Sono passati cinque anni da quando Alan Kurdi ha perso la vita al largo delle coste turche, diventando il tragico simbolo della ‘crisi dei rifugiati’. I leader europei sono stati tra i primi a dire: ‘mai più’. Tuttavia, da allora hanno solo reso le rotte più difficili e pericolose (…). Il modo in cui l’Europa ha trattato i bambini più vulnerabili nel momento del bisogno è inaccettabile
Anita Bay Bundegaard, Direttore di Save the Children Europa, ha così introdotto il report “Protection beyond reach“, pubblicato dall’ONG l’1 settembre scorso.
Il documento rappresenta una rinnovata denuncia delle condizioni cui sono costretti a vivere molti giovani migranti una volta giunti sul territorio di uno Stato europeo. Dal 2015 a oggi, oltre 200.000 minori stranieri non accompagnati “in fuga da conflitti, persecuzioni o violenze” hanno chiesto asilo in Europa. Molti di loro, a volte di età inferiore ai 12 anni, sono stati però lasciati a destini incerti privi di qualsivoglia sicurezza e protezione. E di conseguenza, a rischio sfruttamento e abusi.
La normativa europea prevede tutele “speciali” per consentire ai minori non accompagnati (MSNA) l’accesso immediato all’asilo e alla protezione internazionale proprio in ragione della loro “doppia vulnerabilità”, essendo al contempo bambini e migranti con diritti e bisogni specifici. Ciononostante, nella prassi, tanto l’Unione Europea che i suoi Stati membri hanno finito con l’adottare misure sempre più restrittive e pericolose.
Il report di Save the Children offre lo spunto per meglio esaminare l’attuale contesto normativo europeo in materia di MSNA, la sua concreta attuazione e il preoccupante divario esistente tra quanto previsto sulla carta e la realtà dei fatti.
A tal fine, Voci Globali ha incontrato la dottoressa Antonella Inverno, responsabile Politiche Infanzia e Adolescenza presso la sezione italiana dell’ONG.
Dottoressa Inverno, il Regolamento Dublino III del 2013 – oggi oggetto di una possibile revisione in base al Patto su migrazione e asilo – ha rappresentato, almeno sotto il profilo formale, una svolta importante nella disciplina relativa al trattamento dei minori stranieri non accompagnati. Può illustrarci le specifiche misure ivi previste per tutelare questa particolare “categoria” di migranti?
In generale, la riforma del 2013 ha introdotto l’obbligo di considerare sempre l’interesse superiore del minore. Ha previsto, inoltre, più ampie possibilità di ricongiungimento e maggiori garanzie per i minori, soprattutto se non accompagnati.
Più nello specifico, l’art. 6 ricorda che “l’interesse superiore del minore deve costituire un criterio fondamentale nell’attuazione, da parte degli Stati membri, di tutte le procedure previste” dal Regolamento stesso. Nel valutare tale interesse gli Stati devono, quindi, tenere in debita considerazione il ricongiungimento familiare, il benessere e lo sviluppo del minore, la sua sicurezza nonché la sua opinione.
Con riguardo ai minori non accompagnati, viene inoltre disciplinato l’obbligo di nominare un rappresentante legale con accesso a tutti i documenti inerenti al caso del minore, e quello di una formazione specifica per le autorità che trattano i loro casi.
Rispetto al Paese competente, poi, viene ribaltata la prospettiva e favorito il ricongiungimento con i genitori ovvero con altri adulti responsabili in base alla legge o alla prassi dello Stato dove già si trova l’adulto stesso. In altre parole, la competenza a esaminare la richiesta di protezione internazionale del minore spetta al Paese nel quale si trovano legalmente i suoi familiari; mentre, in mancanza di parenti, allo Stato dove il minore non accompagnato ha presentato la domanda di asilo.
C’è però da dire che una scarsa attenzione, la burocrazia lenta e farraginosa spingono i minori non accompagnati a tentare un ricongiungimento di fatto, rischiando di cadere vittime delle reti dei trafficanti.
Guardando a quanto accade, ormai da anni, nei campi di Moria, nei centri di Melilla, nell’hotspot di Lampedusa, la normativa europea non sembrerebbe aver determinato reali benefici per i MSNA. Le loro condizioni di vita continuano, infatti, a essere insostenibili e i loro diritti calpestati. Cos’è – a suo avviso – che non funziona nei sistemi di accoglienza e asilo dei Paesi europei tanto di arrivo che di destinazione?
Negli ultimi anni, il forte aumento dei sentimenti anti-migranti e del populismo di destra radicale ha avuto un profondo effetto su leggi, politiche e prassi. Sono state così adottate misure di controllo e sicurezza che colpiscono in modo sproporzionato i bambini, indipendentemente dal fatto che viaggino da soli o con le loro famiglie. Nel 2019, ad esempio, circa 80 bambini sono morti o sono scomparsi durante le traversate verso l’Europa. E 780 sono rimasti bloccati su navi di soccorso – spesso per più di una settimana in cattive condizioni meteorologiche – prima di poter sbarcare.
L’accordo europeo con la Turchia, il contrasto delle operazioni di ricerca e soccorso in mare nonché il sostegno alla guardia costiera libica hanno ridotto l’accesso alla protezione in Europa per i bambini. Ciò significa che i minori spesso rimangono bloccati in Paesi di transito – come Marocco, Libia, Bosnia Erzegovina e Turchia – dove l’accesso alla protezione internazionale o alla protezione sociale nazionale è limitato ovvero inesistente. Pure quando i minori riescono ad accedere ai sistemi di asilo, a pochissimi di loro viene concesso lo status di rifugiato. Finlandia, Svezia, Norvegia e Germania hanno introdotto nuove restrizioni e molti ricevono solo dei permessi temporanei.
Inoltre, tanto a livello europeo che dei singoli Paesi membri sono state previste nuove misure – tipo le procedure di frontiera – che facilitano la detenzione dei minori.
In Grecia, sia sulle isole sia nelle stazioni di polizia, i bambini possono essere detenuti come “misura di custodia cautelare temporanea“. In Spagna, le nuove strutture di detenzione consentono il trattenimento di fatto dei bambini per 72 ore o più nei punti di sbarco. In Norvegia e Svezia, i minori sono detenuti nell’ambito di procedimenti preliminari all’allontanamento. Ancora in Germania, i centri di accoglienza, decisione e rimpatrio limitano gravemente la libertà di movimento dei bambini. In Italia – sebbene sia vietata la detenzione dei minori per questioni legate allo status migratorio – non mancano le segnalazioni di minori trattenuti in hotspot o in altri centri più del tempo consentito dalla legge.
Anche il ricongiungimento familiare è diventato molto difficile. Gli ostacoli principali includono: scadenze troppo brevi per presentare la domanda; requisiti reddituali molto elevati; metodi costosi per dimostrare le relazioni familiari (come il test del DNA), limitazioni per i titolari di protezione sussidiaria. In Germania addirittura, mentre i genitori possono raggiungere un minore non accompagnato residente nel Paese, i fratelli (minori) sono esclusi da questa possibilità.
Infine, in Paesi come Germania, Svezia, Finlandia e Norvegia, dove i minorenni hanno maggiori probabilità di essere rimpatriati volontariamente o forzatamente, sono state prese pochissime misure concrete per valutare in modo adeguato il loro superiore interesse. Nella maggior parte dei casi, il coinvolgimento dei servizi sociali o delle agenzie di assistenza all’infanzia è risultato minimo o nullo.
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella nota sentenza relativa al caso H. A. e Altri c. Grecia, del 28 febbraio 2019, ha ribadito la necessità di rispettare il principio internazionale del “superiore interesse del bambino” – sancito nella Convenzione di New York del 1989 – nelle procedure di asilo ovvero di rimpatrio dei minori non accompagnati. Come dovrebbe concretarsi il “best interest” nel contesto migratorio?
Quella relativa alla Grecia non è peraltro l’unica sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che interviene in materia di minori non accompagnati, rilevando la violazione di diversi articoli della Convenzione.
La nozione di “superiore interesse del minore” non presenta dei confini netti e delineati – e diversamente non potrebbe essere – dovendo essa adattarsi alle molteplici evenienze del vivere quotidiano. Il Comitato per i Diritti del Fanciullo ha sottolineato come il “superiore interesse del minore” debba essere interpretato alla luce di altri tre principi fondamentali della relativa Convenzione: la non discriminazione, il diritto alla massima sopravvivenza e allo sviluppo, il diritto alla partecipazione. La massima tutela dei diritti del minore si raggiunge quando si riescono a garantire tutti i diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti del fanciullo. Si deve inoltre ritenere che l’interesse del minore attiene alla complessiva sfera del suo “stato di benessere”. Concetto, quest’ultimo, che va a coinvolgere tutti gli aspetti dell’essere: fisico, emotivo, mentale, sociale e spirituale.
È fondamentale comprendere che la valutazione circa l’interesse del minore è assolutamente soggettiva, nel senso che riguarda il singolo minore preso in considerazione, e potrebbe condurre a decisioni diverse per minori diversi pur in presenza di medesime situazioni e circostanze oggettive.
Va, inoltre, rilevato che nella valutazione e decisione circa l’interesse del minore straniero dovranno essere seguite le medesime procedure che ogni singolo ordinamento giuridico prevede per i minori autoctoni, nel rispetto del principio di non discriminazione. Se prendiamo in considerazione l’Italia, sarà il giudice minorile – come fa per i minorenni italiani – a determinare quale tra le diverse strade percorribili da un minore straniero non accompagnato è quella più risponde al suo superiore interesse, dopo aver ascoltato il minore anche nel caso di trasferimenti ai sensi del Regolamento Dublino.
Si registrano casi di buona pratica tra i Paesi europei?
Ad esempio, in tema di relocation, l’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali (European Union Agency for Fundamental Rights – FRA) nel report dell’11 maggio scorso, tra le buone prassi analizzate ha richiamato quella messa in atto da Save the Children Italia nel 2017.
La procedura in questione è stata tarata sulle specifiche esigenze e vulnerabilità del minore e orientata verso la realizzazione del suo superiore interesse. In primis, l’ONG ha fornito – attraverso le proprie unità mobili – ai minorenni in transito a Roma e Milano tutte le informazioni inerenti i loro diritti, compreso quello al trasferimento in un altro Stato membro.
Per evitare loro maggiori rischi, la nostra organizzazione ha inoltre avviato nella capitale, di concerto con la Cooperativa Sociale CivicoZero, un progetto pilota. Si è trattato di una procedura incentrata su un approccio multi-agenzia, che ha previsto il coinvolgimento di tutti gli attori-chiave del sistema di protezione e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. In tutti i casi di valutazione dell’interesse del minore è stato coinvolto un giudice. L’operatività del progetto è stata preceduta e accompagnata progressivamente da un’intensa fase di condivisione e programmazione con le istituzioni a livello nazionale, sotto il coordinamento della Commissione europea, nonché con le principali organizzazioni internazionali e della società civile.
Grazie a questa iniziativa, quasi 90 minorenni non accompagnati richiedenti asilo di origine eritrea hanno avuto la possibilità di spostarsi in modo sicuro e legale in altri Paesi dell’UE senza subire rischi di tratta e altri abusi. Il successo di questa iniziativa la rende una buona prassi replicabile sul piano europeo.
Per quanto riguarda l’Italia, la Legge Zampa del 2017 – accolta dalle istituzioni europee come un modello cui gli altri Stati avrebbero dovuto ispirarsi – è intervenuta a garantire una maggiore protezione ai MSNA. Tre anni dopo la sua entrata in vigore, la normativa ha trovato concreta applicazione?
Auspichiamo che la Legge Zampa possa essere di ispirazione per la costruzione di un sistema di protezione europeo in grado di considerare i minori non accompagnati soprattutto e innanzitutto minori, e non una componente incidentale della gestione delle politiche migratorie.
Però è anche essenziale che l’Italia dia piena esecuzione a questa legge, emanando al più presto i decreti attuativi mancanti e rendendo omogenea la prassi delle istituzioni territoriali, tra cui Questure e Prefetture. È proprio questo che abbiamo chiesti a giugno nel report “Superando le barriere“.
Un investimento sull’integrazione dei minori migranti e un’attenzione specifica al delicato momento del passaggio alla maggiore età dovrebbero guidare tanto le politiche europee quanto quelle nazionali, affinché nessuno, in questo momento cruciale per il nostro continente, sia lasciato indietro.
Per concludere, da quanto fin qui detto, emerge chiaramente come i minori non accompagnati siano più vulnerabili rispetto ai migranti adulti. Quali sono i rischi maggiori a cui vanno incontro lungo il viaggio verso il vecchio continente e una volta giunti sul territorio di uno Stato europeo?
Negli ultimi cinque anni sono scomparse decine di migliaia di minori migranti e richiedenti asilo, un problema che ha allarmato molti politici. Per esperienza, sappiamo che spesso scompaiono perché le procedure di ricongiungimento familiare richiedono troppo tempo. Quindi cercano i loro parenti da soli. Scompaiono perché non si fidano degli agenti di polizia alle frontiere. Si muovono silenziosamente perché non esiste un modo legale per fuggire dai conflitti e dalla violenza. Tutto ciò rafforza le reti di scafisti e trafficanti, a un prezzo elevato per la sicurezza e la protezione dei minorenni.