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Ecoturismo, la pandemia spinge a bracconaggio e tour virtuali

Ecoturismo ai tempi del COVID19. Flickr/Randy Montoya in licenza CC

Avvolto dal silenzio, un gruppo di turisti si ferma, in attesa. Vestiti con abiti mimetici per non infastidire gli animali, trattengono il fiato, con le loro macchine fotografiche pronte a scattare. Siamo in Botswana: stanno aspettando di trovarsi faccia a faccia con un elefante, un ippopotamo, magari un ghepardo. I nostri turisti sono consci che il minimo rumore potrebbe spaventare gli animali e far sfumare la ragione per cui hanno percorso tanti chilometri. Potrebbero però non essere altrettanto consapevoli che con la loro presenza stanno aiutando comunità locali, sia a livello economico sia nella salvaguardia della natura. 

Immergersi nell’ambiente e cercare nuove esperienze, nel rispetto del contesto del paesaggio e della fauna, è diventato da qualche tempo una delle forme di turismo più popolari. Si chiama ecoturismo, e vuol dire coniugare l’attenzione per la natura al viaggio. Una pratica che pare stia coinvolgendo sempre più viaggiatori.

Osservare senza lasciare traccia ne rappresenta l’abc, come sostiene l’architetto e ambientalista messicano Hector Ceballos- Lascurain che nel 1988 ha coniato il termine che indica questa esperienza di scoperta. E che di questa attività ha fatto il suo mestiere di consulente. In questi anni, l’ecoturismo ha avuto anche un altro obiettivo: fare in modo che i bracconieri abbandonassero la caccia e diventassero imprenditori. Il coronavirus, però, ha messo l’intero settore con le spalle al muro.

Con le frontiere chiuse e l’annullamento di tutti gli spostamenti – in qualche caso anche all’interno degli stessi Paesi, l’ecoturismo subisce ripercussioni che vanno al di là di quelle economiche. A farne le conseguenze sono le comunità locali e le riserve naturali, fortemente interconnesse tra loro.

Infatti, coinvolgere le popolazioni locali nella cura e protezione dell’ambiente è un sistema vincente, il cui beneficio ha dato negli anni alcuni frutti. Molte sono le esperienze, più o meno recenti, che lo confermano. Quando i locali iniziano a vedere nella biodiversità un’opportunità di guadagno legata al turismo, si creano nuovi posti di lavoro e la salvaguardia della natura diventa una risorsa.

Due ecoturisti immersi nella natura. Flickr/Álvaro García in licenza CC

La realtà oggi è critica: il Covid-19 sta portando a galla tutte le fragilità di questo settore che, prima della pandemia, poteva contare su numeri in continuo aumento. Solo nel nostro Paese, rilevava nel 2019 un’inchiesta del Touring Club italiano: “nei prossimi dieci anni, la sensibilità per il turismo sostenibile e l’ecoturismo crescerà per il 68% degli italiani“.

La pandemia ha cambiato le cose, popolazioni locali che vivevano dell’indotto delle visite nei parchi si sono ritrovate improvvisamente senza guadagni e a risentirne è la salvaguardia dell’ambiente e delle specie. Dall’inizio del lockdown, sono numerosi i casi registrati di bracconaggio nelle riserve naturali.

Alcuni casi hanno provocato ondate di rabbia nell’opinione pubblica, come quello di sei elefanti uccisi in un solo giorno nei pressi del Parco nazionale di Mago, in Etiopia.

I turisti rappresentano la fonte primaria di guadagno per le aree protette che, così, riescono ad auto-sovvenzionarsi e si creano posti di lavoro per chi abita nelle aree circostanti. Il coronavirus sta confermando che, quando questo sistema viene meno, le comunità locali vanno in cerca di altre attività, trovando anche nel bracconaggio un’alternativa di profitto.

Le conseguenze sono già evidenti. Solo ad aprile, fa sapere la Wildlife Conservation Society, in seguito al tracollo dell’ecoturismo in Cambogia sono stati uccisi tre ibis giganti. In India si è registrato un aumento dei casi di bracconaggio nei confronti di tigri, mentre in Africa c’è grande preoccupazione per la sorte dei rinoceronti, entrambe specie a rischio. In Colombia, l’Organizzazione per la protezione dei grandi felini Panthera ha registrato l’uccisione di due giaguari, un gattopardo e un puma solo nelle ultime settimane. 

Un rinoceronte bianco immerso nella natura. Pixabay/ Nel_Botha-NZ in licenza CC

A giocare un ruolo fondamentale in questo contesto sono le guardie delle riserve. All’improvviso, i rangers si sono ritrovati senza reddito e si sono dovuti adattare al nuovo sistema di lavoro: il Covid-19 non ha solo profondamente modificato le abitudini degli esseri umani, ma anche il nostro rapporto con gli animali. E pare che neanche la fauna non sia immune al coronavirus: secondo l’USDA (Dipartimento di Stato degli USA sull’agricoltura e i servizi veterinari) una tigre malese dello zoo del Bronx (New York) è risultata positiva al virus, probabilmente contratto da un guardiano asintomatico. 

La situazione si fa ancora più delicata se pensiamo alle conseguenze che il virus potrebbe avere sui gorilla, con i quali condividiamo il 98% del DNA e ai quali possiamo trasmettere malattie respiratorie con conseguenze anche mortali. Secondo un censimento del 2018, i gorilla di montagna oggi al mondo sono 1063, un numero che potrebbe pericolosamente diminuire con la pandemia in corso. 

I gorilla condividono con gli esseri umani il 98% del DNA. Flickr/Richard Ashurst in licenza CC

Ma non ci sono solo notizie allarmanti: dall’Africa occidentale arriva la proposta di far crescere il turismo virtuale, sviluppando anche l’ e-commerce e creare così una fonte di guadagno per le popolazioni che lavorano nelle riserve anche quando non è possibile viaggiare. Si tratta di Ecotour, una strategia per il turismo regionale che punta a creare lavori, imprenditorialità e legami tra il settore turistico e quello dei trasporti, delle costruzioni e della ristorazione.

Il coronavirus potrebbe cancellare anni di conquiste ambientaliste. Secondo una recente indagine, a marzo 2020 le ricerche online sui viaggi sono calate del 50,68% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sottolineando ancora di più le difficoltà che un settore come quello dell’ecoturismo si ritroverà ad affrontare nel prossimo futuro. Ora, pian piano si ritorna a volare, ma ci vorrà tempo per recuperare circa quattro mesi di inattività

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