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Navi quarantena, sistema discriminatorio e contrario alla salute

[Di Alessandro Luparello e Tiziana Carmelitano]

Foto di Mohamed Aly da Pixabay – Licenza CC con attribuzione

Come noto, in Italia l’immigrazione è da sempre gestita con modalità di tipo emergenziale quasi non si trattasse di un fenomeno strutturale che richiede soluzioni adeguate, programmate e di lungo periodo.

La pandemia da Covid-19 non ha certo migliorato la situazione. Anzi. Le istituzioni italiane hanno adottato misure al limite della legittimità giuridica, che definire “creative” è a dir poco eufemistico.

Con il decreto interministeriale n. 150, del 7 aprile scorso, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti in concerto con altri tre ministri, ha infatti dichiarato il nostro Paese “porto non sicuro” per l’intero periodo dell’emergenza sanitaria nazionale. Il provvedimento colpisce però “solo” le navi soccorritrici battenti bandiera straniera, bloccando di fatto le operazioni di salvataggio di esseri umani fuori dalle nostre acque SAR.

Mentre il 12 aprile, il Dipartimento della Protezione Civile con decreto 1287 ha previsto la possibilità di “utilizzare navi [civili] per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria per “le persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi”. In realtà, sulle navi quarantena – ad oggi cinque: Azzurra, Allegra, La Suprema, Rhapsody, Adriatico – sono stati “ospitati”, oltre ai migranti (positivi e negativi) appena sbarcati sulle coste italiane, anche richiedenti asilo già presenti sul nostro territorio nonché individui titolari di protezione internazionale risultati positivi al coronavirus.

Le navi quarantena hanno da subito suscitato l’indignazione di una parte della società civile e la reazione delle associazioni a tutela dei diritti umani, che ne hanno rilevato il carattere discriminatorio, evidenziando peraltro la loro scarsa efficacia ai fini della tutela della salute pubblica.

La stessa Dunja Mijatović – Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa – durante un’intervista a The New Humanitarian ha sottolineato come “l’uso di queste navi sollevi una serie di preoccupazioni in ordine alla protezione dei diritti umani. Aggiungendo: “occorre prontamente identificare ed evacuare a terra le persone vulnerabili – in particolare bambini, donne e soggetti con condizioni mediche di base”, fermo restando che a tutti i migranti “deve essere garantito l’accesso tempestivo all’assistenza sanitaria, alle informazioni sui propri diritti, alle procedure per richiedere asilo”.

All’interno di questo contesto, va collocata la recente iniziativa di un gruppo di attivisti di Palermo appartenenti a diverse realtà del terzo settore: Forum Antirazzista Palermo, CISS/Cooperazione Internazionale Sud Sud, Borderline Sicilia. Il loro impegno ha portato alla costruzione di una significativa rete – formata da associazioni, ONG, istituzioni locali, nazionali e internazionali – che il 10 dicembre scorso ha presentato il documento “Criticità del sistema naviquarantena per persone migranti: analisi e richieste“, con cui è stato chiesto in modo esplicito alle competenti autorità italiane di “dismettere le navi quarantena e reinvestire la cospicua somma di denaro utilizzata in questa misura per adeguare centri di accoglienza a terra” dove “le persone possano svolgere, nel rispetto di tutti i propri diritti, il dovuto periodo di isolamento”.

Voci Globali ha anzitutto sottoscritto con ferma convinzione il documento in questione. E per meglio approfondire le problematiche tanto giuridiche che sanitarie poste dall’uso di dette navi in relazione alla tutela dei diritti fondamentali dei migranti, ha incontrato due degli aderenti al report: l‘avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, Direttore di A-DiF e la dottoressa Claudia Lodesani, presidente di Medici senza Frontiere Italia.

Avvocato Vassallo Paleologo, partiamo dal presupposto che le condizioni di vita dei migranti nei centri di accoglienza e soprattutto negli hotspot non sono mai state ottimali. Anzi, da più parti sono stati denunciati abusi. In che modo il trattenimento dei migranti sulle navi quarantena risulterebbe peggiorativo della loro “consueta” situazione? E quali violazioni “aggiuntive” dei diritti umani potrebbero andarsi a configurare?

Già ad aprile dello scorso anno, il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale esprimeva preoccupazione sulla effettiva garanzia dei diritti fondamentali dei migranti trattenuti a bordo di queste navi, dove si pratica nella sostanza una nuova forma di trattenimento amministrativo.

Dunque, una privazione della libertà delle persone, che dopo essere state soccorse nel Mediterraneo centrale non vengono fatte sbarcare a terra, in netta contraddizione con quanto dettato dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n. 286 del 1998.

L’utilizzo delle navi quarantena, al di là delle conclamate esigenze di tutelare la salute pubblica, rispondeva anche all’oggettiva mancanza di posti negli hotspot e nei centri di prima accoglienza – parte di un sistema destrutturato dai decreti sicurezza – nonché ai rischi sempre più diffusi di fuga delle persone appena sbarcate a terra. Persone che si tentava quindi di “contenere” in strutture volte ad assolvere – seppur prive del carattere formale e delle garanzie giurisdizionali proprie dei centri di detenzione – alla funzione di luoghi di trattenimento per i soggetti destinati a ricevere un provvedimento di respingimento differito ovvero sottoposti a una procedura di accompagnamento forzato nei Paesi di origine.

Dottoressa Lodesani, un migrante – presumibilmente vittima di abusi e violenze nel corso del suo viaggio, traumatizzato dal trattenimento nei centri libici e dall’attraversamento del Mediterraneo centrale – quali necessità sanitarie e psicologiche potrebbe avere? E soprattutto la permanenza sulle navi quarantena anziché in strutture a terra in che modo ostacolerebbe la soddisfazione di tali necessità?

L’isolamento forzato di persone spesso già provate da viaggi traumatici e sofferenze di vario genere ha un forte impatto sulla loro salute tanto fisica che mentale. Non caso, tali individui possono spingersi anche a compiere atti di autolesionismo o a tentare il suicidio. In altre parole, l’isolamento forzato interviene a perpetuare il dolore psicologico e a peggiorare eventuali condizioni mediche pregresse. Il caso di Abou, morto in un ospedale di Palermo dopo la quarantena sulla nave Allegra ne è una prova lampante.

Peraltro, l’elevato numero di persone a bordo rende assai difficoltosa l’individuazione dei cosiddetti “soggetti vulnerabili”. A seguito dello smantellamento del soccorso in mare, infatti, il sistema di identificazione dei “vulnerabili” è diventato praticamente inesistente. Quindi, per tali soggetti le prime settimane successive all’arrivo, tra naviquarantena e hub di prima accoglienza, potrebbero risultare pesanti al limite del sostenibile.

A proposito di “soggetti vulnerabili”, un tema in rilievo è quello dei minori non accompagnati. Tanto le norme europee che la Legge Zampa prevedono percorsi privilegiati in materia di asilo proprio in ragione della loro particolare vulnerabilità. Eppure, solo dopo la morte del diciassettenne somalo Abdallah e del quindicenne ivoriano Abou – grazie all’intervento di diverse associazioni siciliane e dello stesso Garante per l’infanzia – il Viminale pare abbia dato indicazioni di fare trascorrere ai minori la quarantena a terra. Avvoccato Vassallo Paleologo, esistono evidenze ovvero provvedimenti formali tesi a confermare l’effettiva assenza di minori sulle navi quarantena? E soprattutto, nelle more dell’isolamento sanitario (a prescindere dal luogo in cui viene effettuato), vengono rispettate le garanzie previste dalla legge?

Dopo i menzionati tragici decessi di Abdallah e Abou, non si hanno notizie del trattenimento di minori a bordo di queste navi. Non può però escludersi del tutto la loro presenza, tenendo con del fatto che tra i migranti soccorsi dalle ONG di solito vi sono anche minori.

Pertanto, risulterebbe verosimile ritenere che sulle navi quarantena ancora oggi possano essere violate numerose disposizioni della legge Zampa. Soprattutto in ordine alle garanzie per l’accertamento della minore età (con la relativa presunzione di due anni) nonché alla nomina tempestiva (3 giorni) del tutore legale.

Va detto che il ministero dell’Interno continua a rassicurare sullo sbarco immediato dei minori non accompagnati. Ma la segretezza delle procedure, neppure si trattasse di un segreto militare, rendono impossibili verifiche oggettive.

Dottoressa Lodesani, l’utilizzo di queste navi in che forma e misura interviene allora a proteggere davvero il diritto alla salute dei migranti? Viene il sospetto che sia l’ennesimo tentativo di far prevalere una visione securitaria per la gestione del fenomeno migratorio.

La scelta del Governo di puntare sulle navi quarantena non costituisce una valida soluzione per il Covid-19. Esiste, infatti, l’altissimo il rischio di creare focolai che si auto-mantengono a bordo delle navi. Diversi articoli scientifici documentano evidenze in tal senso.

Inoltre, le navi quarantena, rappresentano l’ennesima risposta emergenziale a un fenomeno che invece va affrontato in maniera programmata. Senz’altro una misura visibile, ma non certo la più sicura e dignitosa. Mettere insieme individui che risultano positivi al Covid-19 dopo lo sbarco con altri negativi è un pericoloso azzardo dal punto di vista del controllo della trasmissione dell’infezione, soprattutto quando le persone a bordo delle navi sono tante.

In uno dei suddetti articoli, ad esempio, è stato analizzato il propagarsi dell’infezione da Covid, a marzo scorso, sulla Princesse Diamond, dimostrando chiaramente come risulti di gran lunga più efficace il controllo della trasmissione quando gli individui vengono fatti sbarcare e isolati a terra in piccoli gruppi e in luoghi idonei. In questo momento, il numero delle persone in accoglienza sul territorio italiano è ai minimi storici. Di conseguenza, un isolamento preventivo a terra è fattibile oltre che auspicabile.

Avvocato Vassallo Paleologo, sappiamo assai poco di quel che accade sulle navi quarantena. Ci conferma che non esistono dati certi sul numero di migranti presenti a bordo, sul loro genere, sulla loro età e provenienza? È vero che non si sa quanti medici e infermieri operino all’interno delle navi ovvero quale sia la loro specializzazione? Lo stesso discorso vale per i mediatori culturali? E infine, le risulta che non si conosce neppure il tipo di strumentazione medica presente sulle navi, il numero dei tamponi eseguiti ogni giorno e l’esito degli stessi?

Non dispongo di dati relativi alle presenze di migranti sulle navi quarantena, né sul numero di quanti hanno avuto accesso alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale o di altre forme di protezione.

Le autorità di governo si limitano a diffondere informazioni sintetiche immediatamente comprensibili. Forse temono che possano diventare armi in mano alla propaganda delle destre. Senza rendersi conto che in questo modo alimentano ogni sorta di fake news e di attacco indiscriminato contro i migranti.

Occorre finirla con la censura totale che circonda oggi gli sbarchi e il sistema di prima accoglienza, coprendo ogni sorta di responsabilità. Difficile attendersi da questo Parlamento e dal Governo una revisione profonda delle politiche di contenimento dell’emergenza sanitaria, che tutelino i diritti fondamentali dei migranti comunque riconosciuti dalla legge (art. 2 del testo unico sull’immigrazione n. 286 del 1998).

Riguardo al “diritto di asilo”, questo ha natura inderogabile. La Convenzione di Ginevra non prevede, infatti, alcuna eccezione alle garanzie in essa contenute in nessuna circostanza. Le domando quindi, avvocato Vassallo Paleologo: l’Italia sta agendo in conformità alla normativa internazionale? Oppure il “soggiorno” dei migranti sulle navi quarantena costituisce un’infrazione del loro diritto a richiedere asilo?

Se il periodo di quarantena dura soltanto 14 giorni non si ravvisano immediate lesioni del diritto di accesso alla protezione internazionale. Lesione che può invece verificarsi nelle ipotesi in cui le questure – durante i 14 giorni di quarantena – adottano provvedimenti di respingimento “differito” con l’ordine di allontanarsi dal territorio, o peggio decreti di trattenimento in un Centro per i rimpatri (CPR).

A bordo delle navi manca comunque la necessaria mediazione linguistico-culturale per tutti i migranti e non si hanno notizie certe sull’assolvimento dei doveri di informazione circa il loro status legale.

Comunque anche le persone raggiunte da un provvedimento di respingimento differito possono presentare una richiesta di protezione internazionale. Molti migranti, in questi casi, tuttavia decidono di trasferirsi in altri Paesi europei, magari contando sulle falle del sistema Dublino, che l’Unione Europea non è ancora riuscita a modificare a causa dei voti contrari dei partiti di destra.

In conclusione avvocato Vassallo Paleologo, vuole esporre brevemente le ragioni per cui ritiene insufficienti, fallaci o inconsistenti le motivazioni addotte dalle autorità istituzionali per la creazione e l’implementazione del meccanismo delle navi quarantena?

Nel momento in cui è stato emanato il decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n. 1287 del 12 aprile 2020, è apparso subito evidente che il Governo – al di là delle richieste avanzate dai presidenti di Regione Calabria, Sardegna, Sicilia – stava tendando di risolvere con la “quarantena in mare” i problemi derivanti dalla mancata indicazione di un “porto sicuro” di sbarco alle navi delle ONG.

Ipocrisia e reticenza continuano purtroppo a caratterizzare l’operato dell’attuale Governo, ancora arroccato sulla tesi tanto cara alla ministro Lamorgese, secondo cui la competenza dei soccorsi e degli sbarchi spetterebbe ai Paesi di bandiera (flag State) delle navi soccorritrici.

Una posizione che – insieme al riconoscimento di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) interamente affidata alla sedicente Guardia costiera libica e all’imposizione per le ONG di rivolgersi alle autorità “competenti” al fine di chiedere il coordinamento dei soccorsi – esprime una linea di continuità, seppure con forme molto diverse, tra i ministri che si sono succeduti al Viminale, dove peraltro sono rimasti immutati i livelli dirigenziali più alti.

A mio avviso, occorre revocare i fermi amministrativi delle navi umanitarie, ripristinare il sistema di accoglienza a terra riportandolo alle dimensioni ante decreti Salvini. E superare così la prassi costosa e inefficace delle navi quarantena.

 

Alessandro Luparello

Attivista per i diritti umani. Collabora con diverse realtà territoriali palermitane.

 

 

Tiziana Carmelitano

Autrice freelance, si occupa in particolare di temi globali nonché di violazioni dei diritti umani in contesti conflittuali, post-conflittuali e in situazioni di “Failed States”. Con un occhio di riguardo per donne, bambini e giustizia transitoria. Il tutto in chiave prevalentemente giuridica. Convinta che la buona informazione abbia un ruolo decisivo nell’educazione al rispetto dei diritti fondamentali e delle diversità.

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