brasiliana l’ha aperta a un modo nuovo di vivere il cattolicesimo. Premazzi sapeva dell’esistenza di partiti e movimenti politici cattolici in Italia, ma le apparivano superficiali, tiepidi, poco incisivi rispetto alle questioni contemporanee.

La scoperta della teologia della liberazione e l’aver visto e studiato il lavoro delle comunità ecclesiali di base nel Sud del Brasile le ha cambiato prospettiva: “mi ha profondamente conquistato perché univa a una profonda conoscenza delle scritture e dei testi sacri che mi aveva sempre appassionato, un impegno sociale e politico dentro e fuori la Chiesa per la pace, la giustizia e i diritti, una dimensione personale e comunitaria.

Non solo, ma le diverse varianti che erano scaturite dal nucleo originario della teologia della liberazione come la teologia femminista della liberazione, parlava al mio essere giovane donna in cerca di liberazione da schemi predefiniti”.

Da qui scaturisce tutta l’attualità della teologia della liberazione quando si citano i grandi temi come povertà, parità di genere, ecologia, migrazioni. L’autrice ha così spiegato questo essere attuale:

Lo è per il suo approccio: considerare le cause e le responsabilità individuali e sistemiche della povertà, della disuguaglianza, delle discriminazioni e sviluppare percorsi di liberazione a partire da una certa lettura della Bibbia e dei testi sacri e di un certo impegno ecclesiastico e lo è per il suo metodo: vedere, giudicare e agire.

La teologia della liberazione è, infatti, intrinsecamente legata all’impegno sociale, politico, economico ed ambientale. Non basta la riflessione o l’elaborazione di un giudizio su una situazione, ma si lavora per promuovere la giustizia sociale.

Da precisare, inoltre che giustizia sociale qui va intesa anche come riconoscere le diverse relazioni di potere operanti nella società e la loro intersezionalità. Così la teologia della liberazione diventa teologia eco-femminista, indigena, nera, riconoscendo le altre forme di oppressione oltre a quella economica e creando percorsi di liberazione a partire dalle identità dei singoli e dei gruppi.

Inoltre, la teologia della liberazione è stata una delle prime a dare importanza all’interdipendenza e alle relazioni tra l’essere umano e l’ambiente, promuovendo la responsabilità ambientale e la cura della Terra.

Ispirando il riscatto sociale universale, questa corrente secondo Premazzi si avvicina molto proprio alla predicazione di Papa Francesco. “Senza nominarla mai esplicitamente, molte delle sue azioni, dei suoi scritti e dei suoi discorsi sono influenzati dalla teologia della liberazione. Ciò che lui dice e fa ha un profondo significato e impatto politico anche per i non cristiani. Condannare le guerre, affrontare le giustizie strutturali, chiamare alla responsabilità per la salvaguardia del creato diventa speranza per un mondo diverso, un altro mondo possibile”.

Come ha ricordato l’autrice, proprio qualche giorno fa si è svolta la XVI Assemblea Generale del Sinodo sulla Sinodalità: tavoli rotondi e aperti al mondo non solo a livello simbolico, per una discussione che aveva tra i suoi punti principali l’opzione della Chiesa per i poveri, la corresponsabilità e compartecipazione, la ricchezza dei diversi carismi.

Temi cari al Concilio Vaticano II e alla Teologia della Liberazione, ha evidenziato Premazzi, che dimostra così le sue potenzialità nella creazione di una Chiesa in grado di leggere i segni dei tempi e contribuire allo sviluppo integrale dell’essere umano e alla salvaguardia del creato. Nella relazione finale si legge che Chiesa sinodale significa “una Chiesa più vicina alle persone, meno burocratica e più relazionale”, proprio nella direzione di una Chiesa meno gerarchica, e strutturata attorno a centri di potere e privilegi, ma comunitaria, missionaria e partecipativa.

Eppure, la teologia della liberazione e le declinazioni più femministe e aperte alle minoranze, alla diversità e alla lotta per le disuguaglianze non hanno assunto un significato universale, ricevendo invece atteggiamenti critici e dubbiosi sulla loro consistenza cristiana. I motivi sono stati diversi.

15° incontro interecclesiale delle comunità ecclesiali di base, Rondonopolis, Mato Grosso, Brasile – giugno 2023 – Foto da video Avvenire

Innanzitutto, come spiegato da Premazzi, la teologia della liberazione ha avuto delle derive eccessivamente politicizzate, marxiste e “guerrigliere”, che sono state anche, purtroppo, strumentalizzate per fini politici e ideologici rischiando di cancellare gli elementi virtuosi di riflessione che quell’allora nuovo modo di fare teologia e vivere la Chiesa portava con sé.

In più, la teologia della liberazione criticava le strutture di potere ingiuste e cercava di promuovere una visione più equa e inclusiva della società. All’interno del movimento della teologia della liberazione, ci sono state dispute e divergenze su come interpretare e attuare questa prospettiva teologica. Alcune di queste dispute hanno portato a divisioni interne o a una perdita del focus principale sulla giustizia sociale.

Da considerare, poi, che una delle grosse questioni riguarda proprio l’interpretazione dei testi sacri e c’è chi sostiene che la teologia della liberazione sia un’interpretazione selettiva e parziale dei testi biblici e non rappresenti l’intera tradizione cristiana.

Esistono anche correnti teologiche che vedono la teologia della liberazione come una deviazione dalle dottrine tradizionali e ritengono che essa metta troppo l’accento sull’impegno politico a scapito della spiritualità religiosa, che sia stata utilizzata per giustificare e sostenere movimenti marxisti portando a una visione troppo politicizzata della teologia.

Premazzi ha messo in luce anche un altro aspetto cruciale:

il problema principale è che la teologia della liberazione criticava le strutture di potere che creavano ingiustizia ed esclusione anche all’interno della Chiesa. Per chi beneficiava di queste strutture e di questo potere questo era, ovviamente, un approccio molto problematico che minacciava i loro interessi e la loro autorità.

Dall’altra, una religione e delle interpretazioni più orientate alla contemplazione e all’obbedienza e meno all’impegno politico erano più funzionali al mantenimento dello status quo.

Proprio la convenienza della conservazione di uno status quo ci aiuta a capire perché la cristianità come impegno contro le ingiustizie sociali non sia ispirazione dell’identità collettiva cattolica europea e occidentale di oggi, per esempio. Il discorso qui, diventa più ampio e articolato, a testimonianza di quanto une religione possa sconfinare nel modo di essere cittadino, oltre che fedele.

Le voci cristiane contro le ingiustizie se anche non minoritarie sono sicuramente meno visibili di posizioni più conservatrici che promuovono la difesa dei cosiddetti valori tradizionali, ha sottolineato Premazzi, aggiungendo:

“Rifacendomi ancora una volta al metodo “vedere, giudicare, agire” e alla mia esperienza di studiosa dei fenomeni migratori e consulente su tematiche di inclusione e dialogo interculturale e interreligioso, mi sento di dire che purtroppo, anche in questo caso si è più orientati alla difesa dello status quo e dei privilegi ad esso connessi che non alla creazione di una società realmente inclusiva. Ovviamente il cambiamento fa paura e la paura che con il cambiamento si perdano potere e privilegi”.

Così come non ha senso barricarsi in una discussione sulla difesa della tradizione e di una società omogenea di diritti per pochi, è ugualmente importante però liberarsi da un approccio assistenzialista. Anche qui, la teologia della liberazione aiuta, dotando le persone oppresse di conoscenza, coscienza di sé e della propria condizione e strumenti per essere autori della propria liberazione e non passivi beneficiari di assistenza che rischia di perpetuare nocive dinamiche di dominio e assoggettamento.

In fondo, ha suggerito Viviana Premazzi, l’esperienza delle comunità ecclesiali di base ispirate proprio da questa corrente di pensiero e il racconto del libro vogliono suggerire “buone pratiche da cui possiamo imparare, delle riflessioni teologiche inclusive che portano semi di liberazione in chi le vorrà ascoltare”. Aldilà di ogni credenza e appartenenza religiosa.

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