[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Vincent Durac pubblicato su The Conversation]
Gli attacchi ai due impianti petroliferi di Abqaiq e Khurais in Arabia Saudita [lo scorso 16 settembre 2019 NdT] hanno riportato l’attenzione sul movimento degli Houthi nello Yemen, dopo che quest’ultimi hanno rivendicato la responsabilità di aver sferrato questi attacchi con i droni. A prescindere dalla veridicità di queste dichiarazioni, gli USA e l’Arabia Saudita, sulla base anche dell’evoluzione del gruppo dei ribelli Houthi, sostengono che sia l’Iran ad essere il paese più direttamente coinvolto negli attacchi.
Quello che un tempo era un piccolo movimento di opposizione, emerso nello Yemen del Nord nei primi anni del ventunesimo secolo, ora è diventato un attore politico dotato di importanza nazionale e, soprattutto, regionale.
Il movimento degli Houthi, il cui nome deriva dal cognome del suo fondatore Husayn Al-Houthi a cui il gruppo viene fortemente associato, si è sviluppato nella provincia settentrionale del Paese, a Saada, come risposta alla presunta emarginazione da parte del Governo nella capitale nei confronti della corrente a cui appartengono, gli sciiti zayditi. Allora i membri della famiglia degli Houthi hanno affermato di voler preservare la propria identità sciita zaydita ed evitare la “sunnizzazione” dell’Islam yemenita. L’espansione degli Houthi è stata anche motivata dalla sensazione di discriminazione economica da parte del regime di Ali Abdullah Saleh, il presidente che dal 1990 ha governato la vita politica dello Yemen fino alla sua caduta nel 2011 a causa dell’inizio delle insurrezioni popolari.
Le aspre critiche della leadership degli Houthi nei confronti del regime di Saleh e le strette collaborazioni di quest’ultimo con gli USA, hanno portato il movimento a un conflitto diretto con il governo di Sanaa. Così, tra il 2004 e il 2010, Saada è stata teatro di ricorrenti conflitti sfociati in migliaia di morti e distruzioni importanti. Nel corso di questi conflitti, gli Houthi sono passati dall’essere un piccolo e marginale movimento di opposizione al diventare una milizia agguerrita, in grado di combattere contro le forze del regime fino ad annientarle.
Approfittare del momento giusto
Costretto a dimmettersi nel 2011, Saleh ha trasferito il potere al suo vice Abd Rabbo Mansour Hadi, che ha presieduto la coalizione di governo e i partiti di opposizione. Il movimento degli Houthi, che aveva preso il nome di “Ansar Allah” (Partigiani di Dio), ha approfittato di questo caotico periodo politico di transizione per rafforzare il proprio controllo nel Nord del Paese e spostarsi verso la capitale.
Quando il Governo di Hadi si è rivelato incapace di risolvere i profondi problemi economici e politici, alimentati dalle sommosse popolari del 2011, gli Houthi nel settembre 2014 hanno preso il controllo di Sanaa senza ricorrere alla violenza. In quest’azione, gli Houthi sono stati aiutati dal sostegno dell’ex presidente Saleh e dalle sue forze che erano risultati perdenti nelle alterne vicende del periodo di transizione politica e i combattenti hanno visto come un vantaggio il fatto di potersi unire ai loro ex nemici.
Sebbene l’improbabile alleanza tra Saleh e i ribelli Houthi non sia durata, per questi ultimi si è trattato di una cooperazione fondamentale per riuscire a impossessarsi delle istituzioni statali esistenti e accedere alle risorse militari notevolmente sviluppate. Queste includevano carri armati, artiglieria e armi antiaeree ma anche missili basilistici a corto raggio e lanciatori.
L’avanzata dei combattenti ha portato al coinvolgimento dei poteri regionali. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno condotto un intervento militare contro gli Houthi, iniziato nel marzo 2015 con il sostegno delle alleanze regionali e della comunità internazionale. Il successivo bombardamento aereo del Paese ha ucciso 90.000 persone provocando una delle più grandi catastrofi umanitarie dell’era moderna.
Mentre i bombardamenti aerei sauditi continuavano a devastare il Paese, gli Houthi, sempre al controllo di Sanaa, da gennaio 2018 hanno iniziato ad attaccare l’Arabia Saudita con missili e droni.
La dimensione iraniana
L’ingresso delle potenze regionali nel conflitto nello Yemen è stato, almeno in parte, incitato dai timori dell’espansionismo iraniano e dal fatto che, alla luce di ciò che è avvenuto, i sauditi e i loro alleati hanno visto il conflitto come una guerra settaria. Eppure, mentre gli Houthi hanno tratto vantaggio dal sostegno dell’Iran, l’idea che rappresentino dei mandatari iraniani è completamente sbagliata.
Sono poche infatti le prove che ci dimostrano che dietro alla strategia degli Houthi ci sia il controllo dell’Iran. Stando a quel che si dice gli Houthi hanno ignorato il consiglio dell’Iran di non impadronirsi di Sanaa nel 2014 e, mentre la coalizione araba spende tra i 5 e i 6 miliardi di dollari ogni mese per la guerra, la spesa dell’Iran per il conflitto nello Yemen si aggira attorno a qualche milione di dollari l’anno.
Ci sono inoltre delle divergenze dottrinali significative tra la religione degli Houthi zaydisti dell’Islam sciita e quella praticata in Iran. Addirittura, secondo alcuni attivisti Houthi il sistema iraniano non potrebbe essere messo in atto nello Yemen per la presenza dei musulmani sunniti che costituiscono la maggioranza della popolazione nel Paese.
Concepire il conflitto nello Yemen come settario o come una guerra per procura significa trascurare la complessità delle cause che lo hanno scatenato e la natura delle alleanze che combattono sui due fronti. Prendendo il controllo della capitale, il movimento Houthi ha goduto del sostegno di una complessa serie di gruppi locali: membri delle tribù e ufficiali militari risentiti per essere stati emarginati dal governo centrale.
L’espansione del movimento degli Houthi è stata inoltre resa possibile dalle carenze emerse nella fase di transizione politica dopo le sommosse del 2011, ma anche dall’incapacità del Governo di Hadi di far fronte alla corruzione o di portare avanti significative riforme politiche. Così mentre il Governo, in un periodo di diffuso disagio socioeconomico, perdeva la propria legittimità, gli Houthi sono riusciti a mobilitare il sostegno tra la popolazione andando ben oltre la loro base più stretta.
Insistere nel dire che nello Yemen si sta combattendo un conflitto settario trascura anche la misura in cui gli attori regionali stanno sfruttando la situazione del Paese come proiezione delle loro ambizioni di potere. Uno degli esempi più evidenti riguarda la strategia intrapresa dagli Emirati Arabi Uniti volta a sviluppare i propri interessi economici e geopolitici attraverso la sua presenza nel Sud del Paese e al suo clientelismo esercitato nei confronti dei locali, compresi i salafiti e le forze secessioniste del Sud. Questa strategia comprende l’effettivo controllo delle infrastrutture energetiche, dei giacimenti petroliferi e dei porti commerciali e tutto questo si ricollega ad obiettivi più ampi da parte degli Emirati nella regione.
Nonostante la situazione sia più complessa, gli USA e i suoi alleati nella regione, in particolare l’Arabia Saudita, trovano conveniente vedere il conflitto nello Yemen come una semplice guerra per procura che vede schierati da una parte i Sauditi e i loro alleati e dall’altra, l’Iran e i combattenti Houthi. Così facendo, accusano lo Yemen di prolungare inutilmente un conflitto brutale che si sarebbe dovuto risolvere già da tempo.