Era il 3 gennaio 1998, l’inverno gelava Roma e rendeva San Pietro più austera e maestosa di sempre. Si dice che il freddo entri nelle ossa, più o meno come accade per le ferite, quelle non fisiche che restano nel cuore e nella mente. Quel giorno, il poeta e scrittore omosessuale Alfredo Ormando si uccide in Vaticano dandosi fuoco per protesta contro le gerarchie ecclesiali. Ormando ha lasciato lettere esplicite sul suo intento, era stato rifiutato dalla famiglia, ma anche dal seminario francescano presso il quale si era trasferito. Da quella volta, il 13 gennaio è divenuta la giornata del dialogo tra “religione e omosessualità”.
Già 18 anni prima, a Palermo, era nata Arcigay, a seguito della barbara uccisione dei due giovani omosessuali Giorgio e Antonio – detti gli ‘ziti’ (i fidanzati) – nella cittadina di Giarre a Catania. Tra i promotori della neo-nata organizzazione figurava il sacerdote omosessuale Don Marco Bisceglia, un “prete attivista” e strenuo sostenitore della teologia della liberazione.
Se con uno sguardo a volo d’uccello guardassimo alla storia e alle istituzioni religiose sarebbe facile sentenziare che queste hanno da sempre contrastato l’unione delle persone dello stesso sesso, su un piano etico (?) più o meno consapevole e articolato, riferendosi a scritture antiche o dogmi ben più recenti.
L'”apertura” di Papa Francesco – dello scorso ottobre 2020 – costituisce un segno importante, seppur non risolutivo, che intende tracciare il solco, la direzione per affrontare con serietà la questione del rapporto tra gli omosessuali, la religione e la Chiesa sebbene soltanto una parte degli ambienti ecclesiali sia disposta ad appoggiare una linea dialogante.
Quel che non sfugge, però, è che le religioni sono un fenomeno, una pratica cui molti uomini e molte donne hanno attinto e hanno affidato la propria interiorità. Le persone sentono il bisogno di curare la propria spiritualità e coltivare speranze, convinzioni sulla “vita dopo la morte”. Questa non può che essere – evidentemente – anche un’esigenza e un richiamo di molte persone omosessuali. Inoltre, c’è da dire che l’omosessualità non è stata considerata in ogni tempo e in ogni luogo allo stesso modo: in epoca greco-romana sono note le esperienze omosessuali di imperatori, regine, guerrieri, poeti e poetesse nonché della popolazione più “semplice” come – oltre alle ricerche – testimoniano le splendide immagini della maestosa Pompei.
Tentando un elenco di ‘notabili’ che non rende giustizia alla complessità delle società antiche, possiamo ricordare il celeberrimo amore di Achille e Patroclo, le relazioni tra Platone e i suoi discepoli, ricordiamo la poetessa Saffo nativa dell’isola di Lesbo, l’appassionante relazione tra l’imperatore Adriano e Antinoo, Alessandro Magno ed Efestione. Non si tratta solo di “autorevoli eccezioni alla regola” ma di comportamenti sessuali che erano diffusi nella popolazione. Decisamente scontato, insomma, ribadire che l’omosessualità esiste da quando esistono l’uomo e la donna, a dispetto di una linea di ‘pensiero’ minoritaria che ritiene l’omosessualità ‘una tendenza alla moda’. Semmai è la considerazione sociale che cambia a seconda del tempo e del luogo.
Si sarebbe allora tentati di tracciare un confine sommario tra il politeismo delle religioni pubbliche pagane e i monoteismi sorti successivamente, ma ciò significherebbe adoperare un taglio semplicistico alla questione.
In tempi contemporanei c’è chi preme per adoperare una tale semplificazione tra le “società laiche occidentali” e l'”opprimente Islam”, ma compirebbe lo stesso errore, se non addirittura più grossolano.
Ludovic Mohamed Zahled non è ‘solo’ un Imam omosessuale algerino ma è anche noto per aver fondato, a Parigi, una moschea inclusiva per persone gay, lesbische e transessuali.
Ha raccontato la sua storia per Il Grande Colibrì usando queste parole:
“[…] Mi devo adattare a una Francia sempre più in preda a rappresentazioni razziste e islamofobiche. Intanto inizio a studiare psicologia all’università per capire come ho fatto a rinnegare una parte così importante della mia identità, come la sessualità e l’amore. All’inizio del mio processo di riadattamento in Francia, passo due anni a combattere contro me stesso, contro la mia spiritualità, contro la mia sessualità. Sono ad un passo dal suicidio e dalla depressione. Ed allora mi dico: “Devi abbandonare la tua spiritualità, perché non potrai conciliarla con la tua sessualità”.
Islam non è sinonimo di islamofascismo, provare per credere, anzi leggere e studiare per sapere. Anche in Italia qualcosa si sta ‘muovendo’ come il progetto di media attivismo MOI Musulmani omosessuali in Italia.
Cécile Maurette vive a Padova, crede e professa la religione cattolico-romana e frequenta la chiesa. L’abbiamo contattata tramite il gruppo Emmanuele “persone omosessuali credenti di Padova” che aderisce al progetto Gionata e ci ha concesso un’intervista per comprendere meglio la sua esperienza di vita:
All’inizio del mio percorso come attivista LGBT, ho fatto fatica a trovare altre persone che condividevano con me sia l’appartenere a questa comunità, che a quella cristiana. Sapevo dell’esistenza di vari gruppi, soprattutto in Francia, e più tardi del Progetto italiano Gionata. Conoscevo solo un altro ragazzo della mia età che frequentava la parrocchia e il gruppo giovani con me, e anche l’associazione LGBT di cui facevo parte.
Con il tempo, ho conosciuto tante altre persone e sono entrata a fare parte in modo più attivo della comunità italiana dei cristiani LGBT.
Le esperienze avute con loro sono molto varie. Si va da chi non accetta il proprio orientamento sessuale per via della propria esperienza religiosa a chi dubita di poter continuare un cammino di fede perché vive apertamente la sua omosessualità. Tra questi due estremi, troviamo tutte le persone che vivono entrambe queste caratteristiche con serenità e che cercano di trovarvi un senso in modo da poter aiutare le/gli atre/i.
Fernando Vasco Chironda è invece un attivista italo-mozambicano, vive a Bruxelles dove, per i Verdi Europei, è Advocacy campaigner della piattaforma “Tilt”. In Italia si è occupato di temi LGBT per Amnesty International. Ci ha dato una testimonianza della sua esperienza:
Qualche anno fa, quando lavoravo per Amnesty International organizzavo dei tour di 15 giorni sui diritti umani delle persone Lgbti in Europa; invitavamo persone Lgbti da diversi Paesi del mondo in eventi istituzionali e non. In uno dei tour hanno partecipato tre persone provenienti da Turchia, Uganda e Russia. Un giorno mentre chiacchieravamo del più e del meno durante la cena, il ragazzo russo ha detto qualcosa tipo “grazie a Dio” per una questione su cui stavamo dibattendo, così gli ho chiesto allora “credi in Dio?” lui mi ha risposto che il problema non era se lui avesse o meno la fede in Dio (tra l’altro in quel momento ha tirato fuori la sua collana con il crocifisso per farci capire quanto lui ci credesse) ma come questo Dio veniva comodamente usato e trasformato per fare le comodità della religione lasciando fuori le persone “sgradite”. Ci ha detto che la fede non ha nulla a che vedere con tutto questo perché non giudica, anzi! É proprio la fede che ti fa comprendere il valore dell’umanità e che ti fa avvicinare/accogliere le persone più fragili, bisognose o escluse.
In merito alla situazione dei credenti omosessuali in Africa e tra le popolazioni africane ha detto: “In contesti come l’Africa la questione omosessualità è un vero tabù sociale. È un problema irradiato nella cultura dominante, spesso patriarcale, e alimentato da leggi infami che arrivano addirittura a infliggere condanne a morte alle persone LGBT, ma anche dalla stessa religione che continua a essere chiusa in sé stessa. Dal punto di vista sociale e culturale, l’omosessualità spesso è vista come una vera e proprio maledizione di Dio e degli spiriti degli antenati che, per qualche infondata ragione, vuole condannare i genitori o la famiglia della persone LGBT. Lo stesso accade quando una famiglia ha un figlio albino, per intenderci. Questo tipo di credo prosegue ormai da secoli. Sradicare queste credenze non è una cosa facile e le persone LGBT per non rischiare il “linciaggio” sociale e la totale esclusione dalla società in cui vivono, finiscono per essere inesistenti, vivono nel totale silenzio. I Governi fanno poco o nulla per cambiare la situazione, un po’ per paura di perdere la loro popolarità, un po’ perché gli fa comodo usare la tematica “gay” per crescere la loro posizione politica.
A mio avviso, in un contesto così, si aprono due ordini di problemi: da una parte se le persone Lgbti sono costrette a vivere nel buio del silenzio per paura dello stigma sociale (ricordiamo ad esempio che in Africa la vita ordinaria si svolge nella comunità in cui si vive, e se non ne fai parte sei completamente tagliato fuori), non riusciranno mai a rompere quel circolo di pregiudizi perché l’unico modo per farlo è essere riconosciuti (anche solo per accettazione) in quanto persone.
Così come avvenuto in Europa negli anni ‘60 quando le persone LGBT hanno cominciato a uscire allo scoperto sfidando le stesse credenze culturali dell’epoca. D’altra parte pero’, si pone anche il problema di quando queste persone riescono a scappare dai loro Paesi verso l’Europa dove, da una parte sono costrette a dimostrare l’esistenza della loro omosessualità (tra l’altro non ho mai capito come si fa a dimostrare questo), e dall’altra l’esistenza dell’imminente pericolo di vita talvolta non dimostrabile perché magari nel Paese da cui provengono non ci sono leggi che esplicitamente considerano l’omosessualità un reato, anche se di fatto vi sono una forte condanna ed esclusione sociale. Questo meccanismo lascia molto spesso i migranti Lgbti nel limbo e alimenta le stesse logiche discriminatorie dei Paesi da dove provengono...
Ci spiega Cécile: “Sono arrivata nel mio cammino di fede a considerare la mia omosessualità come un dono di Dio. In effetti, scoprirmi lesbica mi ha portata a farmi moltissime domande sulla mia religione e la mia fede. Cercando le risposte a queste domande, la mia fede è diventata più profonda, più matura, più vera. E non so quanto avrei approfondito se non avessi dovuto farlo.
Spero che arriverà il momento in cui la mia Chiesa, e anche altre Chiese cristiane, si sentiranno in dovere di chiedere scusa alle persone LGBT che hanno subito discriminazioni, violenze fisiche e psichiche, ed emarginazione per colpa delle loro posizioni passate e attuali. E magari di chiedere anche scusa a Dio di essere stata la causa dell’allontanamento dalla fede da parte di numerose persone LGBT”.
Sono invece del primo dicembre 1998, le parole di un parroco combattente, una figura chiave della Chiesa e della non chiesa di quegli anni, Don Leandro Rossi, fondatore della Cooperativa Famiglia Nuova, che in un articolo per il periodico della Pro Civitate Christiana Assisi scrisse tonante:
“C’è chi dice che questo problema non ha soluzione oggi. Ma solo le montagne stanno ferme. Ci sono segni di piccoli cambiamenti nella Chiesa. Anche questi gay sono Chiesa. Alcuni di loro ci dicono qui che si appellano a due principi indiscutibili: il principio della coscienza (certa, anche se fosse erronea, ci dicono i teologi) e il principio dell’Amore («se ami davvero puoi fare quello che vuoi», diceva S. Agostino). Andrea cita Luca 12, 54-57 ove si parla dei «segni dei tempi» e dice: «Ipocriti… come mai non sapete discernere questo tempo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”.