Quando si pensa alle risorse naturali più sfruttate, la cui estrazione aggressiva sta mettendo in serio rischio il pianeta, probabilmente non viene subito in mente la sabbia. I deserti e le lunghe spiagge del mondo ci danno un’idea rassicurante sulla quantità disponibile di questi minuscoli granelli. Eppure la realtà, numeri alla mano, racconta un’altra storia. E lancia un vero allarme sull’ecosistema. Lo sfruttamento della sabbia sta crescendo a un ritmo non più sostenibile, con una velocità molto maggiore di quella necessaria perché si possa reintegrare in modo naturale.
Il consumo di tale risorsa è aumentato in tutto il mondo, come conseguenza della crescita della popolazione, del maggiore tenore di vita e della rapida e sempre più capillare urbanizzazione. Sabbia e ghiaia vengono estratte su vasta scala a livello globale. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha valutato oltre 29 miliardi di tonnellate scavate ogni anno, ma la sua stima probabilmente è al ribasso e si riferisce all’utilizzo predominante, ovvero la realizzazione di calcestruzzo.
Tuttavia la sabbia costituisce anche il 90% dell’asfalto sulle strade; viene utilizzata per la bonifica dei terreni ed è ampiamente richiesta per la produzione di vetro e per il fracking, nel quale fa parte della miscela iniettata sottoterra per fratturare i depositi di scisto e rilasciare gas naturale o petrolio. Anche diversi componenti dell’elettronica contengono sabbia.
Secondo l’OCSE, l’uso di sabbia, ghiaia e pietrisco da parte dell’industria delle costruzioni supera il consumo globale totale di tutti i combustibili fossili e i metalli combinati, se misurato in peso. Si prevede che nei prossimi quattro decenni la domanda di questi materiali quasi raddoppierà per soddisfare la crescente popolazione mondiale. E nella corsa verso la ripresa economica messa in moto dal post-pandemia, le cose non possono che peggiorare.
“A partire da ora, vedremo i Governi iniettare molti fondi nelle infrastrutture per rilanciare l’economia, e questo innescherà una grande domanda di sabbia e ghiaia”, ha affermato Pascal Peduzzi, dell’UNEP.
Basta prendere ad esempio il caso Cina, il più grande consumatore di sabbia al mondo, la cui domanda rappresenta il 58% di quella globale. Pechino ha fatto affidamento sulle industrie e sulla spesa per le infrastrutture per stimolare la ripresa post-Covid. Il richiamo di grandi profitti nell’estrazione della sabbia sta alimentando una rete criminale che ricorre a schemi elaborati per nascondere le attività di scavo. Spesso queste avvengono di notte utilizzando imbarcazioni il cui apparato di dragaggio è nascosto. Un giro di vite delle autorità cinesi sul prelevamento illegale di sabbia sul fiume Yangtze ha svelato quest’anno decine di bande che coinvolgono più di 200 persone e un business da 17 milioni di Rmb (2,6 milioni di dollari).
Secondo l’ONU, la nazione asiatica ha utilizzato più sabbia per la produzione di calcestruzzo tra il 2011 e il 2014 che gli Stati Uniti durante tutto il XX secolo. La portata del problema può essere meglio valutata se si considera il fatto che ogni tonnellata di cemento richiede da sei a sette tonnellate di sabbia e ghiaia per fare il calcestruzzo. Stando a US Geological Survey, ogni anno a livello globale vengono prodotti 4,1 miliardi di tonnellate di cemento. Ciò implica che l’industria delle costruzioni potrebbe utilizzare più di 40 miliardi di tonnellate di sabbia annuali. Solo nel 2018, Cina e India hanno rappresentato oltre il 60% della produzione mondiale di cemento.
L’impatto sull’ambiente di tale massiccio sfruttamento è ormai provato. L‘intensa estrazione della sabbia e della ghiaia sta provocando danni soprattutto agli ecosistemi di laghi e fiumi, considerato che proprio il materiale depositato nei loro fondali è preferito per i diversi usi industriali. I granelli degli spazi marini e delle distese desertiche, infatti, sono valutati troppo tondeggianti – poiché modellati dal vento – e quindi poco adatti per essere sfruttati nei settori industriali ed edile.
Tra le dirette conseguenze di questa attività estrattiva si annoverano la perdita di terreno attraverso l’erosione fluviale o costiera, l’abbassamento dei livelli delle acque, la diminuzione della quantità e della qualità di sedimenti, la distruzione di flora e fauna. Ad esempio, l’estrazione mineraria nel lago Poyang, in Cina – il più grande sito di estrazione della sabbia al mondo secondo l’ONU – si pensa che abbia abbassato nettamente il livello dell’acqua e favorito periodi di siccità. In questo luogo i minatori hanno estratto 236 milioni di metri cubi di sabbia all’anno in un solo biennio, modificando drasticamente la forma del lago.
Questo forte calo del volume del corpo idrico ha costretto i pescatori a trovare altri lavori, oltre a limitare l’acqua disponibile per l’agricoltura sia intorno al lago che a valle e a impedire in alcuni tratti il trasporto marittimo. La perdita di zone umide ha impatti negativi su molte specie animali, che le utilizzano come parte di percorsi migratori annuali. Di particolare preoccupazione è l’effetto sulla gru siberiana in via di estinzione, che frequenta assiduamente le zone umide del lago Poyang.
Altrettanto preoccupante è la situazione del fiume Mekong in Vietnam e Cambogia. Ogni anno dal corso inferiore del fiume vengono estratte circa 55 milioni di tonnellate di sabbia, quasi il doppio di quella immessa a monte. Lo Stockholm Environment Institute ha concluso che l’estrazione mineraria ha abbassato il livello del fiume di oltre 3 piedi, contribuendo sia all’erosione costiera che all’invasione di acqua salata nel delta, mettendo a rischio le risaie. Gran parte della sabbia estratta, tra l’altro, veniva utilizzata per difendere la costa e proteggere il delta dalle alluvioni. Lo scavo selvaggio di tale risorsa mina anche l’attività della pesca nel fiume Mekong, che offre sostentamento a circa 60 milioni di persone.
Grave è anche la situazione in India. Qui ormai la domanda di sabbia supera l’offerta, con le risorse idriche di molti grandi fiumi esaurite. La sabbia estratta nello Stato del Kerala potrebbe aver raggiunto i 60 milioni di tonnellate, fino a toccare quota 1.430 milioni a livello nazionale nel 2020. Gli impatti associati al mining di sabbia in India comprendono la perdita di biodiversità di pesci, tartarughe e uccelli e l’abbassamento dei livelli delle falde acquifere, facendo così diminuire la già poca acqua disponibile da bere (perché potabile) e quella destinata all’irrigazione per importanti aree risicole.
Entro il 2050, se l’estrazione di sabbia persiste, la risorsa idrica utilizzabile del fiume Pampa diminuirà di 2.537 metri cubi, quella nell’Achankovil di 459 metri cubi e il fiume Manimala ne perderà 398 metri cubi (tutti e tre sono corsi d’acqua che si trovano nel Kerala). Ciò costituisce un serio problema per uno Stato che ha già visto i cambiamenti climatici incidere negativamente sulla quantità di acqua disponibile.
Emblematico è il caso di Singapore, Stato insulare che è cresciuto a livello territoriale del 25% dalla sua indipendenza nel 1965, in gran parte grazie all’aggressiva bonifica dei terreni. Vista la conformazione geologica del Paese, con scarsa disponibilità di sabbia, l’importazione di questa materia prima è diventata vitale per l’isola e continua in modo massiccio.
La Malesia, precedentemente la più grande fonte di sabbia per Singapore, nel 2018 ha introdotto un divieto assoluto sull’esportazione di questa risorsa e ha imposto controlli più severi sulla sabbia fluviale, utilizzata principalmente nelle costruzioni. La Cambogia ha fatto una mossa simile nel 2017, considerando che precedentemente l’estrazione della sabbia avveniva anche nei parchi nazionali e nelle zone umide riconosciute a livello internazionale. Il processo, innescato proprio per vendere il materiale a Singapore, stava distruggendo mangrovie ed erbe marine che ospitavano delfini, tartarughe verdi e alcune specie di lontre rare.
Stessa decisione da parte dell’Indonesia, che ha vietato le esportazioni a Singapore nel 2007, provocando una “crisi della sabbia” che ha quasi fermato l’attività edilizia. In realtà, non si esclude che da questi Paesi il traffico si mantenga attivo per vie illegali. Intanto, però, l’isola affamata di sabbia è andata alla ricerca di nuovi venditori e ora è il Myanmar uno dei principali esportatori di sabbia verso Singapore. Con evidenti conseguenze ambientali: gli agricoltori stanno perdendo i loro terreni coltivabili a causa del massiccio dragaggio. L’erosione degli argini lungo il fiume Salween accelera, come ha testimoniato l’agricoltore Than Zaw Oo indicando una distesa d’acqua marrone che, secondo lui, una volta era piena di risaie. Ora il contadino è indebitato dopo aver preso in prestito più di 2.600 dollari per garantire degli argini nel tentativo di tenere a bada l’erosione.
Quasi 1 milione di tonnellate di sabbia sono passate dal Myanmar a Singapore nel 2018, per un valore di 6 milioni di dollari, secondo i più recenti dati delle Nazioni Unite sul commercio.
E poi c’è l’Africa. Imprenditori criminali stanno attingendo alle vaste riserve di sabbia dell’Uganda, sfruttando un settore che è in gran parte non regolamentato dal Governo. L’estrazione illegale, in particolare intorno al lago Vittoria, sta destabilizzando l’ecologia sensibile dell’area, alterando le attività rurali locali, compresa la pesca e l’agricoltura.
In Marocco, metà della sabbia estratta proviene da scavi illegali, con evidenti segnali di erosione costiera. Molte spiagge stanno scomparendo e non saranno più disponibili per una delle attività principali dell’economia locale: il turismo.
Stessa sorte sta toccando il Ghana, dove l’estrazione illegale di sabbia è una minaccia diretta per il turismo costiero nella regione centrale. Inoltre, l’attività ha avuto vari impatti sociali e ambientali come evidenziato in diverse aree tra cui Cape Coast ed Elmina, la spiaggia di sabbia a Moree e Biriwa, dove la sabbia che fungeva da meccanismo di difesa contro la forte marea è stata rimossa dai minatori illegali.
In Zimbabwe, la povertà ha spinto molte persone a dedicarsi all’estrazione illegale di sabbia da fiumi, campi e persino dalle strade. Il materiale ricavato dagli scavi viene venduto all’industria edile, ma il processo lascia dietro di sé buchi profondi che creano problemi ambientali.
Le strade diventano spesso inaccessibili, mentre alcune buche delle dimensioni di piscine raccolgono acqua piovana e si trasformano in enormi terreni di riproduzione per le zanzare. Questa pratica rappresenta anche un pericolo per gli agricoltori che non sanno più dove portare il bestiame. Una piaga ambientale conosciuta, ma sopraffatta da quella del bisogno di guadagnare per sopravvivere.
Questi sono soltanto alcuni esempi del degrado che lo sfruttamento della sabbia sta provocando. Scienziati ed esperti concordano nel prospettare un disastro ambientale e sociale grave se non si trovano soluzioni alternative. Che, in realtà, ci sono: utilizzare i fondi di sabbia dei serbatoi; riciclare le macerie degli edifici invece di utilizzare nuovo cemento; sostituire la sabbia con cenere degli inceneritori o polveri delle cave di pietra per fare il calcestruzzo. Ma la sabbia è, in apparenza, tanta ed economica. Probabilmente il suo sfruttamento non è affatto arrivato al capolinea.